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L'intervista: L'ascesa di Dalia, gioiello d'Italia - Muccioli: «Che emozione il tricolore! Sogno Olimpiadi, Giro e Freccia»

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La Campionessa Italiana Dalia Muccioli © Ph. Noemi Bachechi

Nel gruppo spicca per gli occhi profondi, la cadenza romagnola, il sorriso incantevole, il capello biondo. Biondo tinto, proprio come il pizzetto di Marco Pantani e di tutta la Mercatone Uno sugli Champs-Élysées, il 2 agosto 1998. Era l'ultima doppietta Giro-Tour realizzata fino ad oggi. Dalia Muccioli non solo è di Cesenatico e nel 1998, all'età di cinque anni, era sotto casa del Pirata, in quella marea di bandane e bandiere gialle, a festeggiare la vittoria francese. Dalia è soprattutto un'egregia scalatrice, che già dal primo anno s'è fatta vedere, in una gara a tappe corsa proprio in Francia, la Route de France. Maglia bianca di miglior giovane ed 8° posto nella classifica finale. Era il 2012, il meglio doveva ancora venire per la portacolori della Be Pink, che nel 2013 s'è levata una delle maggiori soddisfazioni di un ciclista: diventare Campionessa d'Italia. Tante atlete navigate non hanno mai conquistato quel traguardo, la giovane Dalia sì. A Rancio Valcuvia, il 23 giugno scorso, è arrivata da sola sotto una pioggia torrenziale, esultando come una matta, con la grinta che in gara la contraddistingue. Tanta strada ancora davanti a sé, non è la più giovane Campionessa d'Italia Élite (il primato spetta a Bruna Cancelli, che nel 1976 s'impose a soli 17 anni) ma ha pur sempre conquistato la maglia tricolore a 20 anni e 32 giorni. In una gara inaspettata, nell'unico modo possibile che Dalia aveva per salire sul gradino più alto di quel podio («Se voglio vincere, devo arrivare da sola», ammette col sorriso). Nel giro della Nazionale già da Junior, la ragazza di Cesenatico che tifa per Alberto Contador è pronta ad affrontare un 2014 ancor più ricco di emozioni.

Dalia, hai ripreso ad allenarti in vista della prossima stagione?
«Da un mesetto, palestra e bici. Arrivo a fine giornata un po' stravolta, ieri sera mi sono addormentata davanti alla tv, mentre guardavo un film...».

Vittoriosa a Rancio Valcuvia, Campionato Italiano © Bettiniphoto

Rivediamo il film dei tuoi primi due anni da Élite?
«Volentieri».

Partiamo dall'appuntamento più importante, il Campionato Italiano vinto.
«Eh sì, quella è stata un'emozione come ancora ne avevo vissute poche, nel ciclismo. A giugno stavo bene, la condizione era buona. Avevo vinto al Radsporttage Gippingen, una gara nazionale svizzera, e poi ero andata bene al Giro del Trentino. In quest'ultima c'erano molte più big rispetto a Gippingen. Ho preso subito la maglia ed in salita non ho pagato molto dalla Stevens, che alla fine ha vinto. Ho chiuso nona nell'Italiano a crono e volevo far bene nella corsa in linea. Diciamo che il mio obiettivo era arrivare a podio».

Per questo sei andata subito all'attacco.
«All'inizio ero in un gruppo molto numeroso, due atlete per squadra e via. Quando il gruppo principale ci ha riprese è partita la Susy, la Zorzi. Silvia (Valsecchi, n.d.r.), che era in fuga con me, mi ha urlato di andarle dietro. Siamo rimaste noi due ma all'ultimo giro è arrivata la Longo (Elisa Longo Borghini, n.d.r.). Ha accelerato, sono riuscita a rimanere insieme a lei».

Una bruttissima caduta l'ha fatta fuori, purtroppo. Sei stata pronta a schivarla.
«Ho preso la discesa un po' più piano. Quando ho visto Elisa andare in terra ho pensato che se mi fossi fermata e la sua bici fosse tornata indietro sarei finita in terra anch'io. In realtà la bicicletta è rimbalzata in strada ed io sono passata in uno spazio molto piccolo, non so come».

