Il Portale del Ciclismo professionistico

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Una frazione con Peyresourde, Aspin, Tourmalet e Aubisque, ma con più di 60 km dall'ultimo scollinamento al traguardo: una tappa forse sprecata visto il solito immancabile bisogno di fare un arrivo a Pau. Nel dettaglio, il Peyresourde è affrontato subito in avvio, si parte in salita, si scollina dopo 11 km, e dopo la picchiata verso Arreau si risale verso l'Aspin. Vetta al km 42, nuova discesa fino a Sainte-Marie-de-Campan, e 17 km di scalata del Tourmalet, dal versante più semplice (se così si può dire). Dalla vetta del Tour, Souvenir Jacques Goddet (a 2115 metri d'altitudine), 36 km di discesa porteranno ad Argelès-Gazost, e da qui la strada tornerà ad impennarsi verso il Soulor e poi, più su, verso l'Aubisque. Dopodiché i già citati oltre 60 km, di cui 17 di discesa vera e quasi 45 di falsopiano digradante verso la ridente Pau.
Sicuramente partirà una fuga abbastanza corposa già dalle prime battute e dalla composizione di questa si potrà già capire se sarà una giornata senza scossoni o se invece qualcuno vorrà provare a far saltare il banco: se davanti si inseriranno un paio di uomini della Saxo Bank potrà essere un segno che Andy Schleck vuol provare a trasformare in secondi la rabbia accumulata ieri, ma la tappa potrebbe diventare molto tirata anche se dovesse partire qualcuno posizionato tra la decima e la quindicesima posizione. Onestamente ci crediamo poco, ma sarebbe un bello spettacolo.

Bagnères de Luchon

I Pirenei pullulano di acque benefiche e località termali, come Bagnères de Luchon. Forse non tutti sanno che il nome Luchon deriva da Lixon, divinità degli indigeni locali quando la valle fu conquistata dai romani. Una delle più suggestive, denominata "regina dei pirenei" da Vincent de Chausenque nel suo libro sui Pirenei. Le proprietà benefiche delle acque di questi luoghi era noto sin da epoca romana, ma il turismo a Bagnères ha fatto capolino nel XIX secolo, cambiando la vita degli abitanti della zona trasformatisi da semplici pastori a titolari di strutture alberghiere e stazioni sciistiche. La partenza della tappa di oggi ha luogo su Allées d’Etigny, il viale più importante del paesino, caratterizzato da costruzioni di architetture delle più disparate.

Pau

Perché così tante tappe del Tour arrivano a Pau? Il perché Pau ami il Tour è piuttosto chiaro, un po' meno il perché il Tour ami Pau. Sorvoliamo su questi misteri; andando a rileggere la storia del Tour, si noti che questa tappa, a prima vista un aborto, in epoche remote ha fatto la storia del Tour, tant'è che si è arrivati a Pau da Bagnères per ben 10 volte. La prima volta è nel 1935 ed è anche piuttosto memorabile: il nostro Ambrogio Morelli mette in seria discussione la leadership di Romain Maes dandogli 6': poi dovrà arrendersi alla forza dei belgi in pianura. Nel 1936 fu un altro Maes, Sylviére, a vincere il Tour e proprio il tappone di Pau decise la corsa a suo favore, che nel 1937 invece perse qualcosa da Lapebie, i cui tifosi intemperanti costrinsero i belgi ad abbandonare il Tour. Questa tappa l'hanno vinta assi del livello di Robic, Pauwels e Bahamontes, mentre Hinault si ritrovò a vincere allo sprint su un percorso semplificato, senza Tourmalet.

