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Women's World Tour: Donne, è una riforma con alcuni rischi - Dal 2016 gare e team più professionali. Ma chi non ce la fa? | Cicloweb

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Women's World Tour: Donne, è una riforma con alcuni rischi - Dal 2016 gare e team più professionali. Ma chi non ce la fa?

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Durante La Course il gruppo attraversa gli Champs-Élyséese © James StarttNon è più tempo di giochini, largo alla professionalità, costi quel che costi. Se dovessimo fare una sintesi del Women's World Tour - il circuito che dal 2016 scandirà la vita di squadre, organizzatori e ragazze del gruppo rosa - suonerebbe più o meno così. O almeno questo è quanto emerge dal seminario tenuto dall'UCI mercoledì e giovedì scorso a Montreux. Seminario a cui hanno partecipato gli attuali organizzatori della Coppa del Mondo (con anche ASO, Unipublic, RCS). Si sono mossi i primi passi verso un rinnovamento radicale, che sulla carta significherebbe un bel salto in avanti, ma non senza diverse perdite strada facendo. Andiamo con ordine.

Dunque, quella del 2015 sarà l'ultima edizione della Coppa del Mondo femminile. Fino ad oggi la challenge UCI si articolava in diverse prove - nel 2015 saranno 10 - tutte rigorosamente in linea (eccetto la cronosquadre di Vårgårda, in Svezia). Dal 2016 ciò verrà soppiantato dal Women's World Tour: significherà mettere insieme 30-35 giorni di corsa durante tutto l'arco della stagione, includendo tanto le corse di un giorno, quanto le gare a tappe. La struttura - inutile ricordarlo - si baserà su quella del World Tour maschile.

Il 2016 dovrebbe essere un anno di transizione, un limbo, e dal 2017 partirà il vero e proprio Women's World Tour: si creeranno infatti due divisioni di squadre. Nella prima una ventina di team che vi avranno accesso per meriti sportivi, di ranking, ma valutando anche fattori che in questi anni non sempre si sono presi in considerazione nella maniera più appropriata: stabilità finanziaria, uno staff qualificato, regole d'ingaggio certe. Questi i paletti che dal 2018 stabiliranno chi potrà dirsi professionale e chi no, tra le squadre. Coloro che non saranno nella Serie A del femminile, confluiranno inevitabilmente nella categoria inferiore.

Non solo alle squadre verranno richieste garanzie. Anche gli organizzatori, infatti, saranno tenuti a rispettare alcuni parametri, in primo luogo quelli riguardanti la sicurezza delle atlete, le strutture ricettive, la trasmissione dell'evento in diretta ed obbligatoriamente in HD, la comunicazione. Tutti fattori che molti, ma non certo tutti, tengono in considerazione ad oggi.

C'è poi sul tavolo la questione dei diritti tv: nel progetto c'è l'idea di cederli, spartendoli tra UCI ed organizzatori; nella realtà ASO (ma non solo) non viaggia su questa lunghezza d'onda ed ha fatto capire senza troppi giri di parole a Montreux che non ci starà. Nel complesso, una riforma, per com'è nota oggi, votata a far compiere un bel salto in avanti al movimento femminile: squadre finalmente professionali, un calendario di corse che spesso sarà parallelo al World Tour maschile, standard organizzativi più elevati, maggior visibilità.

Riforma che, sebbene fosse nell'aria dalla scorsa primavera, è ancora un cantiere mezzo aperto, visto che l'UCI incontrerà le squadre in un altro seminario tra marzo ed aprile, per sentire, dopo quello degli organizzatori, il parere dei team coinvolti nel cambiamento. Questo, per sommi capi, quanto filtrato dopo il seminario sulle sponde del Lago di Ginevra, dove non si è entrati nei dettagli (vedi, ad esempio, una bozza di calendario da qui ai prossimi tre anni).

Il giudizio che ne possiamo trarre è senz'altro buono: da fenomeno poco più che folcloristico, il ciclismo femminile avrebbe la possibilità di diventare finalmente un movimento davvero professionale. Le squadre che non avranno soddisfatto i requisiti di cui sopra, saranno messe in discussione e magari retrocesse; lo stesso dicasi per gli organizzatori che trascureranno un solo aspetto di quelli precedentemente elencati.

Gli standard organizzativi più elevati non dovranno però trascurare l'aspetto tecnico di una corsa: per fare un esempio, a Montreux erano presenti gli organizzatori di The Women's Tour (il Giro della Gran Bretagna) e Tour of California, ma non quello del Giro Rosa. Adesso, la corsa nostrana non verrà presumibilmente tagliata fuori dal nuovo calendario, ad oggi è l'appuntamento clou della prima parte di stagione ed i percorsi che offre sono tutt'altro che banali. Viceversa, The Women's Tour, nella prima edizione di quest'anno, ha presentato tappe molto semplici (tutte tranne una hanno visto una volata di gruppo), ma possiede il budget di una gara professionistica maschile.

