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Mondiali 2015: Sagan urlo da Mondiale, Italia facce da funerale - Peter e la tanto attesa vittoria di peso. Matthews-Navardauskas sul podio. Nizzolo 18esimo miglior azzurro | Cicloweb

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Mondiali 2015: Sagan urlo da Mondiale, Italia facce da funerale - Peter e la tanto attesa vittoria di peso. Matthews-Navardauskas sul podio. Nizzolo 18esimo miglior azzurro

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L'arrivo trionfale di Peter Sagan © Bettiniphoto

Peter Sagan a 25 anni regala alla Slovacchia e a se stesso il primo titolo mondiale. Lo ha fatto con un numero straordinario in quel di Richmond, Virginia, regalandosi 2.5 km di volo solitario (o di apnea, a seconda di come la si voglia vedere), col gruppo dei più forti lanciato al suo inseguimento, ma tenuto in scacco da una gamba superlativa.

Sagan ha battuto i favoritissimi della vigilia, John Degenkolb (non pervenuto sul rettilineo finale) e Alexander Kristoff (giù dal podio), ha battuto Michael Matthews, secondo con rabbia, e tutti i classicomani che avevano messo gli occhi sul Campionato del Mondo americano. E non si può dire che ci sia stato qualcuno che, dopo l'epilogo, non sia andato a complimentarsi con Sagan, il personaggio più stratosferico del ciclismo contemporaneo, che finalmente ottiene la sospiratissima vittoria di peso, quella che era fin qui mancata, ma per raggiungere la quale tutti (o quasi) pensavano fosse solo questione di tempo; o di dettagli.

Sagan primo, Matthews secondo, il lituano Ramunas Navardauskas terzo un po' a sorpresa, e poi un lungo elenco di battuti, qualcuno con onore (Alejandro Valverde quinto è un altro grande risultato), qualcuno con qualche rammarico (Kristoff il podio non poteva mancarlo, su!), qualcuno senza alibi.

Di quest'ultima categoria fa parte l'Italia, che fino a 4 km dalla fine era in prima linea accanto al Belgio, ma che poi è ingloriosamente rimbalzata indietro, andando a chiudere con un 18esimo posto quale miglior piazzamento. L'ha conquistato Giacomo Nizzolo, ma francamente ci si attendeva qualcosa di più dagli azzurri, mancati negli uomini che avrebbero dovuto finalizzare (Diego Ulissi e Vincenzo Nibali, dove siete?), e giunti a Richmond forse con troppa sicumera. Il ct Davide Cassani avrà da lavorare ancora molto, ma non potrà essere un risultato negativo a interrompere un percorso che deve continuare.

 

Fuga di 8, e Olanda subito col coltello tra i denti
In altri Mondiali abbiamo visto la fuga del mattino partire e prendere il largo senza troppi patemi. Oggi non è andata così; nel senso che la fuga è sì partita subito, innescata al primo chilometro dall'irlandese Conor Dunne, su cui si sono portati subito il serbo Ivan Stevic, il sudcoreano Sung Baek Park, il neozelandese Jesse Sergent e l'ucraino Andriy Khripta, e poco dopo pure il colombiano Carlos Alzate, lo statunitense Ben King e il romeno Serghei Tvetcov.

Il gruppo ha lasciato fare solo nel tratto in linea prima del primo giro, dopodiché l'Olanda ha preso con decisione le redini della situazione, aumentando da subito il ritmo e provocando addirittura un frazionamento nel corso della prima tornata: nell'occasione, dietro son rimasti anche nomi come Michael Matthews, Peter Sagan e Michal Kwiatkowski; però mancavano ancora 240 km alla fine, quindi era naturale che il plotone si ricompattasse subito.

Da lì in avanti, per 5 giri non è praticamente successo nulla di rilevante: Olanda a tirare (con Dylan Van Baarle e soprattutto Jos Van Emden), distacco cristallizzato fra i 3' e i 4', e niente da segnalare tra i big (a parte le forature di Tom Boonen e Taylor Phinney a poco meno di 200 km dalla fine).