Nicola Stufano
Bagnères de Luchon

I Pirenei pullulano di acque benefiche e località termali, come Bagnères de Luchon. Forse non tutti sanno che il nome Luchon deriva da Lixon, divinità degli indigeni locali quando la valle fu conquistata dai romani. Una delle più suggestive, denominata "regina dei pirenei" da Vincent de Chausenque nel suo libro sui Pirenei. Le proprietà benefiche delle acque di questi luoghi era noto sin da epoca romana, ma il turismo a Bagnères ha fatto capolino nel XIX secolo, cambiando la vita degli abitanti della zona trasformatisi da semplici pastori a titolari di strutture alberghiere e stazioni sciistiche. La partenza della tappa di oggi ha luogo su Allées d’Etigny, il viale più importante del paesino, caratterizzato da costruzioni di architetture delle più disparate.

Pau

Perché così tante tappe del Tour arrivano a Pau? Il perché Pau ami il Tour è piuttosto chiaro, un po' meno il perché il Tour ami Pau. Sorvoliamo su questi misteri; andando a rileggere la storia del Tour, si noti che questa tappa, a prima vista un aborto, in epoche remote ha fatto la storia del Tour, tant'è che si è arrivati a Pau da Bagnères per ben 10 volte. La prima volta è nel 1935 ed è anche piuttosto memorabile: il nostro Ambrogio Morelli mette in seria discussione la leadership di Romain Maes dandogli 6': poi dovrà arrendersi alla forza dei belgi in pianura. Nel 1936 fu un altro Maes, Sylviére, a vincere il Tour e proprio il tappone di Pau decise la corsa a suo favore, che nel 1937 invece perse qualcosa da Lapebie, i cui tifosi intemperanti costrinsero i belgi ad abbandonare il Tour. Questa tappa l'hanno vinta assi del livello di Robic, Pauwels e Bahamontes, mentre Hinault si ritrovò a vincere allo sprint su un percorso semplificato, senza Tourmalet.

Bagnères de Luchon

I Pirenei pullulano di acque benefiche e località termali, come Bagnères de Luchon. Forse non tutti sanno che il nome Luchon deriva da Lixon, divinità degli indigeni locali quando la valle fu conquistata dai romani. Una delle più suggestive, denominata "regina dei pirenei" da Vincent de Chausenque nel suo libro sui Pirenei. Le proprietà benefiche delle acque di questi luoghi era noto sin da epoca romana, ma il turismo a Bagnères ha fatto capolino nel XIX secolo, cambiando la vita degli abitanti della zona trasformatisi da semplici pastori a titolari di strutture alberghiere e stazioni sciistiche. La partenza della tappa di oggi ha luogo su Allées d’Etigny, il viale più importante del paesino, caratterizzato da costruzioni di architetture delle più disparate.

Pau

Perché così tante tappe del Tour arrivano a Pau? Il perché Pau ami il Tour è piuttosto chiaro, un po' meno il perché il Tour ami Pau. Sorvoliamo su questi misteri; andando a rileggere la storia del Tour, si noti che questa tappa, a prima vista un aborto, in epoche remote ha fatto la storia del Tour, tant'è che si è arrivati a Pau da Bagnères per ben 10 volte. La prima volta è nel 1935 ed è anche piuttosto memorabile: il nostro Ambrogio Morelli mette in seria discussione la leadership di Romain Maes dandogli 6': poi dovrà arrendersi alla forza dei belgi in pianura. Nel 1936 fu un altro Maes, Sylviére, a vincere il Tour e proprio il tappone di Pau decise la corsa a suo favore, che nel 1937 invece perse qualcosa da Lapebie, i cui tifosi intemperanti costrinsero i belgi ad abbandonare il Tour. Questa tappa l'hanno vinta assi del livello di Robic, Pauwels e Bahamontes, mentre Hinault si ritrovò a vincere allo sprint su un percorso semplificato, senza Tourmalet.

