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Caso Armstrong: «Mi seguì Ferrari, Liquigas sapeva» - Ma la squadra smentisce Leonardo Bertagnolli | Cicloweb

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Caso Armstrong: «Mi seguì Ferrari, Liquigas sapeva» - Ma la squadra smentisce Leonardo Bertagnolli

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Leonardo Bertagnolli vince la Clásica San Sebastián 2007 in maglia Liquigas © sbs.com.auNell'affaire US Postal Service c'è proprio tanta Italia. Si potrebbe liquidare l'argomento affermando che la presenza del dottor Michele Ferrari, passaggio fondamentale per inserire una marcia in più, è sufficiente per italianizzare lo scandalo (ma vogliamo chiamarlo per quello che è, ossia una raccolta di dichiarazioni messe nero su bianco di ciò che si dice a mezza bocca da anni?).

In realtà c'è davvero molto di più. Per capirlo basta leggere, oltre alle dichiarazioni spontanee di atleti e staff della squadra, gli interrogatori di Leonardo Bertagnolli (convocato oggi e d'urgenza dalla Procura Antidoping del CONI) e di Volodymyr Bileka, ucraino ma ben radicato qui da noi insieme a Yaroslav Popovich. Due corridori agli antipodi e non solo per le loro caratteristiche.

Dalle conclusioni del verbale d'interrogatorio di Bertagnolli redatte da Benedetto Roberti, il «deficiente di PM di Padova», come lo chiama Michele Ferrari davanti ai suoi clienti, appare «evidente, se confrontato con la vicenda Bileka, che Bertagnolli appartenga alla clientela d'Élite, quella che paga bene, non sacrificabile con un trattamento a base di EPO come quelli di livello inferiore e meno remunerativi».

Tradotto: Bileka, l'amico di Popovich che vuole fare un salto di qualità, incute quasi compassione, presentato a Ferrari sempre da Popovych («il dottore aveva qualche dubbio se prendermi o meno sotto la sua cura in quanto non era convinto del mio valore, sia sportivo sia economico») e dopo un lungo percorso accettato, quindi iniziato all'EPO, a cui verrà trovato positivo durante un controllo a sorpresa a casa sua, a Quarrata.

Se Bileka si spiana relativamente la strada dopo un lungo percorso, diverso è per Bertagnolli, il cui interrogatorio è decisamente più interessante. È proprio lo stesso Leonardo a svelare come conobbe Ferrari, quando ed in quali modi. Tutto con Ferrari ha inizio nel 2002, «nei primi anni di professionismo, quando correvo con la Saeco». Dal '97 soffre di problemi alla tiroide e li vuole risolvere con l'aiuto di Ferrari. All'inizio dei test ma nessuna pratica illecita, poi il rapporto s'interrompe per volere dello stesso Ferrari. Schumi (come lo chiamano gli US Postal), infatti, detta; i corridori eseguono, o almeno così pare.

A fine 2006 però Bertagnolli ritorna da Ferrari «avendo avuto un contratto con la Liquigas per l'anno successivo». Allora, ricapitolando: c'è un medico chiacchierato che riceve un cliente nel 2002. Non lo può seguire per tre anni di Saeco e due di Cofidis, dopodiché, al grande salto, lo riaccoglie a braccia aperte. Non tanto perché gli è girata la luna quanto perché con questo salto (e dunque quello stipendio) Schumi-Ferrari si sente più "invogliato" a preparare i clienti. Ma il punto qui non è tanto Ferrari, o almeno non solo, quanto la consequenzialità (Bertagnolli va da Ferrari nel 2006 «avendo avuto un contratto con la Liquigas per l'anno successivo»).

Ancora Bertagnolli: «Chiesi a tutto il personale della Liquigas (Amadio, Corsetti) di poter frequentare Ferrari per curare i miei problemi [di tiroide, n.d.r.] e nessuno si oppose alla mia decisione». «Ferrari mi rispose che dato che sapeva che correvo per la Liquigas non c'erano problemi per seguirmi. In quella situazione mi disse che il preparatore "deve conoscere l'atleta ed aggiustare il tiro"». Bertagnolli capisce al volo ed inizia l'idillio con il dottore, da cui si reca periodicamente, «anche perché nel 2007 avevo l'avallo della Liquigas».

Test a Monzuno, prelievi di sangue nel famoso camper di Ferrari dove evidentemente non ci si fa solamente la doccia, ritiri in altura - Teide o Livigno - con conseguenti visite a o da Ferrari, che ai livignaschi chiede incontri oltre confine, nei dintorni di St. Moritz, mentre al Teide affitta direttamente una camera all'Hotel Parador e lì riceve i corridori. Ancora cure a base di EPO (cui Bertagnolli viene iniziato da Filippo Manelli, mentre «Ferrari [...] mi ha indicato un modo diverso di assumerla»), "dentro e fuori", ossia autoemotrasfusioni.

