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Mondiali su pista Cali 2014: L'Italia non chiude in grande bellezza - Madison, Viviani-Coledan sesti. Caos giuria, oro alla Spagna

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Marco Coledan e Elia Viviani nella Madison di Cali © www.nuestrociclismo.comNella notte appena trascorsa attendevamo con trepidazione da oltreoceano la notizia di un possibile successo che - se pur non avrebbe risolto tutti i problemi del settore - avrebbe regalato un sorriso a chi ancora crede in un made in Italy di qualità per il proprio prodotto. Cari cinefili, di Sorrentino e grande bellezza ci si occuperà diffusamente su altri lidi, ma qui, se permettete, parliamo volgarmente di ciclismo; e quel successo (che poteva assumere anche la forma di una semplice medaglia di colore diverso dall'oro) che speravamo potesse rinfrancare la trasferta della nazionale della pista in Colombia per i Mondiali ce lo aspettavamo dall'ultima gara della rassegna di Cali, ovvero la Madison.

In maglia azzurra, un Elia Viviani con addosso tanta voglia di riscatto dopo la débâcle della Corsa a punti, affiancato da Marco Coledan reduce da un buon Inseguimento individuale; che l'intento fosse quello di non subire la corsa, è stato chiaro sin dalle prime battute, con tanto di piazzamento già al primo sprint, ai -180 giri sui 200 totali, con l'Italia terza dietro a Repubblica Ceca e Belgio. Al comando, nel frangente, c'era già l'Australia, partita prestissimo (già ai -199) in caccia di un giro conquistato poi ai -193. Ma gli aussie, dopo questo exploit, sono stranamente piombati in una profonda crisi di identità, riperdendo tutti soli il giro intorno ai -120, e facendo di male in peggio da lì alla fine, per cui da qui in avanti escluderemo la coppia O'Shea-Edmondson, concentrandoci su altri ensemble.

A partire da quello belga, formato da De Buyst e De Ketele, aggressivo come nessuno, sull'anello di Cali: tanto per comprendere, la coppia fiamminga è andata a punti in 9 sprint su 10, preparando ogni volta il terreno con potenti allunghi nelle due-tre tornate precedenti la volata, tattica che ha portato a 3 vittorie e 5 secondi posti nei vari sprint (31 i punti conquistati in totale, più di tutte le altre coppie), e che ha sottoposto il gruppo a vere e proprie frustate, anche se per lunghi tratti nessuno ha avuto la possibilità di uscire seriamente in caccia per guadagnare il giro.

La Spagna si è proposta come possibile alternativa al Belgio: Muntaner e Torres hanno attaccato una prima volta ai -134, sollecitando la reazione di Germania e Russia, e giacché si trovavano nelle prime posizioni hanno vinto il quarto e il sesto sprint, iniziando a dar corpo a un promettente bottino di punti. Anche l'Italia, in questa fase, è stata sempre nel vivo dell'azione, nelle prime posizioni, con la perla del quinto sprint, vinto da Viviani con bella volata su De Ketele, risultato che ha portato ad una classifica, a metà gara, che vedeva il Belgio al primo posto con 16 punti, a seguire la Spagna con 8, la Repubblica Ceca e l'Italia con 7, la Nuova Zelanda con 5.

Insomma, gli azzurri, dopo 100 giri e a 100 dalla fine, erano perfettamente inseriti nella lotta per il podio, fatto che alla vigilia poteva essere auspicabile ma che non era certo scontato. Diremo di più: con Viviani nelle vesti dello stoccatore e Coledan in quelle dello stoppatore (di altrui iniziative), l'Italia si è ritagliata un ruolo importante nelle fasi centrali di gara, risultando vigile davanti al gruppo e contribuendo ad annullare alcune azioni che potevano essere insidiose (un paio da parte degli austriaci, ad esempio). Quando poi, ai -66 giri, i nostri sono andati a prendere i francesi usciti in caccia, e su di loro si sono portati anche spagnoli, neozelandesi e belgi, abbiamo vissuto un attimo di inebriante protagonismo.

Non solo eravamo nel club esclusivo dei migliori della serata, ma addirittura ai -60 andavamo a vincere il settimo sprint davanti a Belgio, Nuova Zelanda e Francia, e ci installavamo al terzo posto della classifica provvisoria (Belgio 22, Spagna 13, Italia 12, Repubblica Ceca e Nuova Zelanda 7). Questo stato di cose, unito al fatto che diverse nazionali tra le più attese erano uscite dalla contesa (dell'Australia abbiamo detto, ma hanno ammainato gli stendardi anche la Gran Bretagna e la Colombia, minate da una caduta che ai -108 giri aveva coinvolto pure Svizzera e Nuova Zelanda), faceva risultare la coppia azzurra come una delle più credibili in chiave medaglie.

