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Mondiali Ciclocross 2015: Van der Poel, lacrime iridate - Il ventenne olandese sbanca. Sfortuna Van Aert, Fontana decimo

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L'arrivo solitario di Mathieu Van der Poel al Mondiale di Ciclocross © Cyklokros.cz

Quando all'inizio della stagione del ciclocross si permise, all'età di 19 anni e qualche mese, di mettere tutti in fila nella prima tappa del Superprestige, in molti strabuzzarono gli occhi, qualcuno minimizzò pensando che all'inizio di ottobre i big non erano ancora in forma e si erano quindi fatti sorprendere, ma probabilmente nessuno immaginò che a distanza di 4 mesi quel ragazzino l'avremmo ritrovato in maglia iridata, Campione del Mondo al termine di una gara fantastica.

Mathieu Van der Poel nel frattempo ha varcato la fatidica soglia dei 20 anni, ma resta sempre il pulcino in mezzo a tanti galli, e il bello è che a Tabor li ha sistemati tutti, uno per uno, facendo corsa di testa sin dall'inizio della prova iridata, e rimanendo in splendida e totale solitudine già al terzo degli 8 giri del circuito ceco.

Un campioncino che oggi emerge nei pensieri dei più patiti ciclofili, quelli per cui questo sport non si esaurisce con la strada, ma spazia nelle discipline cosiddette minori (e il cross è una di queste); ma che tra non molto ritroveremo sulle prime pagine del ciclismo di vertice, perché è fuor di dubbio che l'olandesino figlio e nipote d'arte ha la caratura per imporsi anche su altri terreni (ai quali è peraltro sin da ora destinato, visto che già si sa che non resterà confinato al cross). E allora sì che tutti sapranno chi è Mathieu Van der Poel.

 

Van Aert, lo splendido sconfitto
Il contraltare della commossa felicità di Van der Poel è la rabbiosa stizza di Wour Van Aert. Perché non si racconterebbe una storia completa se, ai giusti elogi per la prova di Mathieu, non venisse affiancata la cronaca della sfortuna e dei meriti del coetaneo e dirimpettaio (nel senso di "belga") Wout.

Nessuno ci toglie dalla testa che, senza il doppio salto di catena che ne ha fortemente condizionato la prima parte di gara, Van Aert avrebbe potuto addirittura vincerlo, questo Mondiale; o comunque ci sarebbe stato un testa a testa esaltante, e certo più appassionante (per il pubblico neutrale) della cavalcata solitaria di Van der Poel.

Lo sappiamo noi e lo sa bene - ovviamente - anche lo stesso Wout, che infatti ha tagliato il traguardo (in seconda posizione) letteralmente saltellando di rabbia con la sua bici, ben conscio dell'occasione sfumata. Forse pure troppo arrabbiato, di fronte a un bell'argento e soprattutto alla consapevolezza di avere 20 anni e quindi un tre lustri di tempo davanti a sé per conquistare Mondiali in serie. Ma si sa, i giovani, per definizione, hanno fretta.

 

Van der Poel scatenato sin dal via
Non ha perso tempo, Mathieu. Sin dallo start ha imposto il suo ritmo alla corsa, ha immediatamente lavorato per mettere il gruppo in fila indiana. E sin da subito si è capito che l'unico che avrebbe potuto reggere un simile gioco al rialzo era Van Aert; il quale però al termine del primo giro ha avuto a che fare con un salto di catena che gli ha fatto perdere qualche secondo. Van der Poel ha allora tentato il primo serio allungo (sulla prima metà del circuito, l'olandese letteralmente volava), ma un piccolo inciampo sugli ostacoli ha permesso che lo stesso Van Aert e Kevin Pauwels lo raggiungessero, imitati poco dopo anche da Lars Van der Haar, Tom Meeusen e Klaas Vantornout.

Addirittura un sestetto al comando al termine del secondo giro: troppa gente per i gusti di Mathieu, che infatti ha subito rilanciato, riguadagnando margine. E, in fotocopia rispetto alla tornata precedente, di nuovo a Van Aert è saltata la catena (e stavolta pure i nervi). Rallentato moltissimo da questo problema, il belga ha perso secondi preziosi (fino a un ammontare di un minuto!) prima di raggiungere finalmente la postazione box e cambiare la bici.

Intanto alle spalle di Van der Poel si è formata una coppia con Pauwels e Van der Haar; quest'ultimo, avendo il compagno "in fuga", non ha praticamente mai collaborato con l'avversario, aspettando semmai il momento buono per piantarlo in asso. Momento che è arrivato puntuale al quinto giro, quando Lars effettivamente si è disfatto della compagnia di Pauwels mettendosi tutto solo sulle tracce del solitario Mathieu. In quei minuti Van Aert, superati anche i postumi di una caduta al quarto giro (guai in serie per lui, insomma!), provava a riordinare le idee per vedere di impostare una seconda metà di gara migliore della prima.