Di lì dritta al traguardo.
«Senza mai voltarmi. Non mi ero resa conto che Elisa si era fatta davvero male, quindi pensavo che si sarebbe rialzata e magari sarebbe venuta a riprendermi. C'era anche il pericolo che da dietro arrivasse la Bronzini e mi sverniciasse sul traguardo... Se fai caso, infatti, fino ai 100, 150 metri non mi volto mai: testa bassa e guardare avanti. Un po' è stata la fortuna, un po' il fatto che ero lì davanti, ma alla fine ce l'ho fatta».

Cosa prova una ragazza di vent'anni quando vince un Campionato Italiano?
«Un'emozione grandissima. L'Italiano è una corsa di ciclismo, certo, ma in realtà è molto particolare. Assegna una maglia che si porterà per un anno intero in giro per il Mondo, e poi, per quanto mi riguarda, è stata una vittoria speciale proprio perché era inaspettata. Oltretutto in quel periodo c'erano tante altre ragazze che andavano molto forte: Guderzo, Bronzini, Ratto, Longo Borghini...».

Non c'è il rischio che venga un po' oscurata - diciamo così - dall'infortunio occorso alla Longo Borghini?
«No, io non la vedo così. So che ero là davanti a giocarmela con Elisa. Logico, sono pienamente consapevole che se lei non fosse caduta magari mi avrebbe staccata sull'ultimo strappetto, o in volata avrebbe avuto la meglio, però non è andata così. Le persone che dopo la corsa mi hanno fatto i complimenti non mi hanno fatto pesare nulla».

Indossa il tricolore e morde l'oro conquistato © Ph. Noemi Bachechi

Questa prestigiosa maglia tricolore come ha cambiato la tua stagione?
«È stato molto importante poter vestire il tricolore nella seconda parte di stagione. Già dal Giro Rosa, specialmente nelle tappe del sud Italia, erano in molti a riconoscermi, a chiedermi autografi, foto. Tutto questo mi ha fatto un grande piacere. A dire il vero anche nella tappa di Corbetta in molti mi hanno riconosciuta; del resto la mia squadra è di Milano, eravamo vicini».

A soli 20 anni non t'è pesato neanche un po' vestire una maglia così importante?
«Mah, vestendo il tricolore si hanno più responsabilità, più attenzioni. E di conseguenza, quando si è sotto i riflettori, il risultato può arrivare meno facilmente. Sicuramente mi sono sentita in dovere di onorare questa maglia, portando quindi a termine le corse. Magari nell'ultima parte di stagione sono stata un po' stanca, ma di testa...».

Ecco, il Giro Rosa: con salite come il Beigua e San Domenico era lecito aspettarsi qualcosa di più da una scalatrice come te. Cosa non ha funzionato?
«Non lo so, ma a dire il vero nemmeno io sono troppo soddisfatta del mio Giro Rosa. Forse avrei dovuto provare a buttarmi maggiormente nelle fughe, perché su salite di una quindicina di chilometri come il Beigua e San Domenico, veramente dure, non avevo certo il passo delle migliori. E lì o vai o non vai. Inoltre al Giro, dalla Vos alla Abbott, c'erano proprio tutte».

L'anno scorso alla Route de France avevi stupito piacevolmente. Quali sono le differenze maggiori tra Route e Giro?
«Allora, l'anno scorso c'era l'arrivo in salita alla Planche des Belles Filles dopo tappe pianeggianti. Ho corso tutta la Route aspettando quel venerdì. Giovedì sera ero felice, il giorno dopo ci sarebbe stata salita, già fatta al Tour, che mi avrebbe gasata molto. Quest'anno, a parte una tappa, la Route è stata abbastanza pianeggiante. La partecipazione non è certo quella del Giro Rosa, l'anno scorso le big erano la Stevens, la Amialiusik e poche altre. Al Giro ci sono tutte le migliori, la qualità è nettamente maggiore. Quest'anno inoltre, se escludiamo la tappa di Corbetta e le due frazioni iniziali, al Giro c'era sempre salita. Non solo sul Beigua o a San Domenico, ma anche la frazione di Cerro al Volturno era davvero impegnativa».

