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Elezioni UCI: Welcome Cookson, bye bye McQuaid! - Finalmente l'atteso, sospirato cambio della guardia

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Passaggio di consegne tra Pat McQuaid e Brian Cookson alla presidenza UCI © i.telegraph.co.ukNo ragazzi, non è giusto esultare in maniera lasciva, manteniamo l'aplomb necessario, evitiamo di spernacchiare chi ha malamente perso le elezioni per la presidenza UCI, indipendentemente da vincitori e vinti teniamo un rigoroso profilo istituzionale, il momento è di quelli importanti e non possiamo... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ma dài!!! Ma chi prendiamo in giro? Da ore facciamo salti di gioia, si è chiusa l'era più buia di questo sport, ed è giusto, umano, quasi sacrosanto festeggiare. Non per interessi di parte, o peggio personali, bensì per il bene del ciclismo tutto.

Pat McQuaid non è più il presidente dell'Unione Ciclistica Internazionale. Il suo posto è stato preso da Brian Cookson, un britannico soppianta un irlandese, il giro di valzer è geograficamente circoscritto a poche centinaia di chilometri, ben singolare elemento nel momento in cui si discutono le sorti del ciclismo globale e globalizzato.

Sarà, colui che ha lanciato in orbita il ciclismo britannico negli ultimi 3 lustri, l'uomo giusto per fare altrettanto con l'intero movimento? Sarà in grado, il neopresidente, di unificare le migliori istanze dell'ottennato di McQuaid (l'inclusione di ampie aree di pianeta precedentemente denegate al ciclismo: forse questa è l'unica, a pensarci bene), con nuove spinte e giusti stimoli per rilanciare il prodotto ciclismo, ridotto negli ultimi anni ad essere sballottolato tra uno scandalo e l'altro?

Impossibile dirlo oggi, questo è solo il giorno del cambio della guardia, atteso, sospirato, necessario e ormai non più differibile: solo i vischiosi giochi di palazzo avrebbero potuto prolungare di un altro mandato il regno di McQuaid (e a dirla tutta, il rischio s'è davvero corso). Ci sarà tempo per valutare le mosse di Cookson, il quale, per intenderci, non è portatore sano del tocco di Re Mida, ai nostri occhi: le voci su prebende promesse (anche dalla sua schiera, e non solo da quella dell'"orrido" Pat) ai delegati chiamati oggi al voto sono tutt'altro che rassicuranti, in merito ai metodi del nuovo corso.

Al contempo, il fatto che il britannico abbia basato gran parte della sua campagna sul discorso "lotta al doping", non ci esalta, tutt'altro. Il ciclismo continua a dibattersi nelle acque melmose di questo problema, e il nuovo presidente parte, nel suo incarico, proprio da questo tema. Speravamo in qualcosa di più alato, sinceramente. Ma si comprende anche che, dal punto di vista elettoralistico, tale tema fosse fortemente perdente per McQuaid (coinvolto nell'affaire Armstrong), e quindi giocoforza il suo avversario doveva puntarci forte. Non è detto, peraltro, che la sbandierata volontà (da parte di Cookson) di porre l'antidoping in mano a un ente terzo indipendente dall'UCI porti a un miglioramento dell'immagine del ciclismo: certo, l'Unione Ciclistica Internazionale si porrebbe al riparo da dubbi sul suo operato, ma in Italia ricordiamo bene l'accanimento del procuratore antidoping del CONI Ettore Torri, quando la FCI gli mise in mano (in qualità di "ente terzo") la gestione dell'antidoping federale.

Dubbi, dubbi su dubbi, insomma. Siamo troppo scottati dall'aver assistito a un lento ma inesorabile declino del ciclismo, negli ultimi 20 anni, per avere ancora la forza di credere in un nuovo messia.

Eppure festeggiamo lo stesso, oggi, perché il cambiamento è in sé salutare. Che si possano intravedere modi nuovi, dopo oltre quattro lustri di politiche "ciclisticamente liberiste" (tese quindi a premiare la potenza economica anziché la solidarietà tra le parti: bum, l'abbiamo buttata lì un po' grossolanamente, ma non è che siamo così lontani dal focus), e che soprattutto possano essere persone diverse a guidare il carrozzone del ciclismo, non abituate quindi a un certo tipo di gestione, e conseguentemente latrici di un approccio che possa fungere da shock positivo per il nostro sport, beh, è un fatto rimarchevole. L'alternativa quale sarebbe stata, del resto? Quale credibilità avrebbe avuto un McQuaid ter, dopo gli scandali di questi anni, l'incapacità dimostrata in merito a diverse questioni, e l'usura della pazienza dei tanti attori del ciclismo (non ultimi gli stessi appassionati)?

