Ciclismo & Tv: Cara Rai, ci dai meno parole e più immagini? - Analisi sullo stato dell'arte per quel che riguarda la tv di Stato. Tra fattori positivi e pecche fastidiose
Versione stampabileCara mamma Rai. Carissima, amatissima mamma Rai. Ora che pagheremo il canone tramite bolletta elettrica, e quindi ciò vuol dire che lo pagheremo più o meno tutti, avverrà inevitabilmente un fatto: le proteste e le contestazioni all'operato di Saxa Rubra si moltiplicheranno a dismisura. Il che, considerando che già in partenza quella di dare addosso all'azienda televisiva di Stato è una delle tradizioni popolari più sentite in Italia, significa che dobbiamo prepararci al diluvio. O meglio, devono prepararvisi: i vertici di Viale Mazzini (e annessi sotto-vertici).
Il punto è che disservizi e problemi non mancano, sul fronte. Non si può non vedere che a volte c'è da parte del pubblico una sorta di accanimento, di ricerca dell'inezia pur di sollevare polveroni (e tale tendenza è esaltata ed esasperata in epoca di social network); però onestà impone di sottolineare che le ragioni per lamentarsi non mancano, come vedremo analizzando quel che qui concerne, ovvero il microcosmo ciclismo.
Quel che va: copertura quasi totale
Partiamo da quello che va, che funziona, che migliora. Un po' per far capire agli addetti ai lavori che ci leggeranno che non c'è da parte nostra alcun intento distruttivo; un po' per dare a tutti gli altri un quadro della situazione il più possibile onesto e completo.
Come prima cosa bisogna ricordare che nel mondo poche reti nazionali offrono il ciclismo che offre la Rai. Così tante gare, molte delle quali in diretta, la stragrande maggioranza dei telespettatori di canali in chiaro all'estero se le sognano. Se addirittura in Francia (non: in Corea del Sud) il Mondiale è andato quest'anno su un canale a pagamento, appare chiaro che il trattamento che ricevono gli appassionati di ciclismo in Italia è quantomai lusinghiero.
Delle gare importanti, manca dolorosamente all'appello dei palinsesti Rai la sola Vuelta a España, il che poteva essere sopportabile quando la corsa iberica era territorio riservato di Santi&TantiPérez, ma ora che vanno a giocarsela (e vincerla) i Nibali e gli Aru, l'assenza risalta molto di più. Ma per il resto, chi potrà dire - restando più o meno serio - che la Rai va condannata perché non trasmette il Trofeo dello Scalatore Colombiano o la Corsa Artica Polare?
Quel che va: tanta tanta quantità
In termini di quantità di ore di diretta dedicate al ciclismo, siamo praticamente all'optimum: non appena ce n'è la possibilità, pur barcamenandosi tra i suoi vari canali, la Rai garantisce tanto, tantissimo spazio al nostro amato sport. Il Giro d'Italia praticamente monopolizza i palinsesti sportivi con le sue varie trasmissioni e le telecronache fiume delle tappe più importanti. Il Tour de France non è poi così distante, e lo stesso dicasi per i Mondiali e per alcune classiche: 100 km di diretta per la Sanremo, per dire, rischiano di essere pure troppi.
Se le più importanti corse internazionali (con l'eccezione - ribadiamo - della Vuelta e di poche altre gare, dalla Gand ai giri svizzeri) sono regolarmente trasmesse dalla Rai, non ci si può neanche lamentare per quel che riguarda il fronte italiano: tutte le corse nazionali, poche in diretta e molte in differita, vanno a finire sui palinsesti della tv di Stato.
Inoltre, vi è un ottimo magazine settimanale (RadioCorsa) che funge da riepilogo di tutto quanto accaduto nel corso dei giorni precedenti, e che ha ormai fidelizzato una buona platea di appassionati i quali non mancano neanche un giovedì davanti agli schermi di RaiSport. Questo programma offre anche buoni spazi al ciclismo femminile e a quello giovanile, oltre a discipline laterali come quelle di pista e fuoristrada (le quali comunque godono di qualche sintesi o in alcuni casi di dirette).