In maglia bianca di miglior giovane alla Route de France 2012 © Route de France

Insomma, certi corridori sono ancora troppo forti.
«Sì, adesso la concorrenza è ancora troppo elevata per me. Ed al Giro stavo bene, o comunque non male, visto che una settimana prima avevo vinto il Campionato Italiano. Magari sono ancora troppo giovane per puntare alla classifica generale o ai primi dieci posti».

E che dici della seconda parte di stagione?
«Che a parte all'Europeo, dove ho chiuso all'ottavo posto, ho raccolto poco. Ero un po' stanca probabilmente, volevo arrivare al traguardo, vestendo quella maglia, anche a tutti i costi, alle volte».

Magari la stanchezza deriva anche dall'aver iniziato a correre sin da fine febbraio, alla Vuelta a El Salvador?
«Non credo. È vero, ho corso tanto all'inizio della stagione, ma mi sono ritirata dalla Vuelta per una caduta, quindi ho trascorso due settimane che non erano di riposo assoluto ma di relativa tranquillità. Poi ho corso la Freccia Vallone, la Gracia-Orlová, a maggio sono andata a Livigno ed ho recuperato... No, non penso che l'inizio di stagione mi abbia creato problemi per il resto dell'anno».

Hai parlato dell'Europeo. Lì che compito avevi?
«Era importante vincere, e come risultato collettivo abbiamo fatto centro, con la Zorzi che se n'è andata a 40 km dall'arrivo ed è arrivata da sola. Le punte eravamo, nell'ordine, la Ratto, poi io e la Cauz. Nei primi tre giri ero un po' imballata, intimorita, non so. C'era una salita tosta e la prendevo sempre nelle ultime posizioni. Anna Stricker è stata fantastica, mi ha aspettato ogni volta per farmi rientrare. Chissà quante energie deve aver speso in quei primi tre giri...».

Sei nel giro della Nazionale, al secondo anno ai Mondiali Élite, anche se da riserva.
«Sì, e devo dire che essere riserva a questi Mondiali un po' mi è dispiaciuto. Dall'inizio della stagione, con un Mondiale in casa, a Firenze, per me l'obiettivo era correrlo. Sinceramente, c'erano delle ragazze che a settembre andavano molto più forte di me, quindi è stato giusto che abbiano corso loro. Se magari avessi avuto la condizione del Campionato Italiano me la sarei potuta giocare».

In Nazionale al Mondiale fiorentino, con Elena Cecchini (a sinistra) e Giorgia Bronzini (al centro) © Bettiniphoto

In compenso, dai box, hai potuto esibire quella bella lavagna con la scritta "Tropea".
«Visto? Tropea era un segnale in codice per dire che tutto andava bene. È venuto fuori perché qualcuno doveva andare in vacanza a Tropea, credo, e così noi ragazze lo dicevamo a caso, ogni tanto. In realtà le indicazioni da dare in corsa, sulla lavagna, erano altre. Volevamo evitare che la Vos capisse su che ruota stare. Purtroppo non è servito a fermarla, con lei ci vuole ben altro che una lavagna...».

Guardando all'immediato futuro, quali sono i tuoi programmi per il 2014?
«Sicuramente a fine febbraio correrò in Costarica e a El Salvador; lì c'è caldo e non potrà fare altro che bene. Il resto della stagione andrà studiato per bene, pianificato con il mio allenatore. Ad oggi non so nulla di più preciso, a parte Costarica ed El Salvador».

Avrai pure un obiettivo per la prossima stagione.
«No, non ne ho uno in particolare. Sicuramente m'interessa molto l'Europeo, perché ti porta a vestire sempre una bella maglia, prestigiosa. Purtroppo quest'anno coinciderà con il Giro Rosa. Non capisco perché noi ragazze dobbiamo essere costrette a scegliere se partecipare al Giro, all'Europeo, se correre parte del Giro e poi andare all'Europeo... Cosa costava sistemarlo una settimana dopo nel calendario? Per questo motivo valuterò un po', ma di sicuro sono interessata all'Europeo».

