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Doping&Antidoping: Lance, finisce proprio male - Armstrong non si difende, l'USADA lo radia, addio ai 7 Tour vinti

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E così finisce malamente, nel fango, nel biasimo, e nella sconfessione di quanto fatto nel corso di una carriera, la vita sportiva di Lance Armstrong.

Ieri notte scadeva il termine entro il quale il vincitore di 7 Tour de France avrebbe dovuto accettare o meno di andare a processo per difendersi dalle accuse mossegli dall'USADA, l'agenzia antidoping statunitense. Se Lance avesse accettato, si sarebbe dovuto confrontare in un procedimento pubblico coi testimoni che hanno deposto presso tale agenzia delle confessioni in cui, oltre ad autoaccusarsi di doping, chiamavano in correità proprio Armstrong. Non accettando - come ha fatto il texano - il processo, l'USADA darà corso alla misura di radiazione nei confronti dell'ex corridore, che così perderà tutti i risultati acquisiti nel periodo fatto oggetto dall'inchiesta, ovvero gli anni 1998-2010.

Una bomba vera e propria, che apre scenari che approfondiremo a parte, e che demolisce letteralmente la figura di un campione fino a poco tempo fa osannato dai più (temuto e detestato dagli altri), ma intorno al quale la tenaglia dell'antidoping si stava sempre più stringendo, offuscando il ricordo delle imprese in bici e ammantando tutta la vicenda sportiva di Lance di dubbi sempre più pressanti.

Un breve riepilogo: l'USADA, basandosi su alcune nuove prove (ovvero su test antidoping di Armstrong relativi agli anni 2009 e 2010 dai quali emergerebbe l'uso di EPO e altre sostanze dopanti), ha dato corso a un'inchiesta volta ad accertare come nei team in cui si è dipanata la seconda carriera di Lance (quella post-cancro) si praticasse doping di squadra. Non meno di 10 testimoni oculari hanno confermato l'uso di EPO, autoemotrasfusioni, testosterone e altre sostanze e pratiche illecite da parte di Armstrong.

Tali testimoni o non corrono più, o hanno patteggiato un'uscita di scena "soft" dalla vicenda: è il caso di George Hincapie, che si è direttamente ritirato (da pochi giorni) dal ciclismo pedalato. Jonathan Vaughters, attuale team manager della Garmin, ha più volte esternato sul fatto di essersi dopato, ai tempi in cui correva in squadra con Lance. Altri nomi sono quelli di Floyd Landis e Tyler Hamilton, a loro volta già plurisqualificati per questioni di doping; sul resto dei testimoni c'è una cortina di silenzio, e nemmeno i legali del texano hanno potuto avere l'elenco.

In giugno l'USADA ha diramato i nomi degli indagati (oltre ad Armstrong, il suo storico team manager Johan Bruyneel, il preparatore Martí, e i medici Celaya, García Del Moral e Ferrari), ponendo come termine per l'accettazione o meno del procedimento la giornata di ieri.

Il fatto che Armstrong non vada all'arbitrato presso l'USADA viene inteso da quest'ultima come accettazione della sanzione (la radiazione) da parte dell'ex ciclista; ma Lance non ha alcuna intenzione di non difendersi, visto che punta - con l'appoggio dell'UCI - a mettere in discussione la competenza dell'agenzia americana sul caso. La stessa UCI potrebbe appellarsi al TAS, invocando per sé la giurisdizione sulla vicenda. Già nelle scorse settimane l'Unione Ciclistica Internazionale è venuta ai ferri corti con l'USADA, avendo richiesto tutti gli incartamenti del caso per procedere in proprio, ma ricevendo come risposta un secco no dagli Stati Uniti.

Emerge, in tutto ciò, la figura di Travis Tygart, che dirige l'USADA e che sta vestendo i panni dello sceriffo della situazione. Proprio su di lui si concentrano gli strali di Armstrong, che ha definito "caccia alle streghe incostituzionale" l'attività di Tygart contro di lui. La battaglia legale avrà ampi e lunghi strascichi, non possiamo dire al momento chi ne uscirà vincitore, ma l'agenzia americana non mollerà facilmente la presa, e alcune esperienze del passato (vedi il celebre caso Balco) ci fanno pensare che non sarà facile sconfessare tale agenzia.

Sembra insomma una carta deboluccia, quella che sta giocando Lance, il quale punta forte proprio sulla sconfessione dell'USADA. «Questa inchiesta mira a punire me e non a cercare la verità», scrive Armstrong in un comunicato, asserendo anche che «la USADA non può avere il controllo su uno sport professionistico internazionale». Ma le regole della WADA (l'Agenzia Antidoping Mondiale) dicono in teoria il contrario, laddove viene fatto presente l'obbligo di recepire, da parte degli organi internazionali, le squalifiche inflitte dalle agenzie antidoping nazionali. Il punto è che se scenderà in campo l'UCI con un ricorso al TAS, si aprirà un conflitto di attribuzioni che lascerà parecchie rovine sul campo (ovvero: chi perde l'arbitrato viene pesantemente sconfessato come istituzione).

Deboluccia la carta difensiva, ma a suo modo anche abbastanza esplicativa, visto che si punta a contestare il metodo e non il merito delle accuse. Armstrong dice di non sentire l'USADA come un giudice imparziale, ma queste parole, in assenza di fatti, suonano abbastanza vuote. Suona molto più pieno il concetto riguardante una serie di fatti contestati e relativamente ai quali si sceglie di non provare a smontarli in sede giudiziaria.