Quel che non va: troppe, troppe chiacchiere
Ci colleghiamo al discorso precedente per affrontare un tema che ci sta particolarmente a cuore, e lo facciamo con una metafora: che cosa te ne fai di un salone di 200 metri quadri, se poi lo riempi di polverose palline di polistirolo da imballaggio? Chi vi si troverebbe a proprio agio?
In altri termini: il contenitore risulta addirittura fastidioso, se i contenuti non sono all'altezza. Quel che intendiamo è: perché annegare la cronaca di una corsa in chilometriche chiacchierate da studi e studioli vari? Se ci dite che alle 14 comincia la diretta della tappa del Giro, ci aspettiamo di vedere alle 14 la diretta della tappa, non il servizio sulla Grande Guerra, la riflessione di Garzelli, la giacca di Conti, la wikipediata della geologa (ma 'sta geologa... che abbiamo fatto di male per meritarcela?), l'imbucata di Marzotto, le interviste alla partenza, le considerazioni della De Stefano, la linea allo studio di Milano, la pubblicità.
Se questo andazzo in apertura di collegamento è difficilmente digeribile ma in qualche modo aggirabile (basta accendere la tv mezz'ora dopo l'orario programmato), risulta totalmente inaccettabile a gara in corso. Quando la tappa (o la classica) parte, non è più sopportabile che il flusso narrativo venga interrotto in alcun modo (se non per le inevitabili pause pubblicitarie). Staccare dalla telecronaca diretta per collegarsi con lo studio (senza neanche lasciare fisso un riquadrino con le immagini della gara!) significa non avere una gran contezza della drammaturgia necessaria al racconto, e del fondamentale diritto alla comprensione del medesimo da parte del telespettatore: in alcune classiche (la Roubaix, il Fiandre, corsette così) se ti perdi un tratto in pavé o un muro rischi di non cogliere dettagli decisivi.
Rompere ogni tot minuti il pathos che è frutto di una laboriosa costruzione sinergica tra evento e telecronaca non ha alcun senso. Non lo fa nessun altro nel mondo: oggi con gli streaming è possibile seguire telecronache in tutte le lingue, da tutti i paesi. Non c'è nessuno sul globo che faccia simili castronerie. Da noi è la regola: anche in occasione del cambio di canale (da RaiSport a Rai3) che spesso imperla le dirette, si produce un vuoto di 5-10': perché di mezzo ci vanno gli highlights di quanto successo fin lì (e intanto per far vedere momenti quasi sempre inutili, si perdono dei passaggi importanti), il riepilogo, il commento da studio, il commento da studiolo, e tutta la tiritera.
La cosa che fa più rabbia in tutto ciò è che basterebbe veramente poco - ovvero: un minimo di accortezza - per evitare tali fastidi al telespettatore. Il fatto che questi stacchi non solo non vengano limitati o annullati, ma che si impongano proprio come una condotta di Saxa Rubra, sarà pure coerente con la linea editoriale di RaiSport (ovvero: sempre più chiacchiere, sempre meno eventi live), ma fa girare vorticosamente le scatole all'appassionato che ne è vittima.
Quel che non va: un format che ormai mostra la corda
A monte del discorso appena fatto, c'è il tema - più ampio - di un format di trasmissione che è rimasto invariato da diversi anni e che probabilmente necessiterebbe di qualche aggiornamento. Anche le formule più rodate e di successo, alla lunga finiscono per mostrare la corda, per ripetere se stesse. Negli ultimi anni la Rai ha spinto in particolare sull'alta definizione, lasciando in secondo piano l'ipotesi di proporre un modo diverso, più "smart" di raccontare l'evento ciclistico.
Se qualcosa si muove a livello tecnologico (il canale dedicato allo sport HD), mancano idee fresche sul piano della narrazione. Le sinergie con altri canali del bouquet Rai (pensiamo alle buone cose fatte di concerto con RaiStoria) restano al margine di quello che è la telecronaca sportiva e il suo più stretto contorno. Pre-tappa, tappa, post-tappa: il perimetro in cui muoversi non presuppone voli pindarici esagerati, ciò va riconosciuto; d'altro canto, la televisione è anche creatività (o dovrebbe esserlo), e ci piacerebbe vedere il direttore di RaiSport Carlo Paris e il suo sottoposto Alessandro Fabretti spingere un po' più sull'acceleratore in tal senso.
