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Mondiali su strada 2010: Il bilancio azzurro - Meno trionfalismi, più progettualità - La FCI sostenga le donne e la pista

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Uno scorcio del sito della FCI © www.federciclismo.itDi che spedizione azzurra staremmo parlando se Giorgia Bronzini, con un guizzo superbo, non avesse regalato una fantastica medaglia d'oro all'Italia, nella prova iridata femminile di sabato a Geelong?

Intanto staremmo parlando del primo Mondiale senza medaglie azzurre da cinque anni a questa parte (l'ultima volta nel 2005), anche se dobbiamo ammettere che l'evenienza - prima di questo lustro pieno d'oro - non era così rara, in passato (anche nel 2003 si verificò). Nel 2006 portammo a casa l'oro di Bettini, nel 2007 al Bettini-bis si aggiunsero Bastianelli e Bronzini, prima e terza tra le donne; nel 2008 un dominio: due ori (Ballan e Malori nella crono under 23) e due argenti (Cunego e Ponzi nella prova in linea U23).

L'anno scorso, poi, furono le donne a mettere abbondantemente in attivo la bilancia: oro e bronzo su strada con Guderzo e Cantele, e con quest'ultima che prese anche l'argento a crono. Quindi, se non possiamo parlare di tendenza, quantomeno dobbiamo segnalare il dato, che a fini di analisi ha una sua rilevanza, di un'Italia trainata dal suo movimento femminile, almeno in sede iridata.

E indubbiamente - tutti i consueti rilevatori, a partire dai tesseramenti, ce lo dicono - il ciclismo femminile vive una stagione importante nel nostro paese. Ciò fa stranamente a pugni con un'organizzazione dilettantesca (non: dilettantistica) di ampi settori del movimento stesso, a partire da alcune tra le più sgarrupate squadre del globo (che non pagano le atlete, e che escono con tutte le ossa rotte dal confronto con gli organizzatissimi team anglosassoni), proseguendo con corse che non riescono a sopravvivere se non a costo di enorme fatica, passando da un'indebita (e sempre maggiore) okkupazione da parte dei corpi militari («Mi chiamo Tatiana Guderzo, ho 26 anni e corro per le Fiamme Azzurre»...), per finire con un'attenzione troppo scarsa da parte dei media, che si limitano a proporre sintesi registrate del Girodonne in coda al Tour maschile (le altre corse italiane vengono trasmesse senza promozione e a orari saltellanti), che snobbano la Coppa del Mondo e che si lavano la coscienza con le immancabili dirette iridate.

Se la nascita di RaiSport2 potrebbe regalarci soddisfazioni, relativamente all'ultimo punto (in Bulbarelli we trust: strana la vita, avremmo mai scritto una cosa del genere anche solo 6 mesi fa?), per tutto il resto dobbiamo rilevare la latitanza di una Federazione che da troppi anni avrebbe potuto e dovuto mettere mano ad alcune distorsioni del sistema, ma non l'ha fatto. Salvo poi raccogliere i poco meritati dividendi al momento delle medaglie femminili, che in questi anni hanno dato una patina d'oro a un movimento d'élite sin troppo arrugginito; dividendi buoni per le foto e le dichiarazioni di rito, poi tanti cari saluti e arrivederci a tra 12 mesi, senza che nel frattempo l'immagine vincente dell'Italia donne venga usata a fini di promozione (tutt'altro: guardiamo che pene ha dovuto passare la Bastianelli, senza che un cane in Federazione l'abbia difesa quando veniva vilipesa da quel gentiluomo di Petrucci...).

Ecco, speriamo che nei prossimi mesi il presidente Di Rocco si faccia venire almeno il dubbio se non sia il caso, dopo due consecutivi Mondiali salvati dalle donne, di dare una mano al ciclismo femminile. Sostenendo gli organizzatori delle corse, per esempio; pretendendo professionalità da chi allestisce le squadre; difendendo le atlete, che in generale hanno ancora meno voce in capitolo dei colleghi maschi; contribuendo a creare, nel tempo, un calendario ricco, con appuntamenti che possano dare un senso di continuità alla stagione, che al momento è spezzettata da troppe pause senza corse. Anche su questi temi andrà giudicato l'operato di Di Rocco, anche su questa piattaforma si dovrà consolidare un'alternativa al governo del ciclismo italiano, in vista delle elezioni del 2013.