Ed una corsa come la Freccia Vallone, adatta a scalatrici pure come te? Quest'anno hai esordito con un bel 28° posto.
«È una corsa che mi affascina, è una classica, tagliata su misura per me. Quindi sì, mi piacerebbe vincerla, ma di certo non l'anno prossimo. Forse tra quattro o cinque anni».

Cosa ti manca per fare quel salto di qualità?
«Devo crescere, sia fisicamente che di testa. Imparare a capire come comportarmi in determinate situazioni di corsa. Mi do cinque anni. Oddio, magari sono pure troppi, ma facciamo quattro».

Tra i tuoi obiettivi ci sono anche i Giochi Olimpici.
«Mi piacerebbe prendere parte all'Olimpiade. Magari Rio sarà ancora troppo presto per me per poter competere. Sarei felice anche solo di partecipare a Rio e di sicuro proverò ad esserci».

Al Giro del Trentino trascina la Be Pink alla vittoria nella cronosquadre e veste la maglia fucsia © Ambrogio Rizzi

Pensi in grande ma sei ancora giovanissima. Com'è stato il 2012, tuo primo anno tra le Élite?
«L'anno scorso sono passata con la Be Pink. La squadra si è dimostrata molto comprensiva con me, che dovevo sostenere la maturità scientifica. Una volta finita la scuola sono riuscita ad allenarmi meglio e ad agosto ho potuto correre una bella Route de France. C'è stata poi la convocazione al Mondiale di Valkenburg, la mia seconda avventura in azzurro. È stato molto bello».

Ci sono stati momenti in cui avresti voluto mollare tutto? Qual è l'elemento fondamentale per non lasciare tutto, anche quando la ruota non gira?
«Io sono dell'idea che una giovane, per andare avanti, debba avere tanta, tanta pazienza. L'impegno, la costanza, il lavoro sin dall'inverno, alla lunga premiano. Servono inoltre persone capaci al tuo fianco, che non ti spremano subito né ti chiedano chissà quali risultati. La famiglia, poi, è importantissima per supportarti, determinante. Certo, quando ho corso in Olanda ed in Belgio e non ho finito le gare, qualche domanda me la sono fatta. Bisogna tener duro e raccogliere il più possibile. Per esempio, l'anno scorso ho raccolto a Leproso di Premariacco. Ok, era una vittoria tra le Under 23 e le Juniores, ma mi ha tirata su di morale, facendomi capire che qualcosa di buono da dire lo avevo. Da lì alla Route de France ero ancor più motivata».

Ovviamente a Leproso hai vinto per distacco, arrivando da sola.
«Devo. Se voglio vincere devo staccare le altre ed arrivare in solitaria».

Essere una buonissima scalatrice, in un calendario come quello femminile che offre poche gare impegnative dal punto di vista altimetrico, non può essere un limite?
«Sicuramente se vorrò fare bene nelle corse a tappe dovrò migliorare a cronometro, è un aspetto su cui si può lavorare. Lo spunto veloce è migliorabile, sì, ma come scaltrezza e colpo d'occhio. Per me sarebbe già importante poter fare selezione e sapere di essere in grado di regolare il gruppetto rimasto con me. C'è molto da fare, sotto questo punto di vista».

La Be Pink nel 2014 avrà tante importanti conferme e quattro innesti, tra cui le due azzurre Anna Stricker e Susanna Zorzi.
«La Stricker è un gran bel corridore, che deve crescere, certo, ma può fare i suoi bei risultati. E poi è un'amica. Un bell'acquisto, così come quello della Zorzi. La Susy è un pezzo di pane, credo sia la persona più buona della Terra. Se le dai un compito lo farà fino alla morte, veramente...».

In questi due anni con chi hai legato maggiormente in Be Pink?
«Con Alice (Algisi, n.d.r.), che ha la mia stessa età. Basta uno sguardo e ci capiamo. Anche con Simona Frapporti mi trovo davvero bene. E nell'ultimo anno ho apprezzato molto i consigli che mi ha dato Noemi Cantele. Non tanto su come allenarmi, ma sui periodi in cui tirare il fiato, cose così. Alla vigilia dell'Europeo le ho detto che speravo di onorare la maglia azzurra e lei mi ha risposto che se avessi continuato su questa strada mi sarei tolta delle gran belle soddisfazioni. Fa piacere sentirsi dire una cosa del genere, in fondo viene da Noemi Cantele, un nome importante nel ciclismo femminile. Tornando alla squadra, la forza è non mettere troppa pressione addosso a noi ragazze da parte di Walter Zini e Sigrid Corneo. Niente stress per il risultato, soltanto un lavoro serio con noi».