 

Il tentativo di Van der Haar, la rimonta di Van Aert
Il quinto e il sesto giro hanno visto Van der Haar dare tutto per provare a chiudere il gap da Van der Poel: se Lars fosse riuscito a rientrare sul connazionale, avrebbe potuto organizzarsi per tentare di arrivare allo sprint con Mathieu. Ma il ventenne si è gestito ottimamente a livello fisico (pur non disdegnando di prendere qualche rischio di troppo e di abbozzare qualche mezza scivolata) ed è riuscito a respingere il tentativo di Van der Haar, arrivato a 10" dal compagno ma incapace di ridurre ulteriormente il suo distacco.

Van Aert, invece, non ha avuto problemi a chiudere in netto crescendo la corsa: senza mai mollare la presa, il belga ha rosicchiato una decina di secondi al giro a Van der Poel, e la sua entusiasmante rimonta l'ha portato a superare prima Meeusen e Vantornout (al quinto giro), poi Pauwels (tra il sesto e il settimo), quindi all'ottavo e ultimo giro anche Van der Haar è stato messo nel mirino e inesorabilmente raggiunto a poche centinaia di metri dalla fine. Ma ormai era tardi perché Wout sperasse di staccare Lars e di completare la rimonta su Mathieu, che intanto si avviava a vincere senza più problemi.

 

Le lacrime di Mathieu e un cerchio che si chiude
Ha tagliato il traguardo piangendo di gioia e commozione, Van der Poel. 15" più tardi, Van Aert vinceva nettamente la volata per l'argento, e smadonnava, davanti a un Van der Haar comunque soddisfatto per il bronzo. A oltre un minuto dal vincitore, Pauwels non andava oltre il quarto posto, Vantornout si accontentava del quinto, e Meeusen si prendeva il sesto. Un altro minuto ancora, ed ecco Gianni Vermeersch passare in settima posizione. Tanto Belgio (come sempre) nell'ordine d'arrivo, ben 5 fiamminghi tra i primi sette, ma la medaglia più importante ha preso la via dell'Olanda, evento che non accadeva dal 2008 (quando a imporsi fu Lars Boom). Per ritrovare due olandesi sul podio bisogna invece risalire addirittura al 1990, quando Henk Baars vinse davanti a Adrie Van der Poel (il papà di Mathieu, proprio lui: e il cerchio si chiude!).

Degna di menzione, giacché si parla di Belgio, anche la prestazione totalmente anonima di Sven Nys, che ancora un anno fa poteva dirsi il dominus incontrastato del ciclocross, e oggi invece sembra stanco, calante, e tantopiù invecchiato se lo si mette accanto a questi ventenni che di forza si sono presi la disciplina in questi ultimi mesi, in maniera rapidissima. Il 17esimo posto di Sven a Tabor fa veramente impressione.

In top ten invece sono riusciti a infilarsi due tedeschi (Marcel Meisen, ottavo, anche meglio del più atteso Philipp Walsleben, nono) e un italiano, nientemeno: Marco Aurelio Fontana.

 

La gara degli azzurri
La prova iridata della nazionale italiana era iniziata esattamente come ce la si attendeva: con una partenza lenta del capitano Fontana. Un po' meglio in avvio Bryan Falaschi, ma a far sensazione, dopo un terzo giro strepitoso, era la crescita impetuosa di Luca Braidot, passato in quel frangente in 13esima posizione (per parametrare, Fontana in quel momento era 18esimo).

Falaschi non ha avuto gran fortuna e si è ritirato strada facendo, Braidot invece è stato in grado di tenere ottimamente, rimanendo per tutta la gara a ridosso della top ten: risultato eccellente per lui, che era all'esordio nel Mondiale. Fontana, da parte sua, ha compiuto la rimonta che ci si attendeva, recuperando spazio giro dopo giro e risalendo pian piano la china fino ad arrivare a giocarsi il decimo posto con lo svizzero Julien Taramarcaz: e per Marco Aurelio è stato naturale scaricare tutta la sua grinta in quello sprint lungo che gli è valso appunto un posto in top ten, risultato in linea con le aspettative e che non è in assoluto disprezzabile, considerando che fino a qualche settimana fa il campione nazionale di specialità non aveva neanche in programma questa trasferta iridata.

Una moderata soddisfazione che si completa con il 12esimo posto di Braidot. Nulla che possa compensare la grande delusione patita ieri con Eva Lechner, caduta alla prima curva di una prova in cui partiva come una delle favorite; paradossalmente, tra l'altro, l'unica prova in cui non raccogliamo - come nazionale - un posto nei 10 è quella da cui ci attendevamo di più (e in cui la migliore delle nostre è stata Alice Arzuffi, 14esima).

Comunque, con Sala e Dorigoni sesto e settimo tra gli Juniores, Gioele Bertolini decimo negli Under 23 e il discreto risultato della prova élite, l'Italia scopre di non essere l'estrema periferia del ciclocross maschile, ma di poter ancora pensare di avere un suo spazio tra le grandi nazioni di questa disciplina. Come dire che non torniamo da Tabor tra le fanfare, ma qualche abbozzo di sorriso tra gli azzurri può addirittura essere scorto.

Marco Grassi

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