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L'intervista: «Difficile far bene su quella sabbia» - Il ct Scotti parla di Koksijde e del futuro | Cicloweb

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L'intervista: «Difficile far bene su quella sabbia» - Il ct Scotti parla di Koksijde e del futuro

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Fausto Scotti, direttore tecnico della Nazionale italiane di Ciclocross e, sullo sfondo, l'Ippodromo delle Capannelle - Foto da Davideradiocorsa.blogspot.comDomenica in quel di Koksijde si è corso il Campionato del Mondo di Ciclocross. Tre vittorie olandesi, un dominio belga tra gli élite (7 atleti nei primi 7 posti, è record) ma soprattutto una débâcle dei colori azzurri, dove il miglior piazzamento è stato quello di Gioele Bertolini tra gli Juniores (13esimo). Per il resto Koksijde, con le sue dune che sapevamo essere insidiose specie per gli italiani, ha portato ciò che in fondo ci si aspettava: risultati all'altezza di un movimento che è allo sbando. A mente fredda abbiamo voluto parlare della crisi del movimento crossistico tricolore con il Direttore Tecnico della Nazionale, Fausto Scotti, per capire con lui se sono olandesi e soprattutto belgi ad andare troppo forte o se siamo noi - e molti altri Paesi, va detto - a viaggiare costantemente in prima.

Dal Mondiale si torna con nessuna sorpresa.
«Sicuramente. Eravamo andati a Koksijde per difenderci, non per fare risultato. D'altronde, non si impara a pattinare sul ghiaccio in una settimana né in dieci giorni, così come non si può imparare a pedalare sulla sabbia dall'oggi al domani. Anche i ritiri fatti con le società sportive non hanno cambiato di molto le carte in tavola».

Insomma, siete partiti senza speranze.
«Senza speranze di podio o di risultato sicuramente. Non si inventa nulla di punto in bianco. Prendete Zdenek Stybar: era ben preparato e quindici giorni fa, a Liévin, aveva anche vinto, ma la sabbia non è il suo terreno ideale. E parliamo di un ragazzo che ha vinto due Mondiali negli ultimi due anni. I belgi imparano ad andare sulla sabbia fin da piccini. Forse se avessimo avuto la Lechner e Fontana saremmo entrati nei primi dieci, ma su questo percorso, ripeto, non ci s'inventa niente».

E invece dopo il Campionato italiano Lechner e Fontana si sono dedicati alla MTB in vista dei Giochi di Londra. Una scusa per non rimediare brutte figure?
«No, tutto programmato da tempo. Mi sono incontrato con Marco Aurelio e con Eva a fine agosto. Fontana mi ha detto che avrebbe corso fino agli italiani per onorare la maglia tricolore e successivamente avrebbe lasciato il cross per dedicarsi interamente alla MTB in vista di Londra. Stesso discorso per la Lechner, che teneva a far bene all'italiano visto che si correva in casa sua. Entrambi sono due atleti di spessore e la MTB non è stata una scusa. A Koksijde potevano racimolare qualcosa e se non ci fosse stata l'Olimpiade forse avrebbero cambiato i loro programmi. Però, sapendo che si correva il Mondiale su questo tipo di percorso, insieme abbiamo deciso di lasciar stare. Non valeva la pena correre con loro per un piazzamento su un percorso così, quando i nostri vanno bene sui percorsi ghiacciati o su quelli veloci».

I percorsi italiani: forse troppo differenti da quelli di Coppa, di Superprestige e di GvA, altra marcia in più dei belgi.
«Allora, il Belgio è forte perché ha quegli otto, dieci atleti superiori. Come movimento, però, se vado a vedere quanti erano alla partenza dei loro Campionati Nazionali trovo appena sedici élite (e alcuni costretti a gareggiare), ventun Under 23 e poi basta, c'è il vuoto. Nelle donne hanno solo Sanne Cant. L'Olanda esegue un lavoro polivalente come il Belgio ma non fanno ritiri come noi. Le nazioni che lavorano sul futuro siamo noi, la Francia e poche altre. Il Belgio ha un grandissimo calendario, questo sì, tanti soldi che girano e tutti gli atleti che corrono nel Superprestige o nel GvA di turno. L'Italia invece organizza diversi circuiti aperti oltre al Giro d'Italia».

