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Caso Armstrong: UCI, per piacere basta così - McQuaid, una vergognosa e irresponsabile conferenza stampa

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Pat McQuaid durante la conferenza stampa di Ginevra © Foto Bloomberg.com

Nel giorno in cui Pat McQuaid getta finalmente la maschera, scopriamo cosa c'era sotto: un'altra maschera. La conferenza stampa con cui a Ginevra l'UCI ha annunciato che non presenterà ricorso contro la decisione dell'USADA di radiare Lance Armstrong è un punto di non ritorno, e rappresenta il momento in cui tutto il mondo ha finalmente capito che, per gestire un'intera impalcatura di finzioni e bugie, è necessario per l'ente che governa il ciclismo mondiale tenere in piedi un'impalcatura supplementare. Quello che non cambia sono le finzioni e le bugie.

Di tali elementi la conferenza stampa è stata ricca fino alla nausea, ma se McQuaid sperava di poter continuare impunemente a rimpinzare di panzane il globo, beh, si sbagliava di grosso. Perché una cosa è ormai certa, a livello mondiale: a Pat e alla sua allegra combriccola non crede più nessuno. Qualcuno, in un'orgia di realpolitik in cui sarà importante per i singoli soggetti conservare rendite di posizione acquisite negli anni del (basso) impero di Aigle, continuerà a fingere di ritenere credibile quanto diffuso dall'UCI. Ma tutti, nel proprio intimo, ora sanno la verità, e nessuno ha argomenti che possano realmente mettere in difficoltà quanto finalmente è emerso con tutta la potenza necessaria e inevitabile: il ciclismo corrotto che conosciamo non è altro se non il figlio di un gruppo di potere che ha contribuito direttamente a tale corruzione. Che l'ha creata ex novo, potremmo dire, perché solo così era possibile tenere le (danarose) redini del carrozzone.

Lance Armstrong si trova in mezzo a questa vicenda dopo essere stato per anni la stella più ammirata del ciclismo a fumetti targato UCI. Non usiamo a caso questo concetto, perché la definizione di eroe dei fumetti fu usata da Marco Pantani in relazione alle imprese del texano. In illo tempore Lance, per la sua storia di straordinaria rinascita, per l'essere sopravvissuto a un cancro (fatto che secondo molti escludeva ontologicamente l'abuso del proprio corpo da parte dell'americano), era considerato un esempio del ciclismo nuovo e pulito, antitetico alle zozzerie del vecchio ciclismo marchiato (d'infamia) Pantani.

Lo stesso sporco gioco prova a farlo oggi McQuaid, mettendo all'indice (con una violenza forse mai vista prima) il nuovo reietto, fino a ieri protetto e amato, e prendendo come esempi del ciclismo pulito Wiggins e Gilbert: «Dalle loro parole capiamo che possiamo voltare pagina, che c'è stato un cambiamento culturale». Prima che tra dieci anni magari si scopra che c'era qualcosa dietro alle imprese di questo o di quel ciclista, gli appassionati (quelli che, pervicacemente, rimangono attaccati a questo sport) farebbero bene a non cadere più nel tranello, speriamo che la brutalità di questa vicenda serva quantomeno ad aprire gli occhi di quelli che continueranno a seguire il ciclismo.

McQuaid parla di un'era Armstrong come di un tempo lontano e ormai sepolto nell'evoluzione umana, eppure le inchieste dell'USADA ma soprattutto del pm Roberti a Padova (quel che finora trapela, perlomeno), ci parlano di un ricorso a pratiche illecite che persiste, e che non è legato all'errore di una mela marcia ogni tanto, bensì è sistema. Roberti ci dice che nel 2010, nel 2011, l'altro giorno, il dottor Ferrari continuava a ricevere, seguire, curare alcuni dei corridori più in vista del movimento. E allora diciamolo forte, non vogliamo che tra 10 anni il prossimo presidente UCI ci parli dell'era Wiggins, non ci serve più questo tipo di approccio.

Perché l'indecente McQuaid oggi scarica ogni responsabilità dell'UCI e non parla ad esempio di era Contador? Eppure un paio d'anni fa a Aigle si stava facendo esattamente quello che si fece a lungo con Lance: si tentava di coprire (malamente messi alla berlina da una soffiata francese) la positività di Alberto al clenbuterolo. «È un nuovo punto di partenza», dice McQuaid di questo scandalo. Ma quando mai, Pat? Questo è il capolinea, e se non l'hai ancora capito sei completamente fuori dal mondo, oltre che in malafede.

L'UCI non ha più alcuna autorità morale, e se prima ciò era desumibile dalle analisi di pochi (i tanti ululavano il loro appoggio all'antidoping farlocco di Aigle), oggi questo concetto straborda per ogni dove. Tra i molti che hanno seguito la conferenza stampa di oggi, o che ne hanno letto sugli organi di informazione, non ce n'è stato uno che abbia preso per buone le fandonie di McQuaid. Un uomo in difficoltà (balbettante davanti a certe facili domande, come ad esempio quella sui rapporti tra Vinokourov e Ferrari), che ha perso completamente il contatto con la realtà e che prova a far passare per buone montagne di chiacchiere.

«Continueremo a lottare contro il doping», la stessa frase detta l'altro giorno per commentare l'addio della Rabobank, che pure è stato spiegato chiaramente dal management olandese come «causato dalla fine della credibilità dell'UCI». L'incapacità di leggere la realtà, questa realtà che sfugge ingloriosamente di mano all'Unione Ciclistica Internazionale, sarà ciò che porterà al collasso il sistema gestionale di McQuaid e soci. Il collasso del ciclismo che cerca a ogni costo il profitto, e lo cerca in Cina e in Malesia, in America e in Medio Oriente, in Gran Bretagna e in Turchia, ovunque ci sia la possibilità di drenare risorse, insomma.

Un ciclismo intorno a cui ronzano come fastidiose mosche affaristi e intrallazzatori, un ciclismo in cui i corridori continuano a non avere la minima libertà di parola, pensiero, espressione diversa da quella approvata dal mainstream UCI (e poi Pat prende a esempio le parole ipocrite di questo o quel ciclista...), un ciclismo per il quale i tempi sono maturi anche per le domande più scottanti, come ad esempio: da dove partì la soffiata che diede il via a Operación Puerto?

Questo è il ciclismo con cui vogliamo chiudere i conti per sempre, perché ancora una volta non cambierà niente con la cacciata del dopato di turno, anche se il dopato di turno è un uomo che ha interpretato il proprio regno con l'arroganza degli impuniti e l'alterigia dei protetti. Cambierà qualcosa solo se l'intera baracca denominata UCI verrà smembrata fin nelle fondamenta, fin nell'idea di legittimità, fin nello statuto, fin nella stessa sede, che forse non è più il caso resti in Svizzera.

Venerdì l'UCI tornerà a sentenziare, visto che oggi McQuaid non aveva ben studiato la lezione e non ha voluto rispondere a eventuali domande sul coinvolgimento dell'ente da lui presieduto nella vicenda Armstrong. Aspettiamoci un altro profluvio di balle e un'altra scarica di balbuzie. Di meglio, da questo disperante gruppo dirigente, non ci si può attendere. Qualcosa, invece, potremmo aspettarci dalla più volte idealizzata superlega del ciclismo professionistico, formata da squadre, organizzatori e corridori. In tutto ciò che è ciclismo, a ben pensarci, l'UCI è stata fino ad oggi un ostacolo più che un supporto. Forse è davvero giunta l'ora di farla finita.

Marco Grassi

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