Dopo l'ottavo sprint (in cui l'Italia, quinta, non è riuscita a far punti), la corsa si è animata in maniera netta. Un attacco di Francia e Nuova Zelanda ha scosso il gruppo, che ha iniziato a perdere pezzi; annullata tale azione, ai -31 sono partite forte Spagna e Svizzera. È stato questo il momento in cui per l'Italia ha iniziato a spegnersi la luce, perché mentre i cechi riuscivano a portarsi su spagnoli e svizzeri, i nostri perdevano terreno insieme a Nuova Zelanda e Hong Kong, come peraltro già accaduto poco prima a Colombia, Francia e Russia.

Il nono sprint, ai -20, vedeva transitare nell'ordine Spagna, Svizzera, Repubblica Ceca e Belgio, per una classifica che continuava comunque a tenere Viviani e Coledan aggrappati al bronzo (Belgio 28, Spagna 18, Italia 12, Repubblica Ceca 11, Nuova Zelanda 8). A questo punto, il momento di caos generale che ha mandato in tilt la giuria, risultata incapace di cogliere appieno quanto accadeva. Avevamo ancora al comando il terzetto con Spagna, Svizzera e Repubblica Ceca; subito dopo lo sprint, l'Austria è uscita in caccia, cercando di riportarsi sulle tre squadre di testa. A quel punto belgi e tedeschi sono rimasti soli in mezzo, tra chi era davanti e i due gruppetti alle loro spalle (quello di Francia, Russia e soci e quello comprendente Italia e Nuova Zelanda).

Quel che è accaduto è che ai -14 un rallentamento dei due gruppetti ritardatari ha permesso alle tre coppie di battistrada, e subito dopo agli austriaci, di completare la conquista del giro, mentre Belgio e Germania non ce l'hanno fatta e sono rimasti quindi in caccia, ovvero al comando della corsa. Solo che Spagna, Svizzera, Repubblica Ceca e Austria, avendo preso il giro, erano ora in vantaggio su tutti in classifica: avremmo scoperto l'arcano solo una mezz'ora buona dopo la fine della gara, dal riesame dei giudici caldeggiato dagli spagnoli, a cui i conti non tornavano.

Nella virtualità di questa situazione, il tifoso italiano è rimasto quindi convinto fino alla fine di dover difendere quel bronzo nell'ultimo sprint, quel punticino di vantaggio sulla Repubblica Ceca; e visto che i due azzurri continuavano a stazionare nelle retrovie del gruppo, la speranza era che i cechi non riuscissero a conquistare punti nella volata conclusiva. Vana, quella speranza, visto che Blaha e Hacecky presidiavano ottimamente le prime posizioni, pronti allo sprint in cui puntualmente - dopo aver annullato un estremo attacco austriaco - hanno fatto la loro parte, facendosi precedere solo dalla Nuova Zelanda ma precedendo la stessa Austria e la Svizzera.

Grande beffa per l'Italia, abbiamo pensato, visto che in base a questi risultati il Belgio usciva vincitore della prova con 28 punti, davanti a Spagna (18), Repubblica Ceca (14), Nuova Zelanda (13) e Italia (12). In realtà quella volata finale era stata vinta dalla Germania sul Belgio (le due coppie che erano rimaste vanamente in caccia fino alla fine senza che i giudici se ne rendessero conto, considerandole invece in ritardo rispetto al gruppo), con neozelandesi e cechi al terzo e quarto posto.

De Ketele e De Buyst, annunciati come i vincitori della prova, non hanno potuto far altro che esultare e fare il loro giro d'onore, quindi presentarsi alle interviste pre-premiazione, e attendere, con spagnoli e cechi, di salire sul podio per raccogliere medaglie e allori. A quel punto però è iniziato il riesame di tutto il finale di gara, con l'entourage spagnolo che chiedeva chiarezza e con la giuria che, dopo attente analisi dei filmati e lunghi conciliaboli coi cronometristi, hanno emesso il verdetto definitivo: effettivamente ai primi quattro posti balzavano le quattro coppie col giro di vantaggio, e la Spagna era quella con più punti (18), contro i 12 della Repubblica Ceca, i 7 della Svizzera e i 2 dell'Austria, rimasta giù dal podio.

Quinto il Belgio con 31 punti ma un giro di ritardo, e sesta l'Italia con 12 punti, due in più di Germania e Nuova Zelanda. Quindi Russia e Francia con 1 punto e un giro di ritardo, Colombia (0 punti, un giro di ritardo), Messico (0 punti, 2 giri di ritardo), Hong Kong (2 punti, 3 giri di ritardo), e - sorprendenti fanalini di coda - in 14esima e 15esima posizione, a 4 giri di ritardo, Australia (con 4 punti) e Gran Bretagna (0 punti).

