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L'intervista: Isetti: «Io corretta, Bregoli sbaglia» - La responsabile difende il Settore Studi FCI dalle accuse provenienti da Montichiari | Cicloweb

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L'intervista: Isetti: «Io corretta, Bregoli sbaglia» - La responsabile difende il Settore Studi FCI dalle accuse provenienti da Montichiari

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Daniela Isetti © PianetaGiovani.tv via BiciBg.itDaniela Isetti, importante figura della FCI dirocchiana, nonché referente del Consiglio Federale in seno al Settore Studi della FCI stessa, è stata chiamata pesantemente in causa da Piero Bregoli, presidente del Comitato Provinciale bresciano della Federciclismo e deus ex machina del Velodromo di Montichiari, il quale aveva dichiarato, in un'intervista rilasciata qualche settimana fa a Cicloweb, che lei, in qualità appunto di responsabile del Settore Studi, aveva negato alla struttura lombarda un aiuto in termini di tecnici che operassero sull'anello (qui l'intervista). Daniela Isetti non ci sta e respinge al mittente le accuse.

«Ritengo corretto ristabilire la realtà dei fatti: Fabio Perego [attuale responsabile tecnico del velodromo, ndr] mi chiese di mandare i tecnici del Settore Studi per svolgere l'attività del centro ed in particolare della scuola. Risposi che il Settore Studi non dispone di personale dipendente e che i tecnici che vi operano svolgono una attività non continuativa e legata alle esigenze di formazione. In particolare venne chiesta la collaborazione di un tecnico di un'altra regione non confinante, al che, a solo titolo informativo, dissi che - fermo restando quanto sopra - il tecnico in questione era già in forza presso un centro della propria regione. Ovviamente, non rientra nelle mie possibilità di consigliere federale emettere ordini di servizio, né ritengo corretto pensare di poterlo fare».

E non si poteva fare niente per andare incontro alle esigenze di Montichiari?
«Li sollecitai, come già fatto in passato, a cercare risorse umane sul territorio, per far crescere un gruppo di tecnici che potesse correttamente seguire l'attività di un impianto così importante, senza dover ricorrere a risorse di altre regioni. Su questo aspetto, siamo sempre stati aperti ad uno scambio di esperienze».

Che tipo di rapporti ha lei con Priscilla Bontempi, ex responsabile della gestione del Velodromo?
«Confermo l'amicizia che c'è con Priscilla, ma vorrei solo ricordare per dovere di cronaca (e senza entrare nel merito) che l'ho conosciuta poiché mi era stata presentata dal signor Bregoli come sua principale collaboratrice e mi sono rapportata con lei su indicazione dello stesso Bregoli. Tuttora siamo in ottimi rapporti, è una ragazza sveglia. Sinceramente non mi è piaciuta l'affermazione sibillina del presidente del CP bresciano, perché per quelle che sono le mie possibilità sono sempre stata vicina alla loro attività. Non ho fatto sgarbi a nessuno, e l'osservazione sull'amicizia maturata con Priscilla mi è sembrata puerile, visto che penso di essere sufficientemente seria, adulta e intelligente per capire quali sono i ruoli di ognuno, e come debbano essere rispettati».

In tutta questa vicenda, però, emerge l'ingombrante assenza della FCI: una struttura strategica come il Velodromo di Montichiari dovrebbe essere il centro pulsante dell'attività federale su pista, e invece viene abbandonata a beghe in un certo senso localistiche. Dall'intervista con Bregoli emerge la prospettiva di un ridimensionamento dell'attività internazionale del Velodromo, rispetto alla precedente gestione; non è, questa, una perdita secca a livello promozionale? Non era auspicabile un intervento di Di Rocco per salvaguardare il progetto di uno staff giovane che avesse ambizioni di più ampio respiro? E non era necessario aiutare fattivamente la struttura, come peraltro promesso ultimamente dal nuovo presidente del CR lombardo Bernardelli?
«Non posso pretendere di parlare per il presidente Di Rocco. Posso dire che la scelta di puntare su uno staff giovane, da parte di Piero Bregoli, era stata molto intelligente, e peraltro in linea con quanto dal Settore Studi avevamo raccomandato. Ma poi bisognava forse seguire più da vicino l'attività di questi ragazzi».

In tutti i modi, il quadro generale della pista in Italia è molto distante dai proclami di Di Rocco, che prometteva di raggiungere Gran Bretagna e Australia nel giro di un quadriennio; invece siamo ad avere il solo Viviani in pista alle Olimpiadi di Londra.
«Anche per questo discorso bisognerebbe approfondire bene. Spesso ci si scontra con gli interessi dei team, non è facile fare programmazione, comunque stiamo lavorando, attraverso uno staff del Settore Studi, a supporto della Nazionale, effettuando dei test sugli atleti e seguendoli nel tempo».

Di cos'altro vi occupate al Settore Studi?
«In due anni abbiamo fatto un grandissimo lavoro di ristrutturazione dei corsi per direttori sportivi di tutti i livelli, non solo quello professionistico, ma anche quello rivolto all'attività di base, in sintonia con le direttive federali, nell'ottica della multidisciplinarietà che sta diventando un'importante linea guida della FCI. I ds, secondo la nostra visione, devono essere, specie per le categorie giovanili, anche degli educatori. In tal senso stiamo portando avanti anche una ricerca sul rapporto tra ds e atleta. E al fine di professionalizzare al massimo quest'ambito, abbiamo lanciato i corsi per i preparatori, aperti a professionisti che abbiano qualifiche ISEF o di scienze motorie: non per sostituire i direttori sportivi, ma per affiancarli, e anche per qualificare un ruolo a cui comunque già oggi si fa spesso ricorso».

