Facciamo ridere i polli - Landis positivo, il Tour a Pereiro
Versione stampabileE pensare che c'è stato chi l'ha definita «un'impresa d'altri tempi». Ecco, magari sarebbe l'ora di smettere di usare questa paludatissima espressione, le imprese d'altri tempi lasciamole appunto agli altri tempi. Quella di Floyd Landis a Morzine, invece, è stata proprio un'impresa di questi tempi, figlia del ciclismo cibernetico e robotizzato degli anni che stiamo vivendo.
Un corridore praticamente finito la sera prima, con 10' di ritardo sul groppone subiti nella sola (non tremenda) salita di La Toussuire; e poi, tempo poche ore, ecco che, magicamente recuperato al mondo, Landis infila la fuga della vita, un colle dietro l'altro, fino all'incredibile successo di Morzine. Un terremoto nella classifica, distacchi abissali dati a tutti, la proiezione nelle primissime posizioni, da cui spiccare il salto finale nella cronometro che poi, di fatto, gli aveva consegnato il successo nel Tour 2006.
Ora, possiamo buttare tutto nel dimenticatoio: Floyd Landis è risultato positivo al testosterone nei controlli effettuati proprio quel giorno a Morzine. La voce di un positivo eccellente era iniziata a circolare con insistenza, i sospetti erano caduti abbastanza prevedibilmente proprio sul vincitore della Grande Boucle, e oggi la sua squadra, la Phonak, ha confermato le illazioni: ebbene sì, è stato proprio Landis l'uomo a finire nelle maglie dell'antidoping.
Che cosa si profila? Se le controanalisi confermeranno i risultati del primo test (e non v'è motivo per pensare che possa succedere il contrario), all'americano (che sarà squalificato) verrà tolto il successo al Tour, e così passerebbe a vestire i panni del vincitore Oscar Pereiro, spagnolo che grazie ad una fuga bidone in cui aveva guadagnato mezz'ora, era riuscito a portare a casa un secondo posto al sapore di miracolo. Ora, addirittura, salirebbe sul primo gradino del podio.
Uno smacco terribile per il Tour: una vicenda simile era accaduta alla Vuelta di Spagna dello scorso anno, con Heras disarcionato dall'antidoping e rimpiazzato dal russo Menchov. Ma al Tour, la corsa delle corse, l'appuntamento più importante di tutta la stagione, questa sarebbe una primizia assoluta: mai nell'ultracentenaria storia della Grande Boucle era avvenuta una simile evenienza.
E tutto ciò, all'indomani dello scandalo dell'Operación Puerto, con Basso, Ullrich e soci mandati a casa senza prove a carico, conferma che nel ciclismo (anzi, nello sport in generale) tutto ciò che ruota intorno a doping e antidoping può agevolmente essere definito con la parola «farsa». Con le esclusioni eccellenti qualcuno forse pensava che il Tour sarebbe stato vinto da un corridore «pulito»? Poveri illusi.
Così come non occorreva vedere l'impresa di Landis a Morzine per sapere che nel suo sangue c'erano degli additivi: oggi come oggi, nessun professionista può dirsi al riparo da quello che non è più nemmeno un sospetto. I numeri, le prestazioni, la realtà del quotidiano sono lì a dirci che lo sport pulito è un'utopia. Il doping esiste, e se il ciclismo è stato il primo sport a mettersi seriamente in discussione (dando così l'impressione di essere il più sporco, pur non essendolo), in questi anni abbiamo capito che non se ne può venire a capo. La lotta al doping è un'illusione: pensiamoci.
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