 

Arriva la Germania, crolla il ritmo del gruppo
Nel sesto dei 15 giri l'Olanda ha sensibilmente accelerato sui muretti del finale, e ciò ha provocato qualche stiratura del gruppo (buchetti qua e là, poi ovviamente tappati), e ha decurtato a poco più di un minuto il ritardo rispetto ai battistrada. Pareva l'inizio di una nuova fase della corsa, e invece nella settima tornata il ritmo del plotone è nuovamente calato, con la Germania che è andata a prendere il posto degli olandesi in testa, e ha abbassato i wattaggi. Tanto che in cima al secondo muro è scattato un uomo che non ci si aspettava, il costaricano Juan Carlos Rojas.

Sicché gli 8 (anzi i 6: sui muretti si sono staccati prima Park e poi Khripta) hanno ripreso respiro, e sono transitati al giro di boa della gara (a 130 km dalla fine) con due minuti di margine sul gruppo (e Rojas intercalato a 1'15").

Con l'intervento addormentatorio dei tedeschi, ci siamo sorbiti altri 30 km interlocutori. All'ottavo giro si è intravisto davanti il Belgio, e solo alla fine del nono, a 100 km dal traguardo, la corsa è entrata in una nuova dimensione: la Polonia (con Rafal Majka) ha aumentato l'andatura sulla salitella di Libby Hill (la prima delle tre), chiamando nelle prime posizioni alcuni dei big. Più determinante è stata però una caduta che, all'inizio della rampa finale, ha visto coinvolto Daniel Oss, costretto al ritiro con un taglio sul ginocchio.

 

Il Belgio comincia a pungere, Nibali è sveglio
Il gruppo si è spezzettato sulla salitella, e in cima sono avanzati una trentina di uomini, tra i quali il solo Vincenzo Nibali a rappresentare l'Italia. Col siciliano, tanto Belgio (Jens Keukeleire, Philippe Gilbert, Sep Vanmarcke), tanta Olanda (Bauke Mollema, Robert Gesink, Lars Boom) e buone rappresentanze di Spagna (Joaquim Rodríguez, Rubén Plaza e Luis Mas), Portogallo (Rui Costa e Jose Gonçalves) e Danimarca (Matti Breschel e Chris Juul Jensen). Troppi uomini perché l'azione avesse successo: l'unico risultato di questi contrattaccanti è stato di riprendere tutti i fuggitivi, appena entrati nel decimo giro, dopodiché la Germania ha ricucito ai -90, e il Belgio ha con più convinzione preso la testa del plotone.

La presenza dei belgi preludeva a un forcing di Boonen sui muri: in effetti il fiammingo ha accelerato sul secondo strappo, mettendo in fila indiana il gruppo, dopodiché sulla rampa dell'arrivo si è mosso Gesink, ma in cima si è rialzato, e al passaggio dal traguardo si è fatta la conta: poco più di 120 uomini nel primo troncone, tra gli attardati (a 20" di distacco) l'iridato a cronometro Vasili Kiryienka e il francese Julian Alaphilippe.

 

Phinney all'attacco, l'Italia muove Bennati
Nell'11esimo giro era ormai tempo che partisse la seconda vera fuga della giornata, e così è stato: ai -79 si è lanciato un bel quartetto con l'idolo di casa Taylor Phinney a menare le danze col bielorusso Kanstantsin Siutsou, il canadese Guillaume Boivin e il colombiano Jarlinson Pantano. I quattro hanno subito guadagnato 40", poi è uscito dal gruppo anche il lettone Gatis Smukulis che però non ha trovato grande spazio.

Sulla rampa di Libby Hill il Belgio ha mosso una delle sue pedine più forti, Sep Vanmarcke, che si è divincolato dalla marcatura di Simon Geschke e si è involato; sul tedesco sono rientrati quindi il britannico Ian Stannard e - finalmente - un italiano: Daniele Bennati. Insieme hanno raggiunto Vanmarcke dopo il secondo muretto, e hanno ripreso presto Pantano (che poco prima si era staccato dal primo drappello), ma hanno dovuto subire il ritorno del gruppo tirato dall'Australia in cima alla rampa dell'arrivo. A quel punto Phinney, Siutsou e Boivin entravano nel 12esimo giro ancora con mezzo minuto di margine.