Comunque, siccome non potrà sempre esserci un Dino Salvoldi a fare miracoli e a salvare la baracca, conviene anche gettare uno sguardo agli uomini, tra pro' e under. La prima cosa che balza agli occhi è che si nasce cronoman (o comunque con buona attitudine all'esercizio contro il tempo), da giovani si lotta per le medaglie o comunque ci si avvicina, poi dopo il salto nella massima categoria ci si dedica ad altro. L'assenza di un italiano nella crono dei pro', ancor più incomprensibile alla luce dei discreti risultati degli under 23, è uno smacco che non trova giustificazioni, una sconfitta della FCI prima ancora che del ct Bettini: non foss'altro che per una questione di prestigio, la nazione guida del ciclismo mondiale (o comunque una delle prime tre), non può dare forfait in una gara tanto importante.

Le prove in linea non ci hanno detto nulla di più di quel che già sappiamo. Tra gli under, è dura tracciare linee tendenziali, vista la rivoluzione che annualmente investe la categoria (tra chi passa pro' e chi arriva dagli juniores), ma possiamo dire senza temere smentite che l'Italia è sempre un faro, sicuramente non il più luminoso (vedasi la crescita impetuosa dell'Australia), ma uno dei punti di riferimento. Questo, nonostante i nostri ragazzi, al contrario di quel che fanno i coetanei nelle nazioni in forte ascesa, non curino a dovere quell'eclettismo che poi si tramuta in atout da giocare una volta passati pro'. Parliamo di pista, di cross, di esperienze su terreni diversi dalle consuete corse domenicali nei circuiti di paese.

Nel dettaglio: se molti diesse giovanili sono convinti che la pista faccia male (forse si sono persi le ultime puntate, da Cavendish a Phinney in giù...), magari è il caso di porci qualche domanda sul tipo di formazione che hanno ricevuto: ma nei corsi federali si parla di ciclismo o si gioca a tris quando il professore è voltato? E non toccherebbe alla FCI convincere le società (quasi sempre reticenti) a mettere in pista i ragazzi?

Infine i professionisti in linea: la sensazione è che, al netto di sempre possibili exploit isolati, ci tocchi un periodo di vacche se non magre, non certo pingui. Veniamo - l'abbiamo già detto - da un periodo probabilmente irripetibile (nel breve), dal punto di vista dei risultati, e abbiamo un movimento spogliato da alcuni big delle ultime stagioni (tra ritiri, invecchiamento, squalifiche, non rimane troppa gente attiva e vincente), senza che la generazione di mezzo ci abbia offerto un crack da corse in linea (come Bettini, ma anche come Di Luca o Rebellin). Cunego è il più vincente della sua fascia d'età, ma è sempre una scommessa; Riccò ha potenzialità enormi, ma sconta un ostracismo che chissà quando finirà; Nibali è più uomo da corse a tappe, Pozzato ha dei passaggi a vuoto (che ha evidenziato ancora domenica), Ballan ha già giocato il jolly dei jolly, Visconti è ancora acerbo malgrado gli anni passino (ma a lui piace essere confinato nel mondo Professional, evidentemente), Bennati non dà ampie garanzie di affidabilità in vista di appuntamenti importanti.

Tra limiti fisici e mentali, abbiamo un manipolo di buoni soldati ma non l'arma letale che - in maglia azzurra - è stata rappresentata negli anni scorsi dall'attuale ct. Il futuro non è gramo, perché dei giovani interessantissimi si vedono all'orizzonte (due nomi freschissimi: Viviani e Felline), ma questi ragazzi all'alba del professionismo hanno bisogno di crescere (in tranquillità), e non è certo facile pensare di gravarli di responsabilità da capitani nell'immediato futuro.

In definitiva, al termine di un Mondiale in cui le ombre azzurre sono state superiori alle luci, visto e considerato quel che ci prospetta l'avvenire, possiamo mettere sin da ora la firma per auspicare di ripetere, nel prossimo triennio, un medagliere come quello di Melbourne 2010. Intanto possiamo sbandierare l'ennesimo successo organizzativo, visto che la rassegna iridata del 2013 si terrà a Firenze (ogni 5 anni pare obbligatorio un Mondiale in Italia). Che poi il proseguire di quest'andazzo sia effettivamente un successo per l'Italia, o piuttosto una foglia di fico dietro cui nascondere le proprie vergogne, lo approfondiremo prossimamente.

Marco Grassi

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