Bertagnolli le fa dall'agosto 2008, essendo diventata obbligatoria la reperibilità dell'atleta (ed aumentata quindi la possibilità di venir trovati positivi all'EPO), dopodiché la Liquigas gli «vietò di andare da Ferrari cambiando atteggiamento nei confronti delle frequentazioni prima tollerate». Insomma, c'è troppe volte la parola 'Liquigas' in quest'interrogatorio; è ben più di un "non potevano non sapere", questo che Bertagnolli rivolge inconsapevolmente alla sua ex squadra rispondendo a delle semplici domande. Se fosse il solo ad essere ricorso a tali pratiche, ad un medico chiacchierato e con la squadra di cui aveva l'avallo, potrebbe pure sorgere qualche dubbio sulla veridicità delle dichiarazioni.

In realtà anche al di qua dall'oceano, al di fuori dell'US Postal, tanti (tutti?) andavano, sapevano e acconsentivano. Continua Bertagnolli: «So che da Ferrari andavano molti miei colleghi della Liquigas perché tra di noi se ne parlava e la stessa società era consapevole: Pellizotti, Kreuziger, Gasparotto, Chicchi. A fare i test assieme a me in qualche occasione ho visto Pellizotti, Gasparotto e Possoni». Insomma, Liquigas sa e avalla le frequentazioni degli atleti, questo è il quadro che vien fuori.

Smentisce tutto in serata, la squadra, con un comunicato stampa fiume in cui si magnificano le campagne antidoping interne condotte sino ad ora (ad esempio non riconfermando Di Luca, frequentatore dell'altro chiacchierato medico, Santuccione o non acquistando corridori coinvolti in vicende di doping) e si fa notare come il team «proibisse in maniera categorica la frequentazione di preparatori o medici esterni al team (Paolo Slongo e dottor Roberto Corsetti)», con l'eccezione di Ivan Basso, seguito da Aldo Sassi e dal Mapei Center.

Liquigas smentisce inoltre di essere stata consapevole delle frequentazioni esterne, essendo quest'ultime proibite. Insomma, la squadra respinge ogni addebito da parte di Bertagnolli, «il quale presentava anche anomalie nei valori fisiologici», mentre il team «in presenza di indizi ma in assenza di prove non poteva procedere in alcun modo contro l'atleta».

Per chiudere, Liquigas dichiara che Bertagnolli per i problemi alla tiroide «fu autorizzato ad effettuare le consulenze specialistiche necessarie presso l'endocrinologo di Ferrara professor Degli Uberti. In secondo luogo, nel 2006 Bertagnolli non era tesserato per Liquigas Sport». Soffermandoci sull'ultimo periodo qualcosa stride. Anzitutto la data: Bertagnolli dichiara infatti di aver frequentato Ferrari dal 2006 «avendo avuto un contratto con la Liquigas per l'anno successivo», quindi il 2007, se non sbagliamo i calcoli. In secondo luogo la giustificazione: dopo una tirata da mal di testa Liquigas scarica tutto dicendo che il corridore nel 2006 non era dei loro. E dunque? È una mezza giustificazione? Un pallone salvato sulla linea di porta secondo il metodo sperimentato con successo nella scorsa primavera da Gigi Buffon a San Siro? Non si capisce, altrimenti, perché sentirsi in dovere di giustificare un corridore altrui.

Onestamente la notizia della squadra che scarica tutte le colpe sul corridore, senza prendersi le proprie responsabilità, pare di averla già sentita (estraete un caso di doping e verificate la reazione del club). Per chi, sia un corridore d'Élite o meno (rispettivamente Bertagnolli e Bileka, nei casi specifici), ha il coraggio di raccontare come (provava ad) andare più forte, c'è ancora una volta chi cade dal pero. In questo caso Liquigas, che si ritiene estranea al caso e smentisce Bertagnolli, ma potremmo tirare in ballo, sempre per restare in casa Italia, Paolo Savoldelli.

Vincitore del Giro 2005 con la Discovery Channel (ex US Postal) di Armstrong, Bruyneel e compari, Savoldelli si esprime così di fronte alle accuse portate dall'USADA: «Io con Armstrong ho corso 7 mesi, anche in un Tour che lui ha vinto. Da quello che leggo ci sono testimonianze pesanti, risalenti all'epoca della US Postal. Per quanto mi riguarda mi sembra tutto impossibile. Quando sono andato lì c'erano medici molto rigorosi, con esami del sangue prima della partenza di ogni gara, ma non ho mai fatto parte del suo vecchio gruppo della Us Postal». Davvero Paolo poteva non sapere oppure siamo rimasti al giochino che nei verbali USADA viene chiamato "omerta"?

Francesco Sulas

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