Doping&Antidoping: Contador attende al posto di blocco - Il 6 la sentenza TAS. Intanto in Germania...
Il 6 febbraio prossimo la Regina Elisabetta II festeggerà i suoi primi 60 anni di regno in Inghilterra, il cosiddetto Diamond Jubilee. Quello stesso giorno, un ciclista che quando va in salita ha effettivamente un portamento abbastanza regale, rischierà di essere a sua volta giubilato, ma in quell'altro senso.
Alberto Contador saprà infatti proprio lunedì prossimo il verdetto che il TAS avrà la bontà di emettere, dopo quasi un anno di pensa-che-ti-ripensa, in merito al ricorso che UCI e WADA hanno fatto contro l'assoluzione del corridore da parte della Federciclismo spagnola.
Il caso lo conoscono tutti, e possiamo quindi limitarci a riportarlo per sommi capi: diversi mesi dopo la fine del Tour de France 2010, da Contador vinto, non per le vie canoniche UCI->Federazione->corridore, ma in seguito a una soffiata giornalistica, si viene a sapere che Alberto sarebbe risultato positivo al clenbuterolo durante la Grande Boucle. L'Unione Ciclistica Internazionale - apparentemente di malavoglia - conferma, e parte l'iter che porterà all'assoluzione di Alberto da parte della RFEC (la real federazione spagnola) nel febbraio scorso: è vero che s'è trovato il clenbuterolo (in quantità infinitesime) nel sangue dell'atleta, ma chi ci dice che quella sostanza non fosse contenuta in una bistecca mangiata durante il Tour?
Questa è in effetti la linea difensiva di Contador, che però si ritrova a fare i conti col ricorso presentato da UCI e WADA presso il TAS: ai due enti non va giù quell'assoluzione, intanto, in attesa che il Tribunale di Arbitrato dello Sport di Losanna si pronunci, il corridore fa il suo mestiere, ovvero corre, e vince, dalla Vuelta a Murcia al Giro d'Italia, passando per la Volta a Catalunya; e perde pure, al Tour de France.
Nel 2012, è storia di questi giorni, Alberto è tornato in gara in Argentina, conquistando due tappe al Tour de San Luis. Ora, dopo una serie imbarazzante di rinvii (si attende da prima del Tour 2011, questo benedetto verdetto!), il TAS ha finalmente fissato una data ufficiale, quella del 6 febbraio. Quel dì saprem, e soprattutto saprà Contador, se potrà festeggiare come la Regina d'Inghilterra (e continuare a gareggiare), o se dovrà bere l'amaro calice della squalifica (non è peraltro da escludere un ulteriore ricorso di Alberto presso la giustizia ordinaria).
Nel mentre siamo del tutto NON appassionati a questa vicenda, arrivano echi di un'altra turpe storia, stavolta dalla Germania. Se ne parlotta da qualche settimana, da quando il canale televisivo ARD ha imbastito un'inchiesta sull'operato del dottor Andreas Franke, attivo nel centro olimpico (pubblico) di Erfurt, punto di riferimento di una moltitudine di sportivi tedeschi.
Pare, si dice, si vocifera, che Franke usasse un metodo non ortodosso (bombardamento con raggi UVA) nei confronti del sangue di questi atleti: ti prelevo il prezioso liquido, lo faccio abbronzare un po', te lo reinietto, e questo sarebbe doping.
A parte che l'efficacia dopante di tale metodo sarebbe comunque tutta da dimostrare, l'ufficialità dice che il trattamento in questione serve semmai per aumentare la resistenza degli atleti alle infezioni, e in tal senso sarebbe stato praticato da Franke. L'inchiesta di ARD parla di diverse decine di atleti, tra cui, immancabilmente, alcuni ciclisti. Nella fattispecie, Marcel Kittel, John Degenkolb e Patrick Gretsch, tre giovani uno più promettente dell'altro, in pratica il futuro del ciclismo tedesco.
I tre, militanti quest'anno nel team Project 1T4I, hanno frequentato in passato il centro di Erfurt. Per risolvere problemini di salute, dicono loro (e dice la squadra, che in merito ha emesso un comunicato). Per praticare questa forma di doping, insinua ARD. Sta di fatto che i tre corridori non sono coinvolti in inchieste da parte di UCI, WADA o chi per esse, ma gli schizzi di fango li hanno colpiti per benino, tantopiù in un paese, la Germania, che è sempre ipersensibile al tema doping, dopo le vicende di Ullrich e della Telekom emerse in seno a Operación Puerto e dintorni.
Attenderemo sviluppi, se mai ce ne saranno, con la consapevolezza che il ciclismo continua a pagare un prezzo troppo, troppo alto, in termini di credibilità e di affezione dei suoi appassionati. E non lo paga, questo prezzo, al doping. Ma all'antidoping cieco e pervasivo che chiunque può brandire in nome di un concetto tanto odioso quanto purtroppo radicato: i ciclisti (e solo i ciclisti) sono dopati fino a prova contraria.