Paradossalmente, il problema è quindi nelle Nazioni più all'avanguardia?
«Diciamo che Belgio ed in parte Olanda differiscono molto dall'Italia. Là il nostro è uno sport con ampio risalto mediatico, qui si fatica ad avere un trafiletto sul giornale. Domenica c'erano 60.000 paganti e bada che se regali il biglietto d'ingresso ad un belga lo rifiuta, visto che loro fanno la collezione. Però, ecco, Belgio e Olanda organizzano i circuiti dove corrono gli atleti di spicco. Anche per questo il Ciclocross non diventa una disciplina olimpica, perché è relegato alla piccola Europa. Ora, l'anno prossimo avremo i Mondiali negli Stati Uniti, a Louisville. Sarà la prima volta nella storia che si esce dall'Europa. Quando si è andati lontano si sono organizzati a Monopoli, nel 2003».

C'è anche da dire che in Italia ce li sognamo 60.000 spettatori per una gara di ciclocross.
«La gente non va a vedere i cross ma nemmeno le gare su pista. Persino al Giro d'Italia in certe tappe non c'è nessuno, solo un po' di gente agli ultimi metri. La crisi non è nel ciclocross, che in Italia paga più di tutti, ma nel ciclismo intero. Ai Campionati Italiani a Roma, nel 2011, alla domenica c'erano sì e no 6000 persone. Il Guerciotti, quando si correva al Parco Lambro ed era una prova del Superprestige, non raccoglieva più di un migliaio di spettatori. È difficile mettere in piedi la macchina organizzativa perché gli sponsor se ne vanno e l'organizzatore dei cross deve avere solo tanta passione. Se vuoi guadagnare tano vale investire sulle Granfondo o sulle gare di MTB. A Roma il 6 gennaio 2013 ci sarà una prova di Coppa de Mondo ma non credo troveremo certo 10.000 spettatori. Non ci credo nemmeno se li vedo! Ad ogni modo, prma deve venire il bene del movimento, successivamente si avvicinerà anche maggior pubblico».

A proposito di Roma e di Coppa del Mondo, come sarà il circuito?
«Si correrà alle Capannelle. Ora, sarà un circuito che favorirà i miei atleti, perché non costruisco qualcosa che va a favorire le altre Nazioni. Decideremo con i nostri, con Franzoi e Fontana, se mettere qualche rampa, ad esempio. Insomma, dobbiamo vedere come organizzarlo ma di certo qualche piccola modifica la apporremo.

Koksijde invece ha favorito i belgi.
«A parte che insisto nel dire che non si è rispettata la norma dell'UCI che prevede che un circuito debba essere praticabile con il mezzo per il 90% del percorso. Secondo voi Koksijde lo era? Forse uno o due atleti riuscivano a stare in bici per il 90% del circuito, gli altri hanno fatto podismo su sabbia. Ad ogni modo non è una scusa, lo sapevamo noi, lo sapeva la Francia e le altre Nazioni che non si sono mai viste davanti. Ma lo stesso Albert in parecchi tratti scendeva di bicicletta e proseguiva a piedi laddove avrebbe dovuto pedalare, in teoria. Ripeto, non cerco scuse, andavamo là per difenderci».

Magari si sarebbe potuto correre su circuiti sabbiosi durante la stagione, giusto per preparare i ragazzi.
«Non sono d'accordo, i ragazzi devono crescere. Non è stabilito da nessuno che se ogni dodici anni si corre il Mondiale a Koksijde allora tutte le prove del Giro d'Italia debbano essere disputate sulla sabbia. Non si possono organizzare circuiti di questo genere e fare stage a Ostia Lido, Riccione o Lignano Sabbiadoro in funzione di una gara. Con una giornata non si cambia nulla delle proprie attitudini. So come si allena Albert ed ogni tanto fa un richiamo su sabbia, ma non solo quello. Si prepara su tutti i tipi di terreno però è un atleta potente ed anche se commette qualche errore riesce ad emergere. Lo stesso Franzoi è abituato a correre sulla sabbia ma il risultato l'hanno visto tutti».

Già.
«Ed Enrico ha rotto il forcellino, dopo è stato fermato perché a rischio doppiaggio, altrimenti sono convinto che potesse entrare nei quindici. Per il resto, Gioele Bertolini ha condotto una gara d'attacco, poteva entrare nei primi dieci ma all'ultimo giro ha accusato la stanchezza, anche per i lavori specifici sulla sabbia svolti in Puglia la settimana prima. Tra gli Under 23 Silvestri poteva ambire ad un posto tra i primi cinque ma è arrivato con la testa già proiettata alla strada. Era troppo appagato dopo la conquista del tricolore ed abbiamo avuto anche qualche scontro perché non mi è piaciuto il suo atteggiamento».

Eppure Elia puntava ad un podio.
«Conosco questi ragazzi da diversi anni, basta un'occhiata, una frase per farmi capire se son venuti per fare risultato o per concludere la stagione. Ecco, Elia è venuto al Mondiale solo per chiudere la stagione. Non era preparato a puntino come avrei voluto e su un percorso come quello non ci si può nascondere e nemmeno è possibile inseguire, perché nella maggior parte del tempo si correva in single track, nonostante lo spazio fosse abbondante».