Ma al di là dei giochi processuali, qui vogliamo puntare l'attenzione su lui, su Lance. Un idolo per i suoi tifosi, un paladino della lotta al cancro (malattia che si può combattere, e da cui si può tornare a vivere più forti di prima, tanto da vincere uno, due, tre, sette Tour de France: questo il senso della carriera di Armstrong, almeno per quelli che in lui hanno trovato un simbolo, una fonte di ispirazione, un modello). Ma ora anche la fondazione Livestrong, che negli anni ha raccolto quasi 500 milioni di dollari per la ricerca contro il cancro, non potrà evitare di essere raggiunta da schizzi di fango (in realtà già qualcosa s'è detto, sugli affari e sui conti della fondazione. Vedremo se ci saranno sviluppi).

La figura umana di Armstrong è a suo modo tragica. Ritrovatosi a incarnare il ruolo dell'eroe positivo contrapposto a un nemico cattivo, fosse esso la malattia o avversari che "baravano", Lance era colui che avrebbe sconfitto il lato oscuro della vita, nella visione molto manichea e molto americana della contrapposizione tra bene (noi) e male (gli altri). Un po' quel che era il Rocky Balboa contrapposto al sovietico Ivan Drago in pieno reaganismo, solo che quello era "solo" un film, qui invece parliamo di vita reale.

Armstrong, una favolosa macchina di propaganda (George Bush, presidente guerrafondaio, si faceva vanto dell'amicizia esclusiva col campione), e anche una favolosa macchina da soldi, se è vero che le sue imprese hanno rappresentato il volano per il definitivo decollo del ciclismo in un mercato straordinario come quello americano. Armstrong il portatore dei valori del nuovo ciclismo, quello globalizzato dell'UCI di Verbruggen e McQuaid (che infatti sono sempre andati a braccetto col texano), Armstrong potente tra i potenti, lui che con una sola parola poteva piegare tutto a suo piacimento. Ma anche gli idoli imbattibili possono cadere.

Non tanto nella rete dell'antidoping, quanto nella consapevolezza che tanto potere è servito a cosa? Tradito da quelli che in teoria dovevano essere alcuni dei suoi amici più stretti, almeno nell'ambiente del ciclismo. Da George Hincapie, che ha condiviso con lui fatiche e vittorie, e poi gli ha voltato le spalle brutalmente. Perché? Perché il campione amatissimo dalle folle non lo è stato, alla prova dei fatti, anche da quelli che più gli erano vicini? Sono questi i rapporti che si costruiscono nel ciclismo?

Forse, in parte, sì; o forse no, chissà, se "andiamo a vedere cos'è un ciclista" forse scopriremo che i compagni di un Pantani non avrebbero mai fatto una cosa del genere... Parte della carriera (e della vita) del Pirata fu pesantemente influenzata da Armstrong, che dopo il 2000 non volle più ritrovarselo tra i piedi al Tour (e il Tour piegò la testa e accettò il veto, e ciò non fu scevro da conseguenze). Marco è morto da 8 anni e mezzo, ora vediamo che chi contribuì - in nome del ciclismo pulito - ad affondarlo potrebbe passare attraverso gli stessi guai, attraverso lo stesso smarrimento del ritrovarsi solo, dopo essere stato Dio in terra. Il ciclismo è sempre la stessa maledetta, inesorabile ruota che gira, e che spesso gira male per i suoi protagonisti.

Un altro aspetto che va assolutamente approfondito è il rapporto di uno sportivo col proprio corpo. La verità ontologica, dogmatica, assiomatica, quella ufficiale insomma, era che uno che aveva avuto un cancro e che aveva rischiato seriamente di morire non avrebbe mai potuto abusare di se stesso dopandosi ed esponendosi così all'ignoto di nuove possibili malattie causate da certe pratiche. Tale tesi viene miseramente smentita oggi, perché l'USADA ci sta dicendo che la voglia di emergere, di primeggiare, di vincere, può essere addirittura superiore allo spirito di autoconservazione, alla tutela della propria salute.

Ma Armstrong è stato un kamikaze del doping, in spregio al proprio stesso benessere fisico, oppure ha fatto, come tutti, quel che ha potuto, in relazione alle (enormi) possibilità che ha avuto (e alle coperture di cui ha goduto)? Noi tutti sappiamo che la risposta giusta è la seconda, anche se a molti (guardacaso spesso tra i dirigenti sportivi) fa comodo far passare l'idea del kamikaze, ieri Riccò, oggi lo Schwazer di turno.

La vicenda sarà ancora lunga nel suo procedere tra aule di tribunali e carte bollate. C'è ancora tanto da chiarire, a partire dalla posizione di Johan Bruyneel, tuttora team manager di una squadra del World Tour (la RadioShack), e che potrebbe mettersi in scia ai ricorsi di Armstrong e dell'UCI. C'è da vedere se i Tour tolti a Lance verranno riassegnati (quasi certamente no), di sicuro sarebbe un esercizio burocratico che non cambierebbe la storia, quella storia che dice che quei 7 Tour li ha vinti il texano (come peraltro lui stesso rivendica nel suo comunicato).

Su tutti i tanti aspetti aperti da questa clamorosa vicenda, ci riserviamo di approfondire, oggi e in seguito. Di sicuro il caso Armstrong può essere una pietra angolare nel ciclismo e nella sua politica, perché dubitiamo che, realmente, dopo questa radiazione tutto possa tornare ad essere gestito come prima, in questo disgraziato sport.

Marco Grassi

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