Bagnères de Luchon

I Pirenei pullulano di acque benefiche e località termali, come Bagnères de Luchon. Forse non tutti sanno che il nome Luchon deriva da Lixon, divinità degli indigeni locali quando la valle fu conquistata dai romani. Una delle più suggestive, denominata "regina dei pirenei" da Vincent de Chausenque nel suo libro sui Pirenei. Le proprietà benefiche delle acque di questi luoghi era noto sin da epoca romana, ma il turismo a Bagnères ha fatto capolino nel XIX secolo, cambiando la vita degli abitanti della zona trasformatisi da semplici pastori a titolari di strutture alberghiere e stazioni sciistiche. La partenza della tappa di oggi ha luogo su Allées d’Etigny, il viale più importante del paesino, caratterizzato da costruzioni di architetture delle più disparate.

Pau

Perché così tante tappe del Tour arrivano a Pau? Il perché Pau ami il Tour è piuttosto chiaro, un po' meno il perché il Tour ami Pau. Sorvoliamo su questi misteri; andando a rileggere la storia del Tour, si noti che questa tappa, a prima vista un aborto, in epoche remote ha fatto la storia del Tour, tant'è che si è arrivati a Pau da Bagnères per ben 10 volte. La prima volta è nel 1935 ed è anche piuttosto memorabile: il nostro Ambrogio Morelli mette in seria discussione la leadership di Romain Maes dandogli 6': poi dovrà arrendersi alla forza dei belgi in pianura. Nel 1936 fu un altro Maes, Sylviére, a vincere il Tour e proprio il tappone di Pau decise la corsa a suo favore, che nel 1937 invece perse qualcosa da Lapebie, i cui tifosi intemperanti costrinsero i belgi ad abbandonare il Tour. Questa tappa l'hanno vinta assi del livello di Robic, Pauwels e Bahamontes, mentre Hinault si ritrovò a vincere allo sprint su un percorso semplificato, senza Tourmalet.

Bagnères de Luchon

I Pirenei pullulano di acque benefiche e località termali, come Bagnères de Luchon. Forse non tutti sanno che il nome Luchon deriva da Lixon, divinità degli indigeni locali quando la valle fu conquistata dai romani. Una delle più suggestive, denominata "regina dei pirenei" da Vincent de Chausenque nel suo libro sui Pirenei. Le proprietà benefiche delle acque di questi luoghi era noto sin da epoca romana, ma il turismo a Bagnères ha fatto capolino nel XIX secolo, cambiando la vita degli abitanti della zona trasformatisi da semplici pastori a titolari di strutture alberghiere e stazioni sciistiche. La partenza della tappa di oggi ha luogo su Allées d’Etigny, il viale più importante del paesino, caratterizzato da costruzioni di architetture delle più disparate.

Pau

Perché così tante tappe del Tour arrivano a Pau? Il perché Pau ami il Tour è piuttosto chiaro, un po' meno il perché il Tour ami Pau. Sorvoliamo su questi misteri; andando a rileggere la storia del Tour, si noti che questa tappa, a prima vista un aborto, in epoche remote ha fatto la storia del Tour, tant'è che si è arrivati a Pau da Bagnères per ben 10 volte. La prima volta è nel 1935 ed è anche piuttosto memorabile: il nostro Ambrogio Morelli mette in seria discussione la leadership di Romain Maes dandogli 6': poi dovrà arrendersi alla forza dei belgi in pianura. Nel 1936 fu un altro Maes, Sylviére, a vincere il Tour e proprio il tappone di Pau decise la corsa a suo favore, che nel 1937 invece perse qualcosa da Lapebie, i cui tifosi intemperanti costrinsero i belgi ad abbandonare il Tour. Questa tappa l'hanno vinta assi del livello di Robic, Pauwels e Bahamontes, mentre Hinault si ritrovò a vincere allo sprint su un percorso semplificato, senza Tourmalet.