Alle prime armi ma già grintosissima in sella © Facebook

Facciamo molti passi indietro. Come inizia il tuo amore per il ciclismo?
«Non da subito. Fino a sette anni ho praticato ginnastica artistica. Poi mi sono stancata, anche perché iniziavano a caricarmi di lavoro, essendo piccoletta e magrolina. In famiglia ci sono lo zio di mio papà (Domenico Muccioli, professionista negli anni '60, n.d.r.) e mio zio che hanno corso in bicicletta. Alle elementari tanti miei compagni correvano. In famiglia mi hanno detto se volevo provare. Ho provato».

La prima gara?
«Con i maschi, a Villalta, proprio dietro casa. Una fatica, ma una fatica... Non dimenticherò mai quanta ne ho fatta quel giorno! Da lì ho continuato, però, spesso con i maschi. Per correre con le ragazze avrei dovuto spostarmi al Nord, le gare erano tutte su. E poi a me piaceva correre con i ragazzi, era divertente. Ancora oggi mi alleno con professionisti come Belletti, Marangoni ed alcuni dilettanti».

Da Junior inizi a vincere relativamente tardi, nel 2011. Cosa cambia rispetto a prima?
«Prima vincevo poco anche perché da Esordiente ed Allieva correvo molto spesso con i maschi, come dicevo. Non c'era la possibilità di confrontarmi molto con le mie coetanee. Dopo quegli anni alla Sidermec-Riviera, nella prima stagione da Junior sono passata al GS Potentia 1945 di Giordano Romoli. Nel 2010 ho ottenuto qualche piazzamento, anche a crono, ma niente di importante. A fine stagione ho deciso: avrei provato a fare sul serio».

Da divertimento il ciclismo diventa un piccolo lavoro.
«In effetti è quello il momento in cui c'è stato il salto, da parte mia. Nell'inverno 2010 mi sono allenata bene, facendo anche delle camminate, perdendo qualche chilo, rinunciando al gelato, quando prima magari non mi ponevo troppi problemi su cosa e quanto mangiare... Nella prima gara del 2011, a San Carlo, ho chiuso al 10° posto, in uno sprint sotto la pioggia. Ero contentissima, non chiusi occhio tutta la notte per l'emozione. Al Brinzio la prima vittoria, dopo aver staccato tutte. E mi sono sbloccata. Poi c'è stato l'Europeo di Offida, in cui ho aiutato Rossella Ratto a vincere, grazie alla tattica perfetta del nostro CT Dino Salvoldi».

Ed in un batter d'occhio Dalia diventa Alberto.
«Già (ride). È Walter Zini, il mio allenatore, che mi chiama così. Soprattutto perché sono tifosissima di Alberto Contador ed un po' perché, da quello che mi hanno detto, quando mi alzo sui pedali ricordo un po' lui. È preoccupante se mi chiama Dalia, quello sì. Vuol dire che qualcosa non va bene. Altrimenti mi chiama Alberto...».

Vince la prima gara tra le Juniores al Brinzio © Davide Ronconi

Va bene la giovane età, ma una scalatrice di Cesenatico che ha come idolo Contador e non Pantani...
«Eh, lo so. I miei genitori lo conoscevano di persona. Ho qualche ricordo di quando vinse il Tour. Mi pare nel '98. Avevo cinque anni ed andammo a festeggiare con tutta Cesenatico. Purtroppo di Pantani ricordo bene i funerali. Il fatto è che non l'ho mai visto correre. Con Contador è diverso, ogni anno posso vederlo al Tour, invece Pantani, anche se ogni tanto me lo vado a cercare su Internet, non me lo sono vissuto».