In un modo o nell'altro, quindi, ciò che non è mai stato in discussione è che l'Italia, in lizza fin quasi alla fine per una medaglia, è rimasta a secco malgrado una prova assolutamente non disprezzabile, ottenuta più col cuore che con gli automatismi di una coppia, quella formata da Viviani e Coledan, che, pur interessante in prospettiva, dovrebbe iniziare a lavorare a fondo per migliorarsi e arrivare al livello dei più forti al mondo. Ma qui andiamo a scontrarci con quanto scritto ieri sull'impossibilità, stante l'attuale situazione della pista italiana, di operare in maniera veramente proficua e continua.

Le altre medaglie della giornata conclusiva del Mondiale sono state distribuite nell'Omnium e nel Keirin femminile e nella Velocità maschile. L'Omnium era l'unica delle tre gare in cui fosse rappresentata l'Italia, con Simona Frapporti. Ma dopo una scialba prima giornata (con annesso 13esimo posto parziale), la 25enne dell'Astana-BePink non è riuscita a raddrizzare la situazione: se l'è cavicchiata nell'Inseguimento (nona), ma è poi tornata sugli standard di ieri nello Scratch (14esima) e nei 500 metri (12esima), per chiudere con 74 punti, al 14esimo (e quart'ultimo) posto.

Molto più avanti rispetto a lei, l'americana Sarah Hammer, già nettamente in testa ieri sera (4 punti contro i 10 di Laura Trott), dava la mazzata definitiva vincendo l'Inseguimento e portando a 7 le lunghezze di vantaggio sulla britannica. Alla 30enne californiana è bastato controllare senza svenarsi nelle ultime due prove (da lei chiuse al quinto e al quarto posto, e vinte dalla hongkonghese Diao e dall'australiana Edmondson) per chiudere a 14 punti e portare a casa il secondo titolo consecutivo nell'Omnium (in carriera ne ha conquistati pure 5 nell'Inseguimento). Seconda e terza, esattamente come 12 mesi fa, la Trott con 20 punti e la Edmondson con 24; giù dal podio la belga D'Hoore (35 punti) e la spagnola Olaberria (46).

Le ultime prove veloci hanno invece consacrato i due dominatori di questa edizione dei Mondiali. Nel Keirin la splendida Kristina Vogel già a segno nella Velocità individuale e in quella a squadre ha conquistato il terzo oro dominando in lungo e in largo: dopo aver superato senza problemi il primo turno, la tedesca ha vinto la semifinale qualificandosi insieme a Rebecca James e Daniela Gaxiola (eliminate Guerra, Wai Sze Lee e Cueff), mentre nell'altra semifinale Sandie Clair, Anna Meares e Elena Brezhniva facevano fuori Mustapa, Varnish e Morton.

Nella finale la Vogel ha fatto "sfogare" le avversarie (in primo luogo la Meares), per poi passare all'esterno e prendere la testa della corsa già a un giro e mezzo dalla conclusione. Inutile dire che nessuna è più riuscita a superare la 23enne più veloce del mondo, che ha così vinto davanti a Meares e James, con Brezhniva, Gaxiola e Clair a completare l'ordine d'arrivo.

François Pervis ha infine coronato la sua settimana magica affiancando agli ori già presi nel Chilometro e nel Keirin quello conquistato oggi nella Velocità. Dopo i primi turni di ieri, le semifinali contrapponevano il francese al russo Dmitriev, e il campione uscente Bötticher all'australiano Glaetzer. Entrambe le sfide si sono disputate in tre atti, anche se Pervis ha vinto la sua per 2-0. Come si spiega? Col fatto che nella prima semifinale, mentre Pervis andava a vincere, Dmitriev se la vedeva con un salto di catena che per poco non lo faceva cadere. Ripetizione della prova, quindi, e successo del transalpino, che ha dovuto di fatto vincere due volate per andare sull'1-0; il secondo sprint con Dmitriev non ha poi avuto storia, e ha proiettato Pervis verso la finale.

L'altra semifinale è stata invece molto più battagliata. La prima volata ha visto Bötticher imporsi in rimonta su Glaetzer; nella seconda prova, l'australiano ha invece resistito al ritorno del tedesco, vincendo al fotofinish e portando l'avversario alla bella. Qui, dopo un approccio molto tattico, Glaetzer ha voluto di nuovo prendere la volata in testa, esponendosi come nella prima prova alla rimonta di Bötticher, che ha così fatto 2-1 e staccato il biglietto per la finale.