Ecco, le ragazze hanno sicuramente bisogno di una via di mezzo: stabilità finanziaria delle corse che disputano ma percorsi vari, senza dubbio. Tecnicamente, non è possibile arrivare a luglio, al Giro Rosa, con il gruppo che affronta per la prima volta durante l'anno (o, per le più giovani, durante l'intera carriera) una salita lunga ed impegnativa. Il ciclismo femminile deve tornare con costanza sulle salite, senza per questo trascurare né le classiche né le nuove corse a tappe che si affacciano.

Altro punto su cui si possono sollevare dei dubbi: se oggi nella Coppa del Mondo troviamo nove organizzatori diversi ma nel futuro, con la Riforma, gli stessi (più altri, che dovranno entrare per forza di cose) avranno ugualmente motivo per rimanere nel femminile? Togliendo ASO, RCS ed Unipublic, più qualche altra realtà stabile (pensiamo ad esempio alla Cycling Sport Promotion di Mario Minervino, che organizza il Trofeo Binda a Cittiglio, ma possiamo citare gli stessi California o The Women's Tour), cosa faranno gli organizzatori? Saranno costretti a passare da una challenge storica, conosciuta, legata da un filo rosso come la Coppa del Mondo, ad una novità assoluta (per le donne) come il Women's World Tour. Ci staranno proprio tutti? Coloro che non potranno soddisfare i criteri richiesti dall'UCI dovranno retrocedere, ben che vada. Altrimenti spariranno.

Capitolo squadre. Anche qui, da una parte ottime premesse e proposte, dall'altra un futuro non per tutti roseo. Ci saranno 15 o 20 squadre nella Serie A, in base al merito sportivo, in aggiunta alla stabilità finanziaria, ad uno staff qualificato (dal team manager al ds, tutti dovranno dimostrare di avere determinati requisiti), regole d'ingaggio certe (lo stipendio minimo). Dove sta il problema, almeno ad oggi? Che questi criteri li soddisfano, forse, solo 5 delle oltre 30 squadre iscritte all'UCI (in pratica quelle legate a formazioni maschili del World Tour). Significa che sì, i team avranno tutto il tempo, da qui al 2018, per mettersi in regola sotto ogni aspetto. Significa anche che in molti non saranno in grado di farlo, rimarranno come strozzati dal Women's World Tour, e saranno costretti, o prima o dopo, ad alzare bandiera bianca.

Ancora: le 15-20 squadre del Women's World Tour saranno fisse oppure cambieranno di anno in anno? Nel caso, con che metodo (promozioni e retrocessioni, semplicemente meriti sportivi)? Capitolo conseguente è quello della partecipazione: chi potrà correre dove? Ognuna delle 20 squadre del Women's World Tour sarà obbligata a prendere parte ad ogni prova del circuito? Immaginiamo di sì, se vale la regola del World Tour maschile. Ma alle corse del Women's World Tour potranno partecipare solo le 15-20 sorelle o vi saranno degli inviti? Per dire: se una Nazione ha diverse corse prestigiose ma squadre di seconda fascia, potrà completare con degli inviti il campo partenti o rischia di trovarsi al via nessuna squadra del suo Paese?

Sono dunque moltissimi i punti da chiarire, ma da chiarire in fretta, perché il 2016 non è poi così lontano. Certo il Women's World Tour prospetta un salto in avanti dell'intero movimento femminile, nel segno della professionalità. È altrettanto sicuro che non tutti, tra organizzatori e squadre, potranno permettersi di fare questo salto epocale.

Non tutte le disgrazie potrebbero venire per nuocere, però. Prendiamo la piccola squadra che tira avanti la baracca, stagione dopo stagione, e che non riuscirà a far parte del Women's World Tour (a occhio e croce, saranno parecchie): esclusa per motivi di ranking, avrebbe una possibilità, ossia riciclarsi, andando a costruire una formazione equivalente alle development (i vivai, per capirci) che molte squadre del World Tour maschile da tempo hanno. Tirar su le giovani (nel Women's World Tour, tra l'altro, ci saranno due classifiche: generale e miglior giovane), magari in quella benedetta categoria di mezzo, la Under 23 (o come la si vorrà chiamare), ad oggi inesistente e che consentirebbe alla 18enne di diventare non di botto Élite, scontrandosi con il prof. di latino durante la settimana e con Marianne Vos nei weekend.

La 18enne in questione gareggerebbe tra ragazze più o meno coetanee, più o meno nelle sue stesse condizioni, ed eviterebbe magari di smettere dopo pochi mesi. In seguito, se sarà in grado, potrà approdare al professionismo (ossia alla categoria Élite), magari in una squadra del Women's World Tour. È questa però una delle molteplici sfumature che porterà la riforma del ciclismo femminile. Gli effetti li vedremo dal 2016/2017 in poi, le premesse sono sicuramente positive. Costi quel che costi.

Francesco Sulas

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