Bagnères de Luchon

I Pirenei pullulano di acque benefiche e località termali, come Bagnères de Luchon. Forse non tutti sanno che il nome Luchon deriva da Lixon, divinità degli indigeni locali quando la valle fu conquistata dai romani. Una delle più suggestive, denominata "regina dei pirenei" da Vincent de Chausenque nel suo libro sui Pirenei. Le proprietà benefiche delle acque di questi luoghi era noto sin da epoca romana, ma il turismo a Bagnères ha fatto capolino nel XIX secolo, cambiando la vita degli abitanti della zona trasformatisi da semplici pastori a titolari di strutture alberghiere e stazioni sciistiche. La partenza della tappa di oggi ha luogo su Allées d’Etigny, il viale più importante del paesino, caratterizzato da costruzioni di architetture delle più disparate.

Pau

Perché così tante tappe del Tour arrivano a Pau? Il perché Pau ami il Tour è piuttosto chiaro, un po' meno il perché il Tour ami Pau. Sorvoliamo su questi misteri; andando a rileggere la storia del Tour, si noti che questa tappa, a prima vista un aborto, in epoche remote ha fatto la storia del Tour, tant'è che si è arrivati a Pau da Bagnères per ben 10 volte. La prima volta è nel 1935 ed è anche piuttosto memorabile: il nostro Ambrogio Morelli mette in seria discussione la leadership di Romain Maes dandogli 6': poi dovrà arrendersi alla forza dei belgi in pianura. Nel 1936 fu un altro Maes, Sylviére, a vincere il Tour e proprio il tappone di Pau decise la corsa a suo favore, che nel 1937 invece perse qualcosa da Lapebie, i cui tifosi intemperanti costrinsero i belgi ad abbandonare il Tour. Questa tappa l'hanno vinta assi del livello di Robic, Pauwels e Bahamontes, mentre Hinault si ritrovò a vincere allo sprint su un percorso semplificato, senza Tourmalet.

Meteo

11.30 - Bagnères-de-Luchon
14.55 - Argelès-Gazost
17.30 - Pau

Soggetti Alternativi

Alla soglia dei 37 anni disputa il diciassettesimo grande giro della carriera, la settima Grande Boucle (è sempre arrivato a Parigi nelle precedenti). Tranne una parentesi alla Phonak ha sempre diviso la propria carriera tra Belgio e Olanda, agendo per lo più come gregario. E' un passista in grado di difendersi più che dignitosamente anche in salita (lo dimostra la Vuelta 2005, conclusa al 13° posto) e capace anche di belle prestazioni a cronometro (6° un anno fa al mondiale contro il tempo di Mendrisio). Non molte le sue vittorie tra cui i spiccano certamente i due titoli olandesi in linea nel 2007 e nel 2009. La sua esperienza è molto utile sia per Menchov che per Gesink ma se ne avrà possibilità ci proverà con una fuga. In cui cercar di far bene ad ogni Koos...to!

Vivian Ghianni

Alla soglia dei 37 anni disputa il diciassettesimo grande giro della carriera, la settima Grande Boucle (è sempre arrivato a Parigi nelle precedenti). Tranne una parentesi alla Phonak ha sempre diviso la propria carriera tra Belgio e Olanda, agendo per lo più come gregario. E' un passista in grado di difendersi più che dignitosamente anche in salita (lo dimostra la Vuelta 2005, conclusa al 13° posto) e capace anche di belle prestazioni a cronometro (6° un anno fa al mondiale contro il tempo di Mendrisio). Non molte le sue vittorie tra cui i spiccano certamente i due titoli olandesi in linea nel 2007 e nel 2009. La sua esperienza è molto utile sia per Menchov che per Gesink ma se ne avrà possibilità ci proverà con una fuga. In cui cercar di far bene ad ogni Koos...to!

