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Doping&Antidoping: Ma che Iene frega di voi al ciclismo? - Di Luca, la junk-intervista, le reazioni | Cicloweb

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Doping&Antidoping: Ma che Iene frega di voi al ciclismo? - Di Luca, la junk-intervista, le reazioni

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Danilo Di Luca nell'intervista rilasciata alle Iene © www.outdoorblog.it

Come porsi di fronte all'ennesima intervista scandalistica che viene presentata come una bomba pronta a esplodere nel mondo del ciclismo, e che invece si ridurrà ad essere la solita spalata di fango che non aggiunge praticamente niente a quello che tutti potevano immaginare da una vita, con l'aggravante di non essere nemmeno aggiornatissima sulle evoluzioni del fenomeno doping nello sport?

La tentazione di fare spallucce e rispedire al mittente non tanto le accuse, ma l'intera modalità con cui queste accuse vengono vomitate su questo sport, è forte. Per l'appunto, che Iene frega di voi al ciclismo? Perché sembra chiaro che non di fronte a una denuncia circostanziata ci troviamo, bensì al cospetto del consueto teatrino che non mira a far luce e chiarezza, ma solo a banchettare sui supposti resti dell'ambiente ciclistico. Iene, appunto; o avvoltoi, se si può usare questo termine per precisare ulteriormente...

Peccato che quel che Danilo Di Luca dice, nell'intervista rilasciata al programma scandalistico di Italia 1, l'avrebbe potuto affermare qualsiasi non diciamo addetto ai lavori, ma anche solo appassionato di ciclismo. Il fior da fiore delle dichiarazioni dell'abruzzese: «Senza doping non finisci il Giro nei primi 10; ho iniziato a doparmi per stare al passo con chi già lo faceva; il doping è un paio d'anni in anticipo rispetto all'antidoping; il 90% dei ciclisti si dopano nonostante i controlli, e sono bravi a farla franca; io sono stato meno bravo degli altri perché mi sono fatto beccare, e a volte è questione di poche ore l'essere nella norma o fuori; se il doping non ci fosse per nessuno, i valori resterebbero immutati; forse la cosa migliore sarebbe la liberalizzazione, ma non ci si arriverà».

L'unica cosa relativamente nuova che Di Luca rivela in questa intervista (che andrà in onda stasera, ma di cui sono già da ieri disponibili ampi stralci) è che quel 10% che corre il Giro pulito, non lo fa per una questione etica, ma semplicemente perché ha altri obiettivi stagionali, e quindi si doperà in un altro momento dell'anno. L'altra cosa di un certo rilievo è la convinzione che il doping non faccia male alla salute, ma sia semplicemente un supporto chimico alla propria attività, con notevoli benefici per il fisico (a patto di non esagerare).

Se fossimo nel 1995, o nel 2000, o anche nel 2005, potremmo anche restare a bocca aperta di fronte a tanto "disvelamento", ma siccome siamo ormai particolarmente scafati riguardo al tema, facciamo fatica a sorprenderci. Sì, il quadro che raffigura Di Luca, checché ne dicano alcune anime candide anche dello stesso ambiente del ciclismo, può avere una sua veridicità di fondo, ma qui la questione è un'altra. Il discorso del doping non può più essere affrontato nella maniera ridicola delle Iene, del tutto decontestualizzato dal resto dello sport, e senza che si faccia cenno a quello che proprio nel ciclismo è cambiato in questi anni.

Perché sì, qualcosa è cambiato. Il che non significa che il doping sia stato debellato, ma da sempre non era questo il risultato cui ragionevolmente si poteva ambire. Quello che si poteva fare era cercare una riduzione del danno, limitare la fioritura di eroi per un giorno che facevano exploit inconcepibili per poi tornare l'indomani nel dimenticatoio. Non che anche oggi ciò non accada, ma se capita soprattutto in corse di seconda fascia, qualcosa vorrà dire: vorrà dire che il passaporto biologico, utilizzato per i corridori dei team World Tour e Professional (e non per quelli Continental, che sono per l'appunto più attivi in gare di second'ordine), se non ha cancellato il fenomeno del doping, l'ha comunque limitato.