E gli obiettivi per il medio-lungo termine quali sono?
«Per quanto mi riguarda, non mi sembra corretto guardare troppo avanti, visto che tra meno di un anno ci saranno le elezioni federali e potrei non essere più alla direzione del Settore Studi».

L'istituzione dovrebbe comunque rimanere, al di là di chi la dirigerà: le linee guida su cui è impostato il vostro lavoro dove conducono?
«Sin dall'inizio il nostro obiettivo è stato di essere una commissione di servizio per tutte le commissioni federali che hanno bisogno di far svolgere dei corsi. Coordiniamo appunto l'attività di tutti questi corsi, da quelli per i direttori di corsa a quelli per i giudici di gara, fino a quelli (richiesti espressamente dal CONI) per i direttori di riunione; siamo estremamente soddisfatti di quanto fatto in questa prima fase, grazie a uno staff ricco di professionalità. Con l'adesione della FCI al sistema S.Na.Q. [Sistema Nazionale di Qualifiche dei tecnici sportivi, ndr] abbiamo avviato col CONI una bella collaborazione con la scuola dello sport che ha formato e aggiornato i docenti che poi avranno il compito di tenere i nostri corsi, con competenze che variano dalla comunicazione alla didattica. E siamo una delle federazioni che più hanno approfondito questi temi. Diciamo che accrescere la cultura nel nostro mondo è uno degli obiettivi primari che ci poniamo, lavorando su binari paralleli, tra promozione e rapporto con le categorie internazionali, e anche su questo tema abbiamo in programma corsi specifici incentrati su attività promozionali, finalizzate alla collaborazione coi Comitati Regionali e soprattutto le società per sviluppare attività giovanili multidisciplinari in centri - individuati sul territorio - che diventeranno delle vere e proprie scuole di ciclismo federali. Devo dire che l'età media dei frequentanti è molto bassa, tra i 28 e i 30 anni, e per il 90% ci troviamo ad avere a che fare con ex corridori, altro elemento importante».

Un ambito in cui operano principalmente ex ciclisti non rischia di far ripiegare su se stesso il movimento?
«Non credo, penso che sia più rilevante il fatto che queste persone hanno qualifiche teoriche che si coniugano con una competenza specifica della bici, dettata dall'esperienza diretta».

Lei è stata spesso identificata come una "delfina" di Di Rocco. Come si rapporta oggi al presidente?
«Per me non è cambiato assolutamente niente, credo che Di Rocco sia l'unico in grado di guidare la Federazione, non mi viene in mente veramente nessun altro del suo livello».

Dipende con chi facciamo il confronto: se guardiamo al solo Consiglio Federale, probabilmente ha ragione lei, ma se allarghiamo il campo magari qualche nome buono viene fuori. Si è detto nei mesi scorsi, tra l'altro, che proprio lei potesse ambire all'eredità politica di Di Rocco, nel caso lui non fosse riuscito a perpetuare la sua presidenza.
«Mai detto di volermi candidare, magari l'ha sostenuto qualcun altro. È in ogni caso un'ipotesi del tutto infondata, né credo che potrei essere in grado di raccogliere un testimone tanto pesante. Una riflessione che dovrebbero fare in realtà altri aspiranti al ruolo, un esame di coscienza per sapere se è nelle loro corde o meno la presidenza della Federciclismo».

Ma non è deludente il bilancio quantomeno del secondo mandato di Di Rocco? Il ciclismo italiano perde colpi a tutti i livelli: corse e squadre in difficoltà, meno praticanti proiettati al professionismo, il disastro della pista, il recedere da posizioni di contrapposizione con l'UCI...
«Tanti temi che dovrebbero essere approfonditi, e mi diventa difficile qui fare una sintesi. È evidente che alcune problematiche ci siano, nessuno lo nega, ma dobbiamo anche considerare che ci sono dei problemi che vengono dall'esterno e che non dipendono da noi. Di sicuro è stata aperta una strada nuova, riformulando il nostro modo di fare ciclismo, e anche questo è sfociato in polemiche: la verità è che attuare politiche anche impopolari è necessario per cambiare il ciclismo».

Un cambiamento che conduce anche verso un nuovo peso dato al movimento cicloamatoriale. Un peso che pare addirittura interrelato all'attività di alcuni settori interni della stessa FCI, visto il ruolo del procuratore federale Santilli [che è anche presidente del consorzio Five Stars, che riunisce alcune tra le più prestigiose gran fondo italiane, ndr]...
«Non so, sinceramente, se esistano progetti diretti. Dico però che l'attività amatoriale è un mondo a cui la FCI deve guardare, perché è vero che al centro di tutto c'è e ci sarà l'attività olimpica, però dobbiamo anche capire che il mondo intorno a noi è cambiato. Faccio un esempio: il movimento Salviamo i ciclisti, che per me è una cosa pazzesca, nel senso di straordinaria, ci dice che la bicicletta viene oggi vissuta in maniera diversa rispetto al passato: come dice Di Rocco, siamo al cospetto di un "ciclismo come stile di vita", e le potenzialità in quest'ambito sono enormi, e vanno sfruttate. Anche per un discorso di promozione, credo sia un discorso da seguire con attenzione, del resto non ci sono solo le gran fondo, ma anche - per fare un esempio - tutto il movimento cicloturistico. Per quanto mi riguarda tre o quattro anni fa fui promotrice di un protocollo d'intesa - uno dei primi sul piano nazionale - con la Provincia di Parma, orientato allo sviluppo di piste ciclabil e del tema della mobilità in bici. È una strada, questa, che non possiamo permetterci di non seguire».

Marco Grassi

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