Riforma World Tour: Molto scetticismo tra le tante novità - Ci sono buone idee ed altri punti che non convincono
Versione stampabileÈ passato poco più di un anno dall'elezione di Brian Cookson e ancora una volta su queste pagine ci troviamo a parlare di uno dei temi più sentiti ad Aigle e dintorni: la riforma della struttura del ciclismo. Non solo quello professionistico maschile ma anche il settore femminile, che nel 2016 vedrà scomparire la Coppa del Mondo per andare incontro ad un Women's World Tour. Lo spunto ci viene dato dalle notizie uscite negli ultimi su quello che dovrebbe essere il nuovo progetto dopo l'accantonamento di quello iniziale, che era stato studiato sotto la vecchia presidenza. Per ora possiamo solo parlare a grandi linee perché i dettagli della nuova riforma non solo non sono ancora stati annunciati, ma neanche studiati: saranno decisivi i mesi da qui alla primavera.
La nuova bozza presenta alcuni punti in comune con quella iniziale ma al tempo stesso la discontinuità rispetto a quello che è il modello attuale sembrerebbe molto meno marcata. Il nuovo World Tour resterebbe molto simile a quello che era stato prospettato con la conferma della riduzione delle squadre da 18 a 16, quella degli organici a 22-25 atleti e anche dei giorni gara a 120 dai più di 150 dell'ultima stagione: un calendario più snello e con sole corse di prestigio è fondamentale per ritrovare appeal, ma la strada scelta non sembra solo quella di un ridimensionamento di corse come Down Under, Catalogna, Eneco o Polonia ma anche di togliere giorni di corsa anche a tutte le altre; uniformare tutte le brevi corse a tappe ad un unico standard di sei giorni convince assai poco.
Tra gli aspetti positivi della riforma c'è senza dubbio anche il fatto di portare ad una diminuzione del numero di corridori in corsa, sia a livello complessivo che per ogni squadra: a quanto pare si andrà ad agire solamente su gare di un giorno e brevi corse a tappe. Forse sarebbe servito più coraggio per andare a toccare anche i Grandi Giri ma almeno è un punto di partenza.
Il grande (enorme?) scetticismo è sulle riforme riguardanti la seconda divisione del ciclismo mondiale, le attuali squadre Professional, che potrebbero passare ad un sistema chiamato Challenge Tour: con tutto il rispetto, la sensazione è che ci sia concentrati più sul nome che sulla forma. La nuova struttura dovrebbe essere composta da 18-22 squadre (sulla carta sono 19 quelle per il 2015) con un altro calendario di 120 giorni di corsa in cui però queste squadre non avrebbero obblighi o diritti di partecipazione, ma dovrebbero comunque passare attraverso degli inviti: sostanzialmente non ci sarebbero certezze eppure è previsto un sistema di promozioni e retrocessioni tra World Tour e Challenge Tour. Ma come si fa a giudicare la squadra (o le squadre) meritevoli di salire se non fanno tutte le stesse corse?
Molto delicato anche il tema della retrocessioni, perché una squadra di prima fascia che disputa tutte le corse più importanti rischierebbe da un anno all'altro di dire addio a Giro, Tour, Vuelta e grandi classiche: una prospettiva di grande incertezza che spaventerebbe i potenziali sponsor ancora più della situazione attuale. In più, aspettare il verdetto di fine stagione vorrebbe dire meno tempo per trovare uno sponsor per l'anno successivo ed il rischio di dover chiudere i battenti in caso di retrocessione sarebbe elevato: un fondo "paracadute" per chi scende da World Tour a Challenge Tour (nel calcio c'è qualcosa di simile tra Serie A e B, per esempio) potrebbe aiutare, ma da solo potrebbe non essere abbastanza.
Per quanto riguarda il livello minore, l'attuale terza fascia del ciclismo internazionale, non ci sarebbe molto da dire perché è evidente che i problemi maggiori riguardino altri settori: usiamo il condizione perché, accanto all'ottima introduzione squadre di sviluppo affiliate ai team World Tour (anche qui ci può essere qualche problema tra promozione e retrocessione, ma niente di insormontabile), è comparsa una delirante proposta di ridurre tutte le corse a tappe di categoria .1 ad un massimo di 5 giorni di corsa e quelle di categoria .2 ad un massimo di 3 giorni; pensando a tutte le belle corse che sparirebbero o comunque uscirebbero dal calendario UCI (un solo esempio, la Vuelta a Colombia) basterebbe solo questo dettaglio per cestinare l'intera riforma, ma vogliamo sperare che sia solo un errore di battitura o una disattenzione e per questo evitiamo di commentare ulteriormente.
Nel meeting tenutosi la settimana scorsa, tra mercoledì e giovedì, a Montreux, in Svizzera, si sono ribaditi come obiettivi essenziali della riforma il bisogno di ridare credibilità al ciclismo e garantire alle parti in causa una stabilità economica che possa portare ad una crescita del movimento: termini sacrosanti ma sappiamo bene che tra le tante parti in causa ci sono interessi molto diversi e non è semplice allestire un progetto di riforma del ciclismo che possa soddisfare tutti, anzi, probabilmente è proprio impossibile.
Al momento il problema è che le riforme economiche e quelle strutturali non possono non andare di pari passo, quindi tutto va pianificato con grande attenzione, senza fretta, ascoltando i pareri di tutti e facendo tutte le dovute valutazione: l'importante però è avere coraggio e le idee ben chiare sulla direzione che dovrà prendere il ciclismo professionistico maschile nei prossimi anni, ossia tutto il contrario di quest'ultimo progetto assai poco convincente.