Alla soglia dei 37 anni disputa il diciassettesimo grande giro della carriera, la settima Grande Boucle (è sempre arrivato a Parigi nelle precedenti). Tranne una parentesi alla Phonak ha sempre diviso la propria carriera tra Belgio e Olanda, agendo per lo più come gregario. E' un passista in grado di difendersi più che dignitosamente anche in salita (lo dimostra la Vuelta 2005, conclusa al 13° posto) e capace anche di belle prestazioni a cronometro (6° un anno fa al mondiale contro il tempo di Mendrisio). Non molte le sue vittorie tra cui i spiccano certamente i due titoli olandesi in linea nel 2007 e nel 2009. La sua esperienza è molto utile sia per Menchov che per Gesink ma se ne avrà possibilità ci proverà con una fuga. In cui cercar di far bene ad ogni Koos...to!

Alla soglia dei 37 anni disputa il diciassettesimo grande giro della carriera, la settima Grande Boucle (è sempre arrivato a Parigi nelle precedenti). Tranne una parentesi alla Phonak ha sempre diviso la propria carriera tra Belgio e Olanda, agendo per lo più come gregario. E' un passista in grado di difendersi più che dignitosamente anche in salita (lo dimostra la Vuelta 2005, conclusa al 13° posto) e capace anche di belle prestazioni a cronometro (6° un anno fa al mondiale contro il tempo di Mendrisio). Non molte le sue vittorie tra cui i spiccano certamente i due titoli olandesi in linea nel 2007 e nel 2009. La sua esperienza è molto utile sia per Menchov che per Gesink ma se ne avrà possibilità ci proverà con una fuga. In cui cercar di far bene ad ogni Koos...to!

Alla soglia dei 37 anni disputa il diciassettesimo grande giro della carriera, la settima Grande Boucle (è sempre arrivato a Parigi nelle precedenti). Tranne una parentesi alla Phonak ha sempre diviso la propria carriera tra Belgio e Olanda, agendo per lo più come gregario. E' un passista in grado di difendersi più che dignitosamente anche in salita (lo dimostra la Vuelta 2005, conclusa al 13° posto) e capace anche di belle prestazioni a cronometro (6° un anno fa al mondiale contro il tempo di Mendrisio). Non molte le sue vittorie tra cui i spiccano certamente i due titoli olandesi in linea nel 2007 e nel 2009. La sua esperienza è molto utile sia per Menchov che per Gesink ma se ne avrà possibilità ci proverà con una fuga. In cui cercar di far bene ad ogni Koos...to!

Alla soglia dei 37 anni disputa il diciassettesimo grande giro della carriera, la settima Grande Boucle (è sempre arrivato a Parigi nelle precedenti). Tranne una parentesi alla Phonak ha sempre diviso la propria carriera tra Belgio e Olanda, agendo per lo più come gregario. E' un passista in grado di difendersi più che dignitosamente anche in salita (lo dimostra la Vuelta 2005, conclusa al 13° posto) e capace anche di belle prestazioni a cronometro (6° un anno fa al mondiale contro il tempo di Mendrisio). Non molte le sue vittorie tra cui i spiccano certamente i due titoli olandesi in linea nel 2007 e nel 2009. La sua esperienza è molto utile sia per Menchov che per Gesink ma se ne avrà possibilità ci proverà con una fuga. In cui cercar di far bene ad ogni Koos...to!

TourTweet

albertocontador (ieri): Ecco un video su quello che è accaduto oggi al TDF http://tinyurl.com/2ubpm7y

andy_schleck (ieri): Mr. O'Grady ha appena commentato: "Gesù beveva vino e riusciva a camminare sull'acqua", quindi non dovrebbe far poi male...

mcewenrobbie (ieri): La maggior parte del gruppo voleva essere in fuga oggi, un attacco-party! Io ho resistito un giorno di più e domani si deciderà se sarò in grado di arrivare a Parigi.

dzabriskie (ieri): Qualche idea sul nome da dare a mio figlio? Spero che aspetti a nascere che io sia tornato a casa...

Roman86_K (ieri): Oggi un po' meglio dell'altro giorno, ma niente di speciale...;( I primi 90 km incredibilmente veloci! Ora in hotel!