Tra le ragazze invece buona la prova della Arzuffi.
«Alice ha diciott'anni, era qui per fare esperienza, volevo che corresse con serenità, e tuttavia ha fatto una bella gara. Tra le ragazze le 18enni gareggiano spalla a spalla contro dei mostri sacri già affermati come Vos, Van den Brand, insomma non era facile».

E riguardo alla Scandolara? Non avrebbe dovuto nemmeno correre la stagione di cross...
«Purtroppo domenica aveva un forte dolore alla schiena. Era sofferente, non potevo massacrarla. Per questo l'ho fatta ritirare dopo due giri. Ha svolto una preparazione improvvisata per il cross, eppure tra le Under 23 ha vinto la gara di Roma nella sua categoria ed ha fatto terza assoluta all'italiano. Entrerà nell'Esercito a breve, questa ragazza è un patrimonio della Federazione ed ho un bel progetto per lei negli anni a venire».

Un anticipo?
«Con Salvoldi ci divideremo i programmi, è anche nella lista delle probabili olimpioniche. Valentina porterà molte soddisfazioni all'Italia, ne sono certo. A Hoogerheide, per dire, è caduta all'inizio, così come Vania Rossi. Bene, è ripartita ed ha chiuso 24esima andando molto, molto forte, correndo bene anche a piedi. Quello che ha fatto la Scandolara ad Hoogerheide non l'ho mai visto fare a nessun'altra. Insomma, mi ha fatto capire che meritava questa convocazione, è un fenomeno che già da piccolina vinceva nel cross. E nel 2013 sarà nel mio gruppo».

Ecco, come lavorerà per il futuro?
«Per gli élite continuerò con Franzoi, Fontana e Silvestri, se Elia troverà la concentrazione giusta. Poi ho Bertolini tra gli juniores, i fratelli Braidot che sono molto forti, Falaschi che è un giovane da far crescere. E tra le ragazze, oltre alla Rossi, mi occuperò della Arzuffi, di Julia Innerhofer, che è un altro talento da valorizzare, della Lechner e della Scandolara. Vorrei far correre qualche gara di Coppa del Mondo a Valentina e farle fare una stagione di cross un po' più intensa. Sono convinto che in Coppa andrebbe a podio o addirittura vincerebbe, proprio perché a Hoogerheide mi ha davvero stupito positivamente. Il progetto è questo, sempre che dopo, appena esce il corridore un po' più forte, non mi diventi stradista a tempo pieno...».

Il rischio c'è.
«Eccome. Basta fare i nomi di Malacarne, che di cross non ne vuol più sapere, o di Trentin, a cui l'Omega Pharma ha vietato di correre i cross e così non s'è più visto. E Dall'Oste, Silvestri, per non parlare di Aru, che nasce come crossista ed ora passerà pro'. Magari poi andrà al Tour, glielo auguro, ma ogni volta che salta fuori un ragazzo di livello passa subito alla strada! D'altra parte, guardiamo un campione come Stybar: mai andato fortissimo quest'inverno. Perché? Perché sta svolgendo carichi di lavoro piuttosto pesanti, mirati alla strada e non al cicloross».

E poi, onestamente, chi glielo fa fare a un ragazzo che può passare a correre su strada di restare nel cross?
«Anche perché ormai si gareggia sempre, anche a Natale c'è qualche corsa in Sudamerica. Vanno di moda i ritiri in altura, magari sul Teide perché c'è stato Armstrong o Contador. Poi c'è anche chi fa allenare i propri ragazzi con il cross, come Locatelli con i ragazzi della Palazzago, e va benissimo. Il ciclocross dovrebbe essere l'allenamento dell'inverno, perché non si può far solo palestra nei mesi più freddi. Invece ora si usa così, va a mode. Con il cross ci si tiene in forma d'inverno e ci si diverte. Guardate la Vos: che arrivi prima o seconda, che cada, si faccia male o meno è sempre contenta. Le nostre ragazze dovrebbero prendere esempio da lei per crescere».

Per concludere, cosa ci riserva il futuro crossistico azzurro? 
«Intanto lavoreremo per il Mondiale di Louisville con il gruppo che abbiamo. Il percorso è veloce e noi potremmo fare davvero bene. Diciamoci la verità: sul fango pesante e sulla sabbia non siamo mai andati forte ma sul ghiaccio o sui percorsi veloci sì. Peccato che ci manchi un vero campione».

Francesco Sulas

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