Medesimo copione, per Glaetzer, anche nella sfida per il bronzo con Dmitriev: entrambe le volate prese in testa, entrambe concluse con la rimonta dell'avversario. La finale per l'oro ha avuto ancor meno storia di quella per il terzo posto: nonostante il valore di Bötticher, Pervis ha dominato entrambi gli sprint, andando a prendere un meritatissimo terzo oro, che lo eleva al livello di tanti illustri predecessori della scuola francese.

Il meagliere si chiude con la vittoria della Germania (4 ori e 4 argenti) davanti alla Francia (4 ori e 1 bronzo), in pratica un trionfo continentale europeo. Terza l'Australia (3 ori, 2 argenti, 3 bronzi), quindi Gran Bretagna (2 ori, 1 argento, 2 bronzi), Nuova Zelanda (1 oro, 1 argento, 3 bronzi), Usa e Colombia (1 oro, 1 argento), Russia (1 oro, 4 bronzi), Spagna (1 oro, 1 bronzo), Belgio (1 oro), Cina (2 argenti, 1 bronzo), Canada, Olanda e Svizzera (1 argento, 1 bronzo), Repubblica Ceca, Irlanda, Polonia e Danimarca (1 argento), Hong Kong (1 bronzo). In totale, dopo 19 gare abbiamo 19 nazioni a medaglia, guarda un po' il caso.

Nessun caso, invece, per l'assenza dell'Italia da questo computo. L'impresa di conquistare almeno un bronzo non era facile già in partenza, dopodiché se sconti alcuni momenti negativi dai tuoi uomini di punta (Viviani nella Corsa a punti), o se ti manca la capacità di finalizzare anche quando hai costruito qualcosa di buono (Bronzini nella Corsa a punti, Viviani e Coledan nella Madison, Coledan nell'Inseguimento), è facile che si torni a casa con la bisaccia vuota.

Alle contingenze di gara e alle problematiche strutturali della pista azzurra, aggiungiamo anche qualche scelta non del tutto condivisibile da parte dei ct Marco Villa e Dino Salvoldi. Il primo avrebbe potuto limitare il contributo di Viviani a due gare (Corsa a punti e Madison), lasciando magari che fosse Castegnaro a cimentarsi con lo Scratch, giusto per fare esperienza, invece di essere buttato nel tritacarne dell'Omnium. Non parliamo certo di scelte che avrebbero cambiato il segno della spedizione italiana, e comunque spendere Viviani in tre prove è una scelta che ha anche i suoi lati condivisibili, e che rientra nelle facoltà del ct (come anche la decisione di privilegiare Coledan a scapito di Bertazzo nella Madison).

Più complesso il discorso riguardante Salvoldi, che si muove ormai da anni come un deus ex machina di tutto quel che è ciclismo femminile in Federazione, e nei cui confronti da più parti cresce una sorta di insofferenza. C'è chi dice ad esempio che chi fa parte del "cerchio magico" del ct gode di privilegi e convocazioni, al contrario di chi non è così "dentro": «Se non fai parte del suo gruppo, non hai possibilità di essere convocato in Nazionale anche se hai dimostrato di meritarlo ampiamente», ha dichiarato per esempio qualche giorno fa Roberto Bressan, presidente del Cycling Team Friuli, urtato dalla mancata convocazione della sua atleta Laura Basso: «I risultati dicono che è la migliore pistard italiana nello scratch da tre stagioni, eppure è regolarmente ignorata. Pretendo allora che il consiglio federale mi dia una risposta ufficiale perché si fa tanto parlare di meritocrazia, ma, poi, i criteri di scelta sono altri».

Dell'operato di Salvoldi a Cali ha fatto discutere soprattutto la scelta del quartetto dell'Inseguimento a squadre, con la Tagliaferro inspiegabilmente preferita alla Bartelloni, che di quel quartetto faceva parte in pianta stabile e che invece in Colombia ha gareggiato solo nell'individuale. I risultati hanno poi dato torto al ct, a cui si potrebbe rimproverare anche una non perfetta dislocazione delle atlete nelle varie prove: ecco, e se per lo Scratch si fosse per l'appunto convocata e utilizzata la Basso, lasciando che la Bronzini si concentrasse sulla Corsa a punti? E se, anziché una grigia Frapporti, nell'Omnium si fosse schierata Annalisa Cucinotta, portata a Cali per fare la riserva e mai fatta scendere in pista? Magari è vero, come si vocifera, che non fosse al meglio della condizione, ma è anche possibile che la Cucinotta potesse fornire qualche lampo in almeno una delle sei prove dell'Omnium.

Il Mondiale colombiano ci lascia insomma tutta una serie di nodi irrisolti, coi quali ci ritroveremo senz'altro ad avere a che fare tra 12 mesi, nel prossimo appuntamento iridato. Per noi vale la teoria dell'eterno ritorno; il problema è che quel ritorno ci riporta sempre in un contesto di sabbie mobili.

Marco Grassi

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