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Tutti dopati?: Non siate pavidi, alziamo il tiro - Sabato l'attesa protesta dei corridori

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Corridori fermi prima della partenza di una corsa © BettiniphotoSi avvicina il momento in cui i corridori italiani ci faranno vedere di che pasta sono fatti, e quanto di loro sono disposti a mettere in gioco per difendere una causa sacrosanta come la difesa del ciclismo dalle accuse del procuratore antidoping del Coni, Ettore Torri, il quale, come tutti sanno, ha affermato che il doping è una piaga inestirpabile (e anzi, sarebbe da legalizzare se non facesse male alla salute), e che nessun ciclista ne è escluso.

Il momento dell'ululato, seguìto alle improvvide dichiarazioni di Torri e sostanziatosi in livorosi messaggi su Facebook e su seccate dichiarazioni alla stampa, è passato da diversi giorni; ancora non c'è stata, però, una prova tangibile di una protesta organica e organizzata per far sentire forte la propria voce.

Nel weekend emiliano in gruppo s'è parlato abbastanza della vicenda, e quel che pare prevalere è la voglia di non fare troppo "casino", per far sì che non ne vada di mezzo il ciclismo. Concetti che ci ha espresso Bugno la scorsa settimana, e che ci conferma oggi il segretario dell'ACCPI, l'avvocato Federico Scaglia: «Non ci sarà uno sciopero, non vogliamo danneggiare il ciclismo; di sicuro ci saranno delle iniziative anche più incisive, secondo me».

Dalle voci del plotone pare che possa esserci, prima del Lombardia, un volantinaggio effettuato dagli stessi corridori presso il pubblico, con una lista delle misure a cui i ciclisti sono sottoposti in tema di antidoping e altre informazioni in materia.

Buona cosa, ma non sarebbe che l'inizio, non si tratterebbe che di un'iniziativa che, a pensarci bene, dovrebbe essere portata avanti nel tempo, anche prima di ogni corsa del 2011, perché gli appassionati (o i curiosi) da sensibilizzare non si trovano solo a Milano. E invece, quanto sarebbe bello che poi, dopo di ciò, ci fosse un'iniziativa eclatante e innovativa allo stesso tempo.

Proposta: se non vogliamo neutralizzare il Giro di Lombardia, potremmo fare un giochino: che la corsa parta regolarmente, e che tutti i corridori italiani presenti al via si fermino dopo un metro, e restino immobili per 10', un quarto d'ora, mezz'ora (decideranno loro). Il Lombardia si disputerebbe comunque, solo che gli italiani partirebbero e arriverebbero dopo (sull'arrivo dei nostri in ritardo, c'è da dire che ciò potrebbe anche succedere senza la protesta di mezzo...). Ci sarebbe anche la possibilità che i corridori delle altre nazioni, inteneriti da tanto coraggio dei nostri, li possano un po' aspettare, strada facendo (e a pensarci bene, ci sarebbe anche il supplementare motivo di interesse: riusciranno i nostri eroi a colmare il gap prima del Ghisallo?).

Ci permettiamo tale suggerimento intanto perché i ragazzi non hanno ancora deciso compiutamente come muoversi (ancora Scaglia: «Di definito non c'è niente, sono tante le teste da mettere d'accordo»), e quindi se qualcuno di loro legge, domani al Giro del Piemonte (la sede deputata alla presa della grande decisione) potrà farsi latore della proposta.

Ma soprattutto perché (siamo sinceri, onestamente non crediamo che ci sarà una protesta del tipo appena suggerito) ci piacerebbe che i corridori capissero che la distribuzione di opuscoli non basta, ma che è giunto il momento di pretendere di più dalle istituzioni. Cosa potranno mai ottenere dei lavoratori la cui unica reazione a soprusi e vessazioni è un tutto sommato inoffensivo volantinaggio? Niente, la storia ce lo dice.

