DéTour 2014: E l'Italia intera si scoprì nibaliana - Tutti parlano di Vincenzo: magic moment!
Versione stampabileQuelli che stiamo vivendo li ricorderemo in futuro come i giorni magici di Nibali. Un periodo inebriante che durerà ancora per un po', di sicuro fino a domenica, ma poi anche dopo, tra cerimonie e manifestazioni varie (a partire dall'invito ricevuto da Renzi e che andrà onorato una volta che Vincenzo sarà tornato dalla Francia).
L'Italia si è riscoperta ciclofila e nibaliana. È la cosiddetta congiunzione astrale della Luna Rossa, non nel senso di eventi astrofisici, ma della tendenza, tutta nostrana, di diventare curiosi, quindi appassionati, quindi esperti di una qualunque disciplina in cui un italiano (o una squadra italiana) si ritrovi all'improvviso a primeggiare nel mondo. Accadde con la vela (Luna Rossa, appunto, barca impegnata fin quasi al successo nella America's Cup), succede puntualmente alle Olimpiadi (sport come la scherma o il tiro a segno/a volo hanno cadenza quadriennale, ci si accorge della loro esistenza in concomitanza coi Giochi).
La cosa bella (o buffa, o tremenda) è che il tifoso/esperto improvvisato diventa subito esigentissimo, pretende e pretende, ma poi appena i risultati non arrivano più cambia aria. Si tratta insomma di appassionati che cavalcano l'onda, ma poi vengono respinti dall'inevitabile bonaccia. Non sono il meglio che chi pratica un determinato sport "minore" possa desiderare, ma servono comunque per fare numeri (a livello di seguito sui media, di adesione a qualche trovata di marketing, oggi anche di Mi piace su Facebook o follower su Twitter).
Il discorso per il ciclismo è un tantino più complesso, perché parliamo di una disciplina fortemente radicata (checché se ne dica) nel paese, ma lasciata spessissimo allo stato dormiente, latente, trasparente. Quando i media generalisti non ne parlano, il ciclismo scompare dall'orizzonte, non si conoscono più manco i nomi dei corridori; ma appena giornali e tg danno risalto alle imprese del Nibali di turno, ecco che qualcosa si risveglia, la passione sopita in molti riprende spazio, torna a manifestarsi. Non solo, in casi del genere, si fa il pieno di tifosi occasionali, ma se ne riconquistano anche di vecchi, temporaneamente disinteressatisi alla materia.
Con le imprese di