Il 12esimo giro ha visto un attacco del lituano Gediminas Bagdonas (ai -60), con possibilità nulle di rientrare sui primi tre, i quali, continuando a macinare alla grande, si sono anche avvantaggiati di una caduta (innescata dall'austriaco Marco Haller) che ha coinvolto tra gli altri Alexander Kristoff e Michael Kwiatkowski e ha frenato il gruppo: al rifornimento, ai -56, sono andati giù in tanti, senza grosse conseguenze fisiche, ma causando un fisiologico rallentamento del plotone, nel quale i vari capitani hanno dovuto aspettare il rientro di chi era andato giù. Il risultato è stato che Phinney, Siutsou e Boivin si sono portati a un minuto e mezzo di vantaggio.

 

Al quart'ultimo giro si muovono i big, l'Italia balbetta un po'
Sulle salitelle di fine 12esimo giro i big sono tornati a muoversi: il belga Tiesj Benoot ha tirato il collo a tutti su Libby Hill, poi sul secondo muro si è mosso il portoghese Nelson Oliveira tampinato ancora da Vanmarcke, infine sul terzo muro è scattato (a 50 km dalla fine) Purito Rodríguez. L'azione del catalano ha promosso la reazione di una ventina di uomini: Boonen con Gilbert, Stybar con Roman Kreuziger, John Degenkolb con Geschke, Tony Martin e Paul Voss, uno sveglissimo Michael Matthews con Mathew Hayman, ancora tanta Spagna (Alejandro Valverde, Luisle Sánchez, Ion Izagirre oltre a JRO), Gesink con Sebastian Langeveld, Breschel con Michael Valgren, e poi ancora Oliveira, il russo Sergey Chernetskiy, il polacco Maciej Paterski. E gli italiani? Solo Matteo Trentin è riuscito ad accodarsi a questo drappello; poco dietro, Fabio Felline è emerso dal gruppo degli inseguitori e si è inserito nell'azione, mentre la stessa andava però a esaurire la sua spinta, al passaggio sotto lo striscione d'arrivo. Ancora tutto rinviato, insomma. Vincenzo Nibali, intanto, ha cambiato due volte bici (si è fatto mettere a punto la sua, prima di riprenderla).

L'azione di Phinney, Siutsou e Boivin ha via via perso smalto nel 13esimo giro, fino a che il lavoro dei danesi non ha annullato la fuga a 37 km dalla fine.

 

Elia Viviani si siede al tavolo dei grandi con Boonen e Kwiatkowski
Col Mondiale ormai alle battute decisive, la Gran Bretagna è entrata pesantemente nella contesa e su Libby Hill ha preparato il terreno per un successivo attacco di Stannard, andato in scena sul secondo muro del circuito, a 35 km dal traguardo. Mollema si è messo in scia all'inglese, e subito dopo sono rientrati anche altri grossi nomi: Boonen e Kwiatkowski su tutti, ma anche Dani Moreno per la Spagna, Andrey Amador per il Costarica e - un po' a sorpresa - l'azzurro Elia Viviani, che ha optato per gara d'attacco anziché aspettare lo sprint finale.

Il gruppetto, davvero ben assortito, ha guadagnato subito una ventina di secondi (sulla spinta di un breve allungo di Mollema) ed è rimasto all'attacco per tutto il 14esimo e penultimo giro, allungando fino a mezzo minuto di vantaggio a 25 km dalla fine. Germania e Australia non potevano tollerare un simile ensemble al comando della corsa, e hanno cooperato per annullare tale azione: ricongiungimento puntualmente avvenuto dopo che su Libby Hill Boonen aveva tentato di forzare, e dopo che sulla salita di 23rd Street (il secondo muro in pavé) una quindicina di uomini, tra cui Matteo Trentin, avevano anticipato il rientro del resto del gruppo, consumatosi sulla rampa d'arrivo. A un giro dalla fine, nuovamente tutto da rifare: ma ormai le energie erano tutte da inventariare, per tutti.