Les Choses de la Vie (Claude Sautet, 1970)

La locandina di Les Choses de la Vie - Foto www.cinemotions.com

Le cose della vita sono un po' così. A volte aspetti e aspetti e aspetti per realizzare un progetto, per prendere una decisione, per fare finalmente una cosa che andava fatta già da tanto tempo; e quando dopo mille indugi ti metti in azione, arriva l'imprevisto che fa saltare tutto all'aria. Il colpo di scena che riavvolge il nastro, l'intoppo che non ci voleva, e che lascia lo spettatore con in bocca l'amaro di un lieto fine atteso, sospirato e brutalmente negato. Le cose della vita sono indirizzate da particolari infinitamente trascurabili, come una catena che non ingrana bene, per esempio; e non è detto che sia cosa da tutti saper giocare col destino e fare partita patta (di vincere non se ne parla proprio). Claude Sautet, il regista degli amici, delle mogli e (affettuosamente) delle "altre", incappa in un romanzo (di Paul Guimard) che lo affascina, e ne trae un film di maestoso disperato romanticismo. Le "altre" qui sono incarnate dal volto migliore di tanto del miglior cinema d'oltralpe, Romy Schneider, affascinante come nessuna. Anzi sì, come una, che continua a ronzare nella testa e nei pensieri ormai quasi perduti di un Michel Piccoli allo sbando: quest'una è la moglie (interpretata da Lea Massari), abbandonata a suo tempo ma mai del tutto, e verso la quale c'è una forza centrifuga che spinge il protagonista. Il quale alla fine la sua scelta la farà, dopo tanto tormento: tornare dalla moglie, lasciare l'amante. Scriverle una lettera d'addio, e poi - eccolo il destino infame - schiantarsi tra le lamiere di una splendida Giulietta Sprint del '59. Ci penserà la moglie a non far mai avere a Romy-Hélène la lettera che le avrebbe straziato ancor più il cuore. Una vittoria non consumata, l'onore delle armi all'avversaria inconsapevole: anche in una struggente storia d'amore ci può essere spazio per il fair play. L'importante è non invocarlo, se è il caso vien da sé; nei film di Sautet è sempre il caso. Ma del resto, sono - questi film - alcuni dei luoghi più civili e vivibili della storia contemporanea.

Marco Grassi

Les Choses de la Vie (Claude Sautet, 1970)

La locandina di Les Choses de la Vie - Foto www.cinemotions.com

Le cose della vita sono un po' così. A volte aspetti e aspetti e aspetti per realizzare un progetto, per prendere una decisione, per fare finalmente una cosa che andava fatta già da tanto tempo; e quando dopo mille indugi ti metti in azione, arriva l'imprevisto che fa saltare tutto all'aria. Il colpo di scena che riavvolge il nastro, l'intoppo che non ci voleva, e che lascia lo spettatore con in bocca l'amaro di un lieto fine atteso, sospirato e brutalmente negato. Le cose della vita sono indirizzate da particolari infinitamente trascurabili, come una catena che non ingrana bene, per esempio; e non è detto che sia cosa da tutti saper giocare col destino e fare partita patta (di vincere non se ne parla proprio). Claude Sautet, il regista degli amici, delle mogli e (affettuosamente) delle "altre", incappa in un romanzo (di Paul Guimard) che lo affascina, e ne trae un film di maestoso disperato romanticismo. Le "altre" qui sono incarnate dal volto migliore di tanto del miglior cinema d'oltralpe, Romy Schneider, affascinante come nessuna. Anzi sì, come una, che continua a ronzare nella testa e nei pensieri ormai quasi perduti di un Michel Piccoli allo sbando: quest'una è la moglie (interpretata da Lea Massari), abbandonata a suo tempo ma mai del tutto, e verso la quale c'è una forza centrifuga che spinge il protagonista. Il quale alla fine la sua scelta la farà, dopo tanto tormento: tornare dalla moglie, lasciare l'amante. Scriverle una lettera d'addio, e poi - eccolo il destino infame - schiantarsi tra le lamiere di una splendida Giulietta Sprint del '59. Ci penserà la moglie a non far mai avere a Romy-Hélène la lettera che le avrebbe straziato ancor più il cuore. Una vittoria non consumata, l'onore delle armi all'avversaria inconsapevole: anche in una struggente storia d'amore ci può essere spazio per il fair play. L'importante è non invocarlo, se è il caso vien da sé; nei film di Sautet è sempre il caso. Ma del resto, sono - questi film - alcuni dei luoghi più civili e vivibili della storia contemporanea.

