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Giro d'Italia 2014: Ragazzi, siete troppo fighi! - Finale entusiasmante, Battaglin supera Cataldo e Pantano

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Enrico Battaglin esulta, Dario Cataldo e Jarlinson Pantano battuti a Oropa © Bettiniphoto

Dimentichiamo per un attimo l'esistenza di un concetto denominato "classifica generale", e concentriamoci sulla corsa di 22 atleti che, con le motivazioni più varie, decidono di imbastire 160 km di sfida agonistica per vincere una delle tappe più belle del Giro d'Italia 2014.

Una tappa densa di significati, che naturalmente vanno oltre le vicende della corsa rosa d'oggi, e risalgono invece fino a quella di 15 anni fa, quando sulla salita di Oropa (sede d'arrivo odierna) Marco Pantani diede uno dei suoi più maestosi saggi. Nel decennale della scomparsa del mitico Pirata, il Giro lo omaggia (l'ha già fatto col passaggio sulla salita di Carpegna, l'ha fatto oggi a Oropa, lo farà domani con un altro traguardo caro allo scalatore romagnolo, quello di Montecampione, sul quale sconfisse Pavel Tonkov nel 1998), e naturalmente quando si ricordano le imprese di un campione così grande, tutto quello che possiamo vedere nel presente scolora, al cospetto di cotanta pietra di paragone.

Non ci si prenda per blasfemi, quindi, se diciamo che il finale della 14esima tappa ci ha emozionati QUASI come la grande rimonta di Marco nel 1999. Un'emozione minore (come già anticipato, qui non si parla di classifica generale), ma maturata in uno splendido testa a testa, in un fantastico raschiare il fondo del barile per cercare quella stilla in più dell'avversario, quel colpo di pedale supplementare che divide la felicità dall'amarezza più delusa.

I protagonisti di questa rusticaneria si chiamano Enrico Battaglin, Dario Cataldo, ma anche Jarlinson Pantano, Albert Timmer, e - perché no - Jan Polanc e Manuel Quinziato. Questi sei, insieme ad altri 16, sono andati a comporre nei primi chilometri della tappa (partita da Agliè), la fuga che avrebbe caratterizzato la giornata. Il primo dei 22 a salutare la compagnia è stato Pieter Serry, compagno della maglia rosa Urán, fermato dall'ammiraglia Omega Pharma, alla quale bastava avere un uomo davanti (nella fuga c'era infatti già Julien Vermote).

Attraverso le consuete vicissitudini che siamo abituati a vivere in ogni corsa (una caduta frena il gruppo, poi si rallenta al rifornimento, poi la squadra della maglia rosa non ha un grande interesse a chiudere sulla fuga...), le proporzioni dell'attacco dei 21 sono diventate interessanti, allorquando, a 90 km dalla fine, il margine si sostanziava in 10'30". È vero che a quel punto c'erano ancora tre salite a far da spauracchio sulla marcia dei battistrada, ma c'era anche la speranza che il gruppo non si sarebbe scannato sulla prima di queste (l'Alpe di Noveis) e forse neanche sulla seconda (la scalata a Bielmonte).

In effetti la stradina che si inerpicava sulla prima delle tre scalate ha visto una fase di studio nel plotone, e quello è stato il segnale che qualcuno dei 21 avrebbe potuto farcela. Appurato ciò, concentriamoci su di loro.

Danilo Hondo, velocista di lunghissimo corso (ma anche di grandissimo fondo, alla bella età - 40! - che si ritrova), è stato il primo a soffrire le pendenze di Noveis. Il secondo è stato Marco Frapporti, che a quel punto della giornata aveva già speso tanto in favore di Emanuele Sella, suo compagno presente nella fuga e più adatto al terreno di scontro. Entrambi, sia Hondo che Frapporti, si sono staccati, ma poi sono stati in grado di rifarsi sotto ancor prima del Gpm: un po' perché in cima la strada spianava, un po' perché anche gli altri fuggitivi erano saliti regolari, e un po' perché i due si sono dimostrati dei veri cagnacci.

Frapporti tra l'altro è stato utilissimo per Sella anche sulla successiva, difficile discesa: il vicentino si era staccato, ma il suo fido gregario di giornata l'ha riportato nel drappello, presentatosi quindi intatto ai piedi della salita di Bielmonte. Anche su questa ascesa Frapporti e Hondo hanno perso a un certo punto contatto dagli altri, ma anche in questo caso sono rientrati in un secondo momento, anche se di lì a poco hanno dovuto gettare definitivamente la spugna; come loro, hanno perso le ruote anche Paolo Longo Borghini e Perrig Quéméneur (quest'ultimo fermato dall'ammiraglia Europcar per aiutare il capitano Rolland). A 45 km dalla fine, però, era pensabile che qualcuno, là davanti, rompesse gli indugi: col gruppo dei big che iniziava a fermentare, e col margine sceso sotto i 5', era ora di smuovere le acque.

Si è incaricato della cosa Nicolas Roche, scattato a 3.5 km dal Gpm, e transitato in vetta tutto solo, ma con poco vantaggio su Tim Wellens, Yonathan Monsalve e gli altri superstiti. L'irlandese della Tinkoff è stato ripreso in discesa, a 31 km dalla fine (grande attivismo di Valerio Agnoli nell'occasione), e abbiamo dovuto aspettare altri 10 km per vedere un nuovo tentativo di destabilizzare la situazione: sono stati stavolta Quinziato e Timmer a scattare, con l'idea di avvantaggiarsi in vista della salita finale (pensavamo noi), o con l'idea di andare a provare a vincere la tappa (pensavano loro).

