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A Ginevra per contare - Incontro sul DNA: ce ne parla Cioni

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L'istituzione del Consiglio dei Corridori all'interno del CPA (Consiglio Professionistico Europeo) è notizia di qualche giorno fa, e mai come in questi momenti, probabilmente, se ne avverte il bisogno. Lo si avverte perché pare giusto, sensato, anche scontato se vogliamo, che gli attori protagonisti del ciclismo, i corridori, facciano sentire la loro voce non solo tramite le squadre, i giornali ed alcuni rappresentanti esterni più o meno meritevoli e capaci di rappresentarli, ma dalla loro bocche, dalle loro menti, dalle loro parole.
Bettini ha scagliato la prima pietruzza (di quelle fastidiossissime, però, che vanno sempre a finire nell'occhio), poi si è accodato Pozzato, in una veste anche più istituzionale (difatti il vicentino è vicepresidente dell'Associazione Corridori Professionisti italiana, nonché membro del già citato Consiglio), con in ultima ruota Alejandro Valverde, l'ultimo leader del ranking Pro Tour. Tutti e tre si sono pronunciati, per mezzo stampa, sull'assurda decisione presa dall'AIGCP (Associazione Gruppi Sportivi) e dall'UCI: il test del DNA obbligatorio (di fatto) per i ciclisti facenti parte del circuito Pro Tour. Tutti e tre contrari, ovviamente.
I tre di cui sopra hanno ottenuto una piccola, e speriamo solo la prima delle tante, grossa soddisfazione per il mondo dei ciclisti, ottenendo un incontro tra le parti. Incontro che si svolgerà a Ginevra, in Svizzera, il prossimo 10 novembre. L'UCI capitanata da McQuaid (con Rumpf ed Adorni a supporto) e l'AIGCP capitanata da Lefévère (con Gianetti e Legeay pronti ad intervenire) consentiranno (bontà loro) ai ciclisti di prendere parte alla tavola rotonda che deciderà il futuro di questi ultimi e, quindi, del ciclismo stesso. I membri del Consiglio dei Corridori presenti a Ginevra saranno due: il tedesco Jens Voigt e lo spagnolo José Luis "Chechu" Rubiera, rispettivamente ciclisti del Team Csc di Bjarne Riis e della Discovery Channel Pro Cycling Team di Johan Bruyneel ed ancora rispettivamente membro e membro supplente del Consiglio dell'UCI Pro Tour (visto che è delle regole all'interno del Pro Tour che si discuterà).
Ci sono anche due italiani nel Consiglio dei Corridori: Filippo Pozzato (unico membro che fin qui ha espresso la posizione del Consiglio) e Dario David Cioni, seppur quest'ultimo come supplente. Il vicentino è attualmente in vacanza alle Isole Mauritius o giù di lì, e per avere qualche anticipazione riguardo la linea che Voigt e Rubiera terranno a Ginevra, abbiamo contattato l'anglo-toscano che nel 2007 passerà dalla italiana Liquigas alla belga Predictor-Lotto.

«Voigt e Rubiera sono i nostri rappresentanti all'interno del Pro Tour – ci spiega con il consueto accento anglosassone l'empolese - mentre Pozzato, il sottoscritto e gli altri (Kessler, Rogers, Gilbert, Cuesta, Vasseur, T. Dekker, Hincapie, Cancellara, Hammond ed Azevedo) siamo i portavoce delle nostre rispettive nazioni ciclistiche. Dopo le condivisibilissime dichiarazioni di alcuni colleghi, tutti noi membri del nuovo Consiglio ci siamo sentiti telefonicamente e via e-mail per stabilire quale fosse la linea più opportuna da tenere anche in sede di discussione con le altre parti del ciclismo, quali l'UCI ed i Gruppi Sportivi: ebbene, la conclusione è stata chiara, netta e praticamente unanime. Il test del DNA è una misura estrema, una misura che non è prevista per alcun lavoratore e, soprattutto, per nessun altro sport professionistico. Non è possibile che sia sempre e solo il ciclismo ad essere in prima linea con soluzioni estreme. Abbiamo già visto cosa è successo con l'accettazione dei controlli sul sangue: siamo gli unici atleti professionisti a farlo, e siamo gli unici atleti professionisti ad essere additati come dopati da gran parte dell'opinione pubblica. Il nostro "no" al test del DNA, dunque, è abbastanza scontato».