Da dove dovrà ripartire, quindi, l'UCI? Da un clima più disteso, senz'altro: il congresso odierno è stato una summa e un sunto della gestione cavillosa, prepotente, clientelare, delle presidenze di McQuaid e prima ancora di quelle di Verbruggen. Ore e ore di discussione sulla legittimità della candidatura di Pat, legata all'accettazione di alcuni emendamenti proposti da federazioni minori (quella malese, quella di Barbados...), poi dichiarata comunque valida dagli esperti di diritto presenti in loco, in ogni caso soggetta a eventuali ricorsi al TAS in caso l'irlandese avesse finito col vincere... Ma alla fine la questione non si pone più, Cookson ha vinto con margine, 24-18, fine di ogni diatriba e via col nuovo quadriennio.

All'ordine del giorno, per il nuovo presidente, alcuni punti già rimarcati dal Consiglio del Ciclismo Professionistico, a partire da uno snellimento del World Tour, che nell'attuale formula si è rivelato un sostanziale fallimento (e a chi chiederne conto, se non a McQuaid?): troppo onerosa la gestione dei superteam del WT, troppa la distanza tra squadre e corse di prima fascia rispetto a quelle di seconda, per un meccanismo che, in funzione da anni in tal guisa, sta letteralmente prosciugando quei movimenti nazionali su cui per oltre un secolo si è basato il ciclismo. Che non si potesse immaginare questo sport senza un ruolo forte, centrale, di quegli stati europei nei quali esso è diventato grande, l'avevamo capito tutti da anni. Tutti tranne McQuaid. Ora, forse, siamo ancora in tempo per un'inversione di rotta. Per la quale i meriti li assumerà Cookson, anche se forse pure Pat avrebbe innestato la retromarcia: ma va così, l'irlandese avrebbe dovuto rendersi conto di tutto ciò già da qualche anno.

Maggiore solidarietà tra le varie componenti del ciclismo: bisogna entrare in un'ottica secondo cui le logiche del quartierino non devono più trovare cittadinanza. Se cresce il ciclismo, cresce per tutti e non solo per alcuni. Non vogliamo più vedere lotte tra organizzatori e corridori, tra corridori e squadre, tra squadre e UCI, tra UCI e federazioni nazionali. Bisogna remare tutti nella medesima direzione, l'obiettivo dev'essere erodere spazi ad altri sport (o trovarne comunque di nuovi), non rubarsi pezzetti di protagonismo a spese di altri attori del ciclismo.

In questo discorso passa per forza anche un forte rilancio del settore femminile, oggi ai limiti del dilettantismo; e pure della pista (ma in tal senso pare che Cookson sia una certezza, visto quanto realizzato nella sua federazione nazionale). Saremo qui, non con due ma con 100 occhi aperti, per seguire gli atti del nuovo presidente, senza fare sconti, ma pronti a giudicare con la giusta imparzialità quanto verrà realizzato (o non realizzato).

Un ultimo pensiero lo dedichiamo alla posizione dell'Italia in questo grande girotondo: tutto lasciava pensare che il delegato della FCI, Giovanni Duci (fedelissimo di Di Rocco), avrebbe votato per McQuaid, nonostante l'obbligo (teorico, visto che la votazione presidenziale era a scrutinio segreto) ricevuto dal voto dell'Unione Ciclistica Europea (la quale aveva stabilito di appoggiare Cookson). Tutte le indicazioni della vigilia accreditavano McQuaid di un piccolo vantaggio nei confronti dello sfidante, invece il margine di 6 voti in favore di Cookson suggerisce che qualcuno possa aver fatto il classico salto della quaglia in corsa.

Del resto lo stesso Di Rocco, in questi giorni, quasi si è vantato di essere molto corteggiato da ambo le parti: vota per me e avrai... Il fatto che il presidente della FCI si ritrovi confermato nel Consiglio Direttivo dell'UCI, ci dice che probabilmente ancora una volta, fiutata l'aria appena in tempo, il lupo abruzzese abbia scelto la preda giusta (in tal caso McQuaid). E da frondista nei confronti del nuovo presidente, si ritrova nella stanza dei bottoni.

Quella stanza in cui, peraltro, 10 consiglieri su 14 sono identici alla gestione McQuaid. L'undicesimo, che era Cookson, è stato promosso a più alto incarico; gli avvicendamenti sono il marocchino Belmahi al posto del tunisino Louafi; il turco Müftüoglu al posto dell'esponente degli Emirati Arabi Al Qassimi; il ceco Stetina al posto dello stesso Cookson; il belga Van Damme in luogo dell'olandese Atsma. Confermati, con Di Rocco, il portoghese Lopes, il russo Makarov, il danese Pedersen, lo statunitense Plant e i cinque presidenti di federazioni continentali, ovvero il francese Lappartient per l'Europa, il cubano Pelaez per l'America, il coreano Cho per l'Asia, l'egiziano Azzam per l'Africa e l'australiana Gaudry per l'Oceania.

Considerando che i nuovi entrati non sono degli antiMcQuaidiani di chiara fama (anzi, alcuni erano proprio pro Pat), sarà interessante vedere come il presidente Cookson saprà conquistare l'intero Consiglio Direttivo alle proprie proposte. Ci sarà tempo per capirlo.

Marco Grassi

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