La coppia ha guadagnato una quarantina di secondi, ma alle prime rampe della scalata al Santuario di Oropa, a 9 km dalla vetta, Quinziato ha dovuto chiamarsi fuori: non per proprie defaillance, ma per un guasto meccanico (alla catena, corsi e ricorsi storici). Lì è finita l'avventura del bolzanino. Nel frattempo era però iniziata quella degli altri pretendenti alla vittoria: Mattia Cattaneo aveva aperto le ostilità ai 10 km, chiamando la reazione di Axel Domont e, in seconda battuta, di Wellens con Edvald Boasson Hagen. Roche ha chiuso su questa iniziativa, il resto l'hanno fatto le pendenze sempre più arcigne della salita.

A 6 km dalla vetta Timmer resisteva ancora solo al comando, e alle sue spalle il gruppo degli inseguitori si era ridotto a poche unità: Dario Cataldo, Ivan Santaromita, Roche, Sella, Wellens, Cattaneo, Pantano. Ai 5.5 km Cataldo ha proposto una progressione a cui ha risposto subito Cattaneo, e un po' dopo pure Pantano; ma anche in questo caso Roche ha operato per ricucire; l'irlandese non ha avuto però la forza di rilanciare, ed è stato allora Pantano (cosa l'avrà ispirato?!) a scattare.

L'olandese solo al comando, comunque, teneva bene a dispetto di un fisico non propriamente da scalatore. Facilitato dal non doversela vedere direttamente coi Quintana e i Pozzovivo che intanto stavano facendo fuoco e fiamme nel gruppo della maglia rosa, il corridore della Giant si è difeso ottimamente: ancora 40" per lui ai 5 km, e ci ha dovuto mettere tutto se stesso, Dario Cataldo, per chiudere quel gap che a un certo punto sembrava incolmabile.

L'abruzzese della Sky ha guidato in maniera gagliarda un inseguimento coronato solo ai 2.5 km, allorquando con l'inseparabile Pantano ha raggiunto Timmer; a quel punto Dario, convinto di essersi sbarazzato di tutti gli altri (qualche ruota velocina non mancava, lì in zona), ha deciso di dar quasi fondo a quello che aveva per provare a staccare il colombiano e l'olandese. La nuova progressione ha trovato però una reazione convinta nel corridore sudamericano, mentre Timmer accusava il colpo.

In un batti e ribatti spettacolare, Pantano ha risposto per le rime partendo con un contropiede rintuzzato da Cataldo; ma intanto emergeva da dietro un diesel chiamato Polanc, che aveva rilevato dal compagno Cattaneo la brillantezza per andare a disputarsi quel finale scoppiettante. Il 22enne sloveno è rientrato ai 1300 metri, riportando sotto pure un tenacissimo Timmer, ma intanto si sentiva un rombo di tuono provenire tumultuoso da qualche metro più in giù: era Battaglin, che stava rimontando metro dopo metro e ormai teneva nel mirino i primi della corsa.

Ai 700 metri il ritmo imposto da Polanc è stato definitivamente eccessivo per Timmer, che si è staccato e si è visto raggiungere da Battaglin, che l'ha subito piantato in asso nella foga di chiudere sugli altri. Ai 300 metri Polanc ha dimostrato di aver fatto male i calcoli riguardo alle proprie forze, e ha ceduto, mentre Battaglin era a un passo dal rientrare; Cataldo ha subito provato ad approfittare della difficoltà dell'uomo Lampre forzando una volata lunga. Pantano ha reagito bene, mentre Battaglin ha visto nuovamente allungarsi di qualche metro le distanze dai primi due.

Dall'ultima curva a sinistra (che immetteva sul rettilineo finale in pavé) è stato ancora il colombiano a uscire meglio, dando l'impressione di poter incredibilmente vincere (l'avverbio è per la quasi omonimia, non per sfiducia nei confronti di Jarlinson); ma Cataldo ha reagito per l'ennesima volta, affiancando l'avversario ai 100 metri e superandolo di nuovo. Da dietro, però, Battaglin, con rapportone, veniva su in una nube di acido lattico. Affiancato Pantano ai 70 metri, il vicentino della Bardiani ha scartato dal centro della strada verso destra, cercando una via d'uscita tra Cataldo e le transenne; ha affiancato anche l'abruzzese ai 30 metri, superandolo con gli ultimi colpi di pedale, e regalando così alla Bardiani il secondo successo di fila dopo quello di Marco Canola ieri a Rivarolo Canavese.

Un finale entusiasmante, un continuo capovolgimento di fronte, uno spettacolo che riconcilierebbe chiunque con il ciclismo. Con la ciliegina sulla torta del successo di uno dei nostri giovani più promettenti (già a segno al Giro nel 2013 a Serra San Bruno, per lui si profila una carriera da grande clasicómane), ma col risvolto della medaglia dell'espressione più che delusa di Cataldo, battuto per un soffio. Tanta la carica emotiva di questo finale, che anche Pantano, ottimo terzo, si è lasciato andare ad un pianto dirotto, dopo la linea d'arrivo.

Polanc ha chiuso al quarto posto a 17" dai primi, quindi Roche ha agguantato la quinta posizione davanti a un esausto Timmer, e davanti ai big della generale si sono piazzati pure Sella, Cattaneo, Wellens, Santaromita, Keizer e Monsalve, tutti fuggitivi della prima ora. Tutti per loro gli applausi, in questo approdo alle Alpi: se non altro, per aver ricordato a qualche smemorato (o distratto) quanto può essere bello il ciclismo.

Marco Grassi

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