 

Gli azzurri lavorano, ci credono, si dissolvono
All'ultimo passaggio, a 16 km dalla fine, Lars Boom ha tentato un allungo che però non ha prodotto granché: il russo Vyacheslav Kuznetsov si è messo in scia all'olandese, ma il gruppo era già lì e non se n'è fatto nulla. Ai -15 il portoghese Nelson Oliveira ha dato il la a un nuovo tentativo che ha raccolto l'adesione di Andrey Amador (Costarica ancora sugli scudi!), ancora di Kuznetsov, e poi di Greg Van Avermaet e Tanel Kangert. Chi ha lavorato per chiudere quest'azione? L'Italia, soprattutto con Fabio Felline, che ai -12 ha ricucito.

Il tempo di un respiro, e ai -11 si è messo in marcia Siutsou, già protagonista in precedenza; al bielorusso si è unito Tyler Farrar, che ha dato un bel senso al suo Mondiale, con quest'azione che è rimasta on stage fino a 5 km dalla fine. E anche in questo caso la nazionale italiana è stata determinante per chiudere, in un testa a testa col Belgio per prendere davanti la rampa di Libby Hill.

Sembrava che gli azzurri potessero riuscire nel loro intento, ma incredibilmente a 100 metri dall'approccio del muro gli uomini di Cassani sono stati risucchiati nella pancia del gruppo: segno chiaro dell'assenza di un uomo, tra i nostri, in grado di prendere di petto la corsa nel momento in cui questa si faceva più dura, più vera, più esigente.

 

Sagan brutalizza Van Avermaet e costruisce la sua vittoria
A Libby Hill si è mosso non un belga, men che meno un italiano (gli azzurri erano appena svaniti), ma un ceco: Zdenek Stybar, uno degli uomini più attesi della giornata. L'ex crossista ha dato luogo a un bell'allungo che chiama la reazione addirittura di John Degenkolb, uno dei favoritissimi. In cima si sono aggiunti anche altri grossi calibri come Van Avermaet e Edvald Boasson Hagen (che faceva le veci di Kristoff), e pochi metri dopo ecco anche Peter Sagan fare capolino per la prima volta nella corsa.

Sfumata quest'azione, sono rientrati altri uomini, e ai 3.6 km ha provato la sua carta Niki Terpstra, il quale però non ha avuto la capacità di fare la differenza. In men che non si dicesse si è giunti alla rampa di 23rd Street, presa in testa da un Van Avermaet con intenti ultrabellicosi. Ma alla ruota del fiammingo si è incollato Sagan. E lì, sulla durissima (ancorché breve) rampa, lo slovacco ha replicato da par suo, ha rilanciato, si è involato. Ha preso margine sul falsopiano in cima, ha allungato ulteriormente in discesa, con una posizione da papero che ha fatto preoccupare più di un tifoso ("e se cade?").

Boasson Hagen, portatosi su Van Avermaet, non è riuscito a dare un apporto determinante per chiudere su Peter, che ha tenuto e ha resistito, con gli inseguitori qualche decina di metri dietro che però non riuscivano a guadagnare un centimetro. E allora hanno cominciato a guardarsi, e a guardare dietro, mentre Sagan ogni tanto si voltava per controllare la situazione, e prendeva ulteriore coraggio dal prendere atto che quelli non ne avevano certo più di lui.

 

L'epilogo e la festa per Peter
La Spagna a quel punto, sul muro finale, si è incaricata di tirare a beneficio di Valverde, ha riportato il gruppo (quel che ne restava) su GVA e EBH, ripresi agli 800 metri, ma Sagan aveva troppa voglia di vincere, e troppo spazio ancora, e troppa gamba, per vedere svanire il sogno iridato a un passo dalla meta. Rigoberto Urán ci ha provato in extremis, a ribaltare tutto, ma pure lui ha finito col rimbalzare, lasciando la lotta per il podio ai fortissimi velocisti da classica attesi alla vigilia.

È andata così, Peter ha vinto, è sceso dalla bici e ha raccolto l'abbraccio ideale di tutti, tifosi e avversari. Matthews ha battuto Navardauskas per la piazza d'onore, Kristoff ha preceduto Valverde, Simon Gerrans si è preso il sesto posto, e la top ten è stata completata da Tony Gallopin, il campione uscente Kwiatkowski, Rui Costa e Gilbert. Italia 18esima con Nizzolo, abbiamo già anticipato. Se ne riparlerà molto, di questa débâcle azzurra; ma non oggi: oggi è il giorno di Sagan.

Marco Grassi

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