È una leggenda infondata che tu non abbia mai scalato il Carpegna, o no?
«(ride) È vero invece! Per una ragione o per l'altra, non ci sono mai stata. Non è vicinissimo a casa mia, tra andata e ritorno saranno 150 km. Fare un lungo ogni tanto ci sta anche. Avrei dovuto affrontarlo dopo il Giro Rosa, poi però sono stata poco a casa, c'era l'Europeo. Appena ci sarà un po' più caldo - perché adesso lassù c'è la neve - andrò a fare il Carpegna. È una promessa».

Contador a parte, chi ammiri?
«Se ti dovessi dire un nome preciso non saprei... Ovviamente Nibali, però come Contador non c'è nessuno».

E tra le tue colleghe?
«Tra le italiane mi piace la Guderzo, così come la Longo Borghini. Ma la mia preferita è Evelyn Stevens. Non la conosco, però è sempre disponibile, allegra, sorridente. Ricordo che l'anno scorso, alla Route de France, lei aveva la maglia gialla ed io quella bianca di miglior giovane. Eravamo insieme sul palco delle premiazioni. Anche quest'anno, al Giro del Trentino, ho preso la maglia dopo la cronoscalata a squadre, ma a Termon di Campodenno lei ha fatto il vuoto. Nonostante tutto è venuta da me a congratularsi, una gran bella persona, molto umile».

Scendi un attimo di bici e raccontaci cosa fai, che hobby hai...
«A fine stagione mi prendo due settimane di relax, in cui posso fare le cose con tranquillità. Passeggiate al mare (una cosa che adoro!), uscite con le amiche, shopping, la colazione al bar insieme a mia mamma. La discoteca non mi fa impazzire, dopo un paio di volte che ci vado mi stufa. Non sono una gran lettrice ma vado al cinema, mi piacciono le commedie. E poi c'è la musica, mi accompagna sempre, anche in casa, se devo pulire o dare una mano in cucina».

E qui parte la sfida: saprai bene che Francesca Cauz, per fare un nome a caso, ama cucinare...
«Eccome se lo so, e non solo lei, anche la Ratto... Io più che altro do una mano a mia mamma ma quella che cucina in casa è lei».

Quanto tempo ti dai per raggiungere Cauz e Ratto, i quattro anni canonici?
«Eh sì, devo recuperare terreno (ride)».

Ci sei appena entrata ma come vedi il ciclismo femminile ora ed in futuro?
«Penso che stia facendo dei piccoli passi avanti. Avremmo bisogno di più visibilità, perché non serviamo soltanto per portare medaglie. Voglio dire, le medaglie le portiamo sempre ma fatichiamo come tutti gli altri, quindi meritiamo una maggior visibilità».

Ed invece come vedi Dalia Muccioli da qui a quattro anni?
«Voglio crescere, provare a vincere ancora, tentare di prendere parte ai Giochi Olimpici e magari aggiudicarmi un Giro Rosa».

Il Giro è un po' la tua ossessione.
«Sì, ma in senso positivo».

Se per il 2014 mettiamo sul piatto una conferma al Campionato Italiano, un Europeo, una Freccia Vallone o un'altra gara di Coppa del Mondo, diciamo Cittiglio, cosa scegli?
«Non è mica facile! Allora: l'Italiano in primis. Perché significherebbe confermarsi, vestire ancora la maglia tricolore, tante emozioni. Al secondo posto, a pari merito, la Freccia e l'Europeo. La prima è una classica che mi intriga, è adatta a me, è importantissima. Ed è Open, mentre l'Europeo è solo per Under 23. Ma vincerlo significa pur sempre portare a casa una maglia, ha il suo valore, insomma. Ecco, il mio podio è questo, poi se arrivasse qualsiasi altra gara di Coppa, da Cittiglio a Plouay, logicamente mi farebbe molto piacere».

Infine, qual è la più grande motivazione che ti spinge ad allenarti e restare in un mondo spesso difficile come quello del ciclismo?
«Ti dico la verità: come mi appaga il ciclismo non mi appaga nient'altro. L'emozione che ho provato quando ho vinto il Campionato Italiano, o quando in generale vince la mia squadra, non me l'ha data nient'altro. Trovo solo nel ciclismo dei momenti che mi appagano in questo modo. Per questo aspiro a dare il massimo e ad arrivare fino a dove posso».

Francesco Sulas

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