Perché una protesta non sia sterile e fine a se stessa, ha innanzitutto la necessità di individuare come obiettivo un referente raggiungibile; dopodiché, ci va aggiunta una proposta, va indicata una via alternativa. E infine (cosa più importante), va confermata la propria disponibilità a procedere nella protesta, se le richieste non verranno accolte.

Ora, che le motivazioni siano tutte dalla parte dei corridori (per mille motivi che negli anni - e ancora nei giorni scorsi - abbiamo elencato), è pacifico. Ma l'obiettivo della sollevazione in fieri qual è? Chiariamoci bene: si vuole giungere alle dimissioni di Torri? (Attraverso il volantinaggio???). Missione fallita in partenza.

Si vuole sensibilizzare Petrucci? A cosa? Già è sensibilizzato di suo dal foltissimo pelo sullo stomaco che si porta appresso, non è quella la direzione.

Una direzione transitabile potrebbe essere un'altra: si potrebbe per esempio chiedere a Di Rocco (un referente raggiungibile) di cambiare la politica federale in tema di antidoping, e anziché delegare tutto direttamente alla Procura, a causa di un complesso di inferiorità ingiustificato (quali altre discipline hanno messo tutto il loro antidoping in mano a Torri?), ri-avocare a sé il blocco dei deferimenti e dei primi gradi di giudizio. Forse in tal modo verrebbe meno un certo accanimento (anche culturale, come confermato dalle dichiarazioni del procuratore) nei confronti del nostro sport; di sicuro verrebbero meno diversi procedimenti che al CONI nemmeno arriverebbero.

Si tratterebbe di un piccolo passo, in realtà, ma sarebbe il modo per intraprendere un cammino che intanto mira a ristabilire una sorta di equità di trattamento tra il ciclismo e gli altri sport. E che poi, nel medio-lungo periodo, spera di ridare dignità a un movimento che - questo lo dice anche lo stesso Di Rocco, che però poi si limita a emettere blandi comunicati - ha subìto da Torri un gravissimo danno di immagine (senza valutare qui il danno in sede di diritto).

Siamo consci che, anche se Di Rocco togliesse a Torri la pistola fumante (fumante?), la situazione non cambierebbe di troppo, nell'immediato. Ma intanto verrebbe marcato un punto importantissimo, e cioè che dev'esserci parità di trattamento tra le discipline; un punto che fungerebbe da base per estendere il concetto anche ai controlli tout-court, visto che il clima culturale che discrimina il ciclismo è dato proprio dall'evidente sproporzione nella qualità e quantità di controlli tra questo e gli altri sport.

Non è necessario perseguire a vita gli errori politici fatti anni fa (da Ceruti, per esempio; e da Verbruggen, ancora McQuaid, certamente Di Rocco), si può anche cambiare rotta, e i corridori devono riprendere il manico del coltello, visto che sono stati supini per troppi anni. Gli scheletri nell'armadio non ce li hanno solo loro (quelli che si dopano e quelli che non si dopano), ne hanno molti di più i dirigenti, e una categoria sindacalizzata deve proprio sottolineare e portare alla luce questi disequilibri.

Lottando, senza paura, consci che ci saranno delle perdite, consci che Zomegnan la prenderà malissimo (ma è anche lui parte del sistema, e anche lui deve venire a patti coi corridori, nel mondo un po' utopistico che stiamo tratteggiando; poi nulla vieta - per non far sentire Zome l'unico bersagliato - di replicare la protesta nella prossima corsa Pro Tour disponibile, il Down Under per esempio); ma consci anche del fatto che, una volta individuato il tema su cui martellare, non ci si può fermare, non si può tentennare.

Qualche giorno fa Bugno ci ha detto che devono essere i corridori a muoversi; vero, ma forse non sufficiente. Forse servirebbe loro un leader che sapesse animarli e motivarli, e spiegare loro le cose in una prospettiva più ampia della singola vicenda che ogni volta li scuote, e a più lunga gittata che non quella data dal momento che passa dall'accesso di rabbia al commento su Facebook.

Marco Grassi

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