Quel che non va: i dettagli che fanno imbestialire l'utenza
Accanto a questi temi abbastanza complessi, e senza considerare quelli che vanno a lambire ambiti in cui lo spazio di manovra è poco (per dire: se i diritti di alcune corse sono fuori mercato, è inutile ululare alla luna), ci sono delle questioncelle che, almeno a giudicare dall'esterno, potrebbero essere affrontate e risolte senza eccessivi sforzi e dispendi, ma il fatto che vengano annosamente trascurate fa veramente saltare la mosca al naso dell'utente medio.
Non parliamo di elementi incidentali, come può essere la sovrapposizione di un pezzo di Mondiale con le finali del biliardo (capita di rado, ce ne siamo fatti una ragione quel giorno stesso), o la sviolinata in re maggiore che il buon Fabretti ha fatto al premier Renzi leggendo con tono trasognato un sms di quest'ultimo in occasione della fine del Tour.
Parliamo invece di comunicazione, ad esempio: è mai possibile che venga annunciata l'acquisizione dei diritti di trasmissione della Vuelta, e poi tale notizia si riveli infondata o comunque incompleta (infatti la Vuelta va ancora in esclusiva su Eurosport)? E va bene, diranno, quello fu un incidente di percorso.
Ma cosa ha di episodico la continua violenza che si fa agli orari dei palinsesti? Come si spiega che a Saxa Rubra non siano fisicamente capaci di rispettare gli orari di messa in onda annunciati? Ci riferiamo alle differite e alle sintesi, programmate come capita, lanciate con mezz'ore d'anticipo o di ritardo, rendendo la vita impossibile a chi magari voleva registrare la trasmissione. La grande incertezza che regna su questo fronte snerva e frustra i fruitori di RaiSport, tantopiù quanto più costoro si rendono conto che essere conseguenti con gli orari annunciati, e comunicare in maniera corretta (e con un minimo anticipo) la composizione dei palinsesti non rappresentino imprese titaniche.
Di che morte deve morire il ciclismo in Rai?
In definitiva: cosa ci possiamo aspettare dal futuro del ciclismo in Rai? Mentre si affacciano nuovi possibili competitor (Bike Channel esiste già, anche se è un canale a pagamento e sinora non ha pestato quasi per nulla i piedi alla tv di Stato; GazzettaTV continuerà a occuparsi praticamente solo di calcio o aprirà spiragli al ciclismo, dato che giocherebbe in casa con RCS Sport?), Viale Mazzini pare perdere qualche colpo.
È opinione universale, tra gli appassionati, che il biennio firmato da Auro Bulbarelli nella stanza dei bottoni, coinciso con la consacrazione di RaiSport2 come "casa del ciclismo", sia forse irripetibile, alle attuali condizioni. Però qualcosa si può ancora fare: esistono nicchie ancora trascurate (il cross internazionale, già prodotto in diretta dalle tv belghe, non meriterebbe una chance?), e in ogni caso il ciclismo è uno dei pochi punti caratterizzanti la programmazione live di RaiSport, visto che i diritti di altre discipline sono troppo costosi, o sono già appaltati altrove.
Il ciclismo su strada, peraltro, offre buoni ritorni in termini di ascolti e di visibilità pubblicitaria in orari (e in giorni) solitamente abbastanza scarni da questo punto di vista. Insomma il rapporto costi-benefici indurrebbe a investire qualcosa in più su questa disciplina; invece pare che siamo arrivati all'apice (qualche tempo fa) e ora siamo nel corso di una lenta ma inesorabile discesa.
La speranza dei tifosi del ciclismo è che si torni a salire, e che resti un'ipotesi remota e teorica quella che vedrebbe questo sport seguire il destino di altri ed emigrare su canali a pagamento. Anche se in questo caso c'è quella cosetta chiamata web che potrebbe giungere - prima o poi, tecnologia progredendo - a mettere tutti d'accordo.