Le finestre per l'utilizzo di sostanze vietate sono più ristrette di un tempo, e il sistema di monitoraggio va certo migliorato (e molto), ma per la prima volta da quando ci occupiamo di ciclismo possiamo dire che sì, si è imboccata una strada finalmente percorribile. L'obiettivo è quello di rendere il ciclismo, se non pulito (lì, francamente, non ci si arriverà mai), quantomeno credibile. Un ciclismo in cui si possano vedere i più forti lottare lungo l'arco di una stagione, e non solo in pochissimi appuntamenti selezionati in base a picchi di forma stratosferici quanto poco durevoli. Questo sta sempre più avvenendo, da qualche stagione in qua, ed è senz'altro un bene.

Ora, poste queste riflessioni (tanto semplici che anche un bambino le potrebbe fare), la domanda successiva è: cosa hanno fatto, di paragonabile, le altre discipline sportive, per giungere agli stessi risultati che il ciclismo sta faticosamente perseguendo? Si va dal poco al nulla, ma questo le Iene badano bene di non ricordarcelo. Il loro interesse è solo rimestare nel torbido, ma chiamare a testimoniare un corridore ahilui screditato dalle proprie vicende giudiziario-sportive, e quindi facilmente impallinabile alla prova della credibilità, rischia di essere addirittura un autogol (per una trasmissione che tra l'altro sta a propria volta sperimentando seri crolli di credibilità in seguito al caso Stamina).

Perché Danilo, qualunque sia stato il motivo per cui ha rilasciato tale intervista (qualcuno dice che l'abbia fatto per soldi, chissà; altri dicono che sia consigliato malissimo da chi ha intorno in questo momento), era già particolarmente inviso all'ambiente dopo i fatti dell'ultimo Giro d'Italia. Non diciamo che sia giusto il trattamento riservato dal ciclismo al corridore abruzzese, né tantomeno rinneghiamo alcunché delle belle parole che abbiamo speso negli anni per un atleta che è stato in grado di dare spettacolo, emozionare, regalare momenti di gioia a tante persone.

Diciamo però che ora sarà facilissimo che le conseguenze di questa cafonata (non ci vengono termini migliori per definire l'intervista in questione) ricadano quasi esclusivamente sulle sue spalle: le reazioni di tanti corridori sono al limite dello scomposto, i social network in queste ore pullulano di offese personali nei confronti di Danilo, ma quel che è peggio per lui, sono alle viste immediate azioni giudiziarie: l'ACCPI (l'associazione dei corridori) ha annunciato che sporgerà querela per diffamazione nei confronti dell'abruzzese e della trasmissione; lo stesso promette la FCI, per bocca di Di Rocco. Dal canto suo, la Procura antidoping del CONI ha già convocato l'ex ciclista per il 30 gennaio, per un'udienza in cui Danilo verrà sentito in merito alle sue stesse affermazioni, in qualità di persona informata sui fatti.

Né si può pensare che la partecipazione al programma di Italia 1 possa aiutare la vendita delle bici che Di Luca produce e vende: insomma, da questa vicenda deriveranno al 38enne di Spoltore solo pubblicità negativa e guai giudiziari, mentre gli autori della trasmissione, che in queste cose ci sguazzano, non subiranno sostanziali ripercussioni (ma nemmeno lucreranno boom di audience, speriamo!).

In definitiva, una vicenda triste. Come cantava il Vasco, "non sono gli uomini a tradire, ma i loro guai". Non proviamo rabbia nei confronti di Di Luca, che appunto di guai evidentemente ne ha tanti. La proviamo per chi lo sta usando per bassi fini e senza alcun costrutto. Riguardo a lui, possiamo solo dire che ci dispiace moltissimo che la sua vicenda sportiva (col rischio di essere seguita da quella umana) vada a finire in questo malinconico modo.

Marco Grassi

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