Giro d'Italia 2010: Un eroe dei nostri giorni - Cavazzuti, la stampa, le domande sul doping
Versione stampabileOra, è successo che nella conferenza stampa pre-Giro si sia registrata una primizia assoluta. Coi principali protagonisti della corsa rosa schierati dietro ai microfoni, Paolo Tomaselli del Corriere della Sera ha rivolto una domanda sul doping e sul fatto che le classifiche degli ultimi Giri siano state rivoluzionate (o messe in discussione) a posteriori. La primizia ovviamente non è questa. Bensì, è che l'addetto stampa in rosa, Matteo Cavazzuti, abbia interrotto il dialogo per chiedere che venissero poste domande inerenti alla corsa e non al doping.
Ecco, questa prima d'oggi non l'avevamo mai sentita. Giornalisticamente, c'è da fare un sobbalzo, perché non è tanto concepibile che un professionista della stampa non possa porre una categoria di domande per decisione "superiore" di qualcuno. Il giornalista, in quanto tale, può domandare quello che gli pare. Sta al suo interlocutore rispondere in un modo o nell'altro, o non rispondere per niente.
Detto ciò, ci piace anche andare più a fondo nella questione. Perché è indiscutibile che l'immagine del ciclismo è minata anche da una storia che viene raccontata in maniera troppo appiattita su valori del sangue e carte bollate. E quindi bisogna pure guardare con interesse a chi solleva, in qualche modo, tale questione.
Spesso capita che una manifestazione globale (o quasi) come un Giro sia seguita anche da giornalisti che non sono propriamente "del settore". E capita di conseguenza di assistere a disperanti conferenze stampa in cui si sprecano domande del tenore di "per quale squadra (di calcio) tifi?", poste da chi evidentemente è un po' a corto di argomenti tecnici. Un'altra fonte sicura di ispirazione per le domande ai corridori è, naturalmente, il doping. Col doping si va a colpo sicuro, un titolo a casa lo si porta sempre, per la felicità del caposervizio (nove volte su dieci a sua volta totalmente digiuno di ciclismo), anche se non si è pregni di temi specifici di questo sport. Quindi, stornare certe domande facilone da tali conferenze stampa non farebbe che innalzare il livello delle medesime.
Accanto ai giornalisti che solo incidentalmente hanno a che fare col ciclismo, ci sono poi quelli "del settore". E da questi ci si aspetterebbe un colpo d'ala in più a volte, perché chi meglio conosce le cose di questo ambiente dovrebbe sentire il bisogno di rigettare l'ormai trito gioco delle parti che vuole il giornalista a chiedere di doping e il corridore a dare una risposta di circostanza e il più delle volte poco veritiera. Perché prestarsi a questo batti-e-ribatti senza sugo? Perché non preferire l'approfondimento su altri temi, quando se ne ha la capacità e la possibilità?
Perché, risponderà il giornalista nel merito, la filiera è quella: del ciclismo si sa poco, a livello "generalista". Si sa che si pratica in bici, si sa che un tempo correva Coppi, si conosce Pantani, stop. E poi ovviamente si sa che è lo sport dei dopati. Quindi un direttore di giornale poco addentro alla questione, chiederà al caporedattore un pezzo di ciclismo solo quando si parla di Pantani o quando si parla di doping; un caporedattore appassionato di tiro alla fune chiederà al caposervizio sport un titolo forte solo quando si parla di Pantani o quando si parla di doping; un caposervizio dello sport patito del Milan chiederà al suo inviato di fare un pezzo di rilievo solo quando si parla di Pantani o quando si parla di doping. Questo, in linea di massima; quando l'attualità propone gli eventi principali (Giro, Tour, Mondiali, stop), si può anche spaziare sulla tecnica, a patto di tener presente che il lettore generalista, abituato ad associare il ciclismo a Pantani o al doping, leggerà più facilmente un articolo al cui interno c'è almeno qualche riferimento a Pantani o al doping (chiariamo che non c'è correlazione tra i due argomenti, se non che sono effettivamente i due più "battuti" dai media).
E quindi anche il giornalista "di ciclismo" di un giornale generalista si adagerà un po' troppo sul tema del doping, così vanno le cose.
Dopodiché, arriva il giovane Cavazzuti, e si mette di traverso. Usa un metodo sbagliato per perseguire un obiettivo giusto. Ma in ciò, parrebbe strano che l'addetto stampa del Giro avesse agito per uno sghiribizzo personale. Non è che dietro a questa presa di posizione c'è la mano del nostro beniamino Zomegnan? Il quale, vestendo gli abiti dell'ufficialità, può sbandierare allegramente i dati della corsa più controllata della storia dell'umanità; ma una volta smessi quelli, conferma quello che sospettiamo da tempo, e cioè di essere uno dei nostri: ovvero di quelli che sostengono che lo strumento dell'antidoping per come è usato nel ciclismo è quantomeno discutibile.
Il buon Cavazzuti, se il popolo reagirà malamente all'ultima novità di casa Rcs Sport, si beccherà una reprimenda da Angelone e dirà che aveva agito di sua sponte; altrimenti continuerà serenamente a fare il suo lavoro. Il buon Zomegnan, invece, continuerà a lottare col se stesso ufficiale, conscio in cor che così vuole il protocollo. Ma dentro di sé saprà bene la verità, saprà che parlare di ciclismo senza doping è un puro esercizio dialettico, perché basta scorrere la lista di quanti ancora continuano ad essere "beccati" (i quali sono solo una percentuale minima rispetto a chi la fa franca o viene coperto in qualche modo) per sapere che la marea monta come ha sempre montato, mentre chi governa la cavalca per i propri scopi, senza percorrere un metro nel cammino che dovrebbe portare all'ideale dello sport pulito.