La posizione dei corridori è stata in questi giorni sostenuta anche da tre non corridori: Enrico Ingrillì, Massimo Besnati e Mauro Paissan, rispettivamente avvocato già Presidente dell'ACCPI (Corridori Professionisti Italiani) dal 1997 al 2002, Presidente dell'Associazione Medici del Ciclismo e componente dell'Autorità Garante per la privacy. Il primo ha posto l'accento sul "cartello" imposto dai Gruppi Sportivi che cozza con le normativa Antitrust, il secondo sull'uguaglianza tra tutti gli sport ed il terzo sull'esagerazione di una pratica altamente invasiva e delle normative che ne escludono la pretesa da parte di privati, in particolar modo i datori di lavoro e le assicurazioni.

«Voglio che sia chiaro – precisa Dario David Cioni – che il rifiuto da parte nostra del test del DNA non è né categorico, né assoluto. In poche parole, non è che rifiutiamo il test del DNA perché abbiamo paura che da questo test possano emergere delle pratiche dopanti altrimenti non rintracciabili, ma semplicemente vogliamo essere compresi anche noi intorno al tavolo che discute a riguardo di questa nuova forma di controllo. Il problema principale, però, resta che la proposta non dovrebbe essere fatta dall'UCI, né ovviamente dai team manager, ma dovrebbe essere una decisione della WADA che riguardi tutti gli sport professionistici, non soltanto il ciclismo. Accettiamo anche il test del DNA come misura estrema, soprattutto nei riguardi della magistratura ordinaria, dopo aver quindi affrontato tutte le prassi mediche sin qui previste per combattere il doping e contrastarlo con efficacia, ma se questa pratica è così sicura perché non applicarla a tutti gli sport? Noi membri del Consiglio dei Corridori vogliamo che sia chiaro il segnale che è finito il tempo per cui il ciclista veniva a conoscenza delle normative e dei regolamenti soltanto dopo che questi erano stati decisi e firmati, ma vogliamo essere parte integrante e importante di queste decisioni regolamentari».

Il ricordo del "Chechu furioso" con gli organizzatori di RCS Sport, in occasione dell'ultimo Giro d'Italia, è ancora vivo e presente, ed il fatto che anche il suo manager Bruyneel si sia pronunciato contro la decisione arbitraria di UCI ed AIGCP rende l'idea di quanto sarà combattivo – almeno speriamo – il ciclista spagnolo della Discovery. Di contro, Jens Voigt, almeno a nostra memoria, non s'è mai contraddistinto per particolari attività sindacali, ma anche verso il teutonico nutriamo (abbiamo alternative?) fiducia.

«Il problema vero è trovare il senso della misura. Questo gioco al massacro di colpire solo e soltanto il ciclista non ha trovato riscontri, non li sta trovando e difficilmente ne troverà. Abbiamo accettato i controlli sul sangue, ok, ma se accettiamo anche il test del DNA il prossimo passo quale sarà? Stare 24 ore su 24 rinchiusi, e magari videoripresi, all'interno di una caserma, in modo che chiunque ci possa controllare? Non mi sembra proprio una soluzione credibile – ribadisce il già campione italiano a cronometro - né una strada da intraprendere così a cuor leggero e, soprattutto, scusate la ripetizione, senza interpellarci, senza sentire che cosa ne pensiamo noi. In fondo è del nostro lavoro e del nostro futuro che si parla».

Il 10 novembre avremo probabilmente un importante spartiacque nel mondo del ciclismo, ma teniamo i piedi per terra, perché troppe volte c'è sembrato che stessimo lì lì per svoltare, mentre poi s'è tutto sempre risolto con un patto di non belligeranza che non ha portato migliorie alcune.
C'è la certezza di una presa di posizione diretta dei corridori, certo, e questo non può essere che un fattore importante verso la crescita e la credibilità di tutto il movimento.
Le premesse per invertire la rotta ci sono tutte, e lo stesso Dario David Cioni ce le racconterà a margine dell'incontro elvetico, tra qualche giorno, testimoniandoci gli umori dei corridori.

Mario Casaldi

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