Marco Grassi

Rassegna stampa

Rassegna TourNotes 2010 – 16a tappa
Rassegna TourNotes 2010 – 16a tappa
Rassegna TourNotes 2010 – 16a tappa
Rassegna TourNotes 2010 – 16a tappa
Rassegna TourNotes 2010 – 16a tappa

Les Choses de la Vie (Claude Sautet, 1970)

La locandina di Les Choses de la Vie - Foto www.cinemotions.com

Le cose della vita sono un po' così. A volte aspetti e aspetti e aspetti per realizzare un progetto, per prendere una decisione, per fare finalmente una cosa che andava fatta già da tanto tempo; e quando dopo mille indugi ti metti in azione, arriva l'imprevisto che fa saltare tutto all'aria. Il colpo di scena che riavvolge il nastro, l'intoppo che non ci voleva, e che lascia lo spettatore con in bocca l'amaro di un lieto fine atteso, sospirato e brutalmente negato. Le cose della vita sono indirizzate da particolari infinitamente trascurabili, come una catena che non ingrana bene, per esempio; e non è detto che sia cosa da tutti saper giocare col destino e fare partita patta (di vincere non se ne parla proprio). Claude Sautet, il regista degli amici, delle mogli e (affettuosamente) delle "altre", incappa in un romanzo (di Paul Guimard) che lo affascina, e ne trae un film di maestoso disperato romanticismo. Le "altre" qui sono incarnate dal volto migliore di tanto del miglior cinema d'oltralpe, Romy Schneider, affascinante come nessuna. Anzi sì, come una, che continua a ronzare nella testa e nei pensieri ormai quasi perduti di un Michel Piccoli allo sbando: quest'una è la moglie (interpretata da Lea Massari), abbandonata a suo tempo ma mai del tutto, e verso la quale c'è una forza centrifuga che spinge il protagonista. Il quale alla fine la sua scelta la farà, dopo tanto tormento: tornare dalla moglie, lasciare l'amante. Scriverle una lettera d'addio, e poi - eccolo il destino infame - schiantarsi tra le lamiere di una splendida Giulietta Sprint del '59. Ci penserà la moglie a non far mai avere a Romy-Hélène la lettera che le avrebbe straziato ancor più il cuore. Una vittoria non consumata, l'onore delle armi all'avversaria inconsapevole: anche in una struggente storia d'amore ci può essere spazio per il fair play. L'importante è non invocarlo, se è il caso vien da sé; nei film di Sautet è sempre il caso. Ma del resto, sono - questi film - alcuni dei luoghi più civili e vivibili della storia contemporanea.

Marco Grassi

Les Choses de la Vie (Claude Sautet, 1970)

La locandina di Les Choses de la Vie - Foto www.cinemotions.com

Le cose della vita sono un po' così. A volte aspetti e aspetti e aspetti per realizzare un progetto, per prendere una decisione, per fare finalmente una cosa che andava fatta già da tanto tempo; e quando dopo mille indugi ti metti in azione, arriva l'imprevisto che fa saltare tutto all'aria. Il colpo di scena che riavvolge il nastro, l'intoppo che non ci voleva, e che lascia lo spettatore con in bocca l'amaro di un lieto fine atteso, sospirato e brutalmente negato. Le cose della vita sono indirizzate da particolari infinitamente trascurabili, come una catena che non ingrana bene, per esempio; e non è detto che sia cosa da tutti saper giocare col destino e fare partita patta (di vincere non se ne parla proprio). Claude Sautet, il regista degli amici, delle mogli e (affettuosamente) delle "altre", incappa in un romanzo (di Paul Guimard) che lo affascina, e ne trae un film di maestoso disperato romanticismo. Le "altre" qui sono incarnate dal volto migliore di tanto del miglior cinema d'oltralpe, Romy Schneider, affascinante come nessuna. Anzi sì, come una, che continua a ronzare nella testa e nei pensieri ormai quasi perduti di un Michel Piccoli allo sbando: quest'una è la moglie (interpretata da Lea Massari), abbandonata a suo tempo ma mai del tutto, e verso la quale c'è una forza centrifuga che spinge il protagonista. Il quale alla fine la sua scelta la farà, dopo tanto tormento: tornare dalla moglie, lasciare l'amante. Scriverle una lettera d'addio, e poi - eccolo il destino infame - schiantarsi tra le lamiere di una splendida Giulietta Sprint del '59. Ci penserà la moglie a non far mai avere a Romy-Hélène la lettera che le avrebbe straziato ancor più il cuore. Una vittoria non consumata, l'onore delle armi all'avversaria inconsapevole: anche in una struggente storia d'amore ci può essere spazio per il fair play. L'importante è non invocarlo, se è il caso vien da sé; nei film di Sautet è sempre il caso. Ma del resto, sono - questi film - alcuni dei luoghi più civili e vivibili della storia contemporanea.

Marco Grassi

Les Choses de la Vie (Claude Sautet, 1970)

La locandina di Les Choses de la Vie - Foto www.cinemotions.com

Le cose della vita sono un po' così. A volte aspetti e aspetti e aspetti per realizzare un progetto, per prendere una decisione, per fare finalmente una cosa che andava fatta già da tanto tempo; e quando dopo mille indugi ti metti in azione, arriva l'imprevisto che fa saltare tutto all'aria. Il colpo di scena che riavvolge il nastro, l'intoppo che non ci voleva, e che lascia lo spettatore con in bocca l'amaro di un lieto fine atteso, sospirato e brutalmente negato. Le cose della vita sono indirizzate da particolari infinitamente trascurabili, come una catena che non ingrana bene, per esempio; e non è detto che sia cosa da tutti saper giocare col destino e fare partita patta (di vincere non se ne parla proprio). Claude Sautet, il regista degli amici, delle mogli e (affettuosamente) delle "altre", incappa in un romanzo (di Paul Guimard) che lo affascina, e ne trae un film di maestoso disperato romanticismo. Le "altre" qui sono incarnate dal volto migliore di tanto del miglior cinema d'oltralpe, Romy Schneider, affascinante come nessuna. Anzi sì, come una, che continua a ronzare nella testa e nei pensieri ormai quasi perduti di un Michel Piccoli allo sbando: quest'una è la moglie (interpretata da Lea Massari), abbandonata a suo tempo ma mai del tutto, e verso la quale c'è una forza centrifuga che spinge il protagonista. Il quale alla fine la sua scelta la farà, dopo tanto tormento: tornare dalla moglie, lasciare l'amante. Scriverle una lettera d'addio, e poi - eccolo il destino infame - schiantarsi tra le lamiere di una splendida Giulietta Sprint del '59. Ci penserà la moglie a non far mai avere a Romy-Hélène la lettera che le avrebbe straziato ancor più il cuore. Una vittoria non consumata, l'onore delle armi all'avversaria inconsapevole: anche in una struggente storia d'amore ci può essere spazio per il fair play. L'importante è non invocarlo, se è il caso vien da sé; nei film di Sautet è sempre il caso. Ma del resto, sono - questi film - alcuni dei luoghi più civili e vivibili della storia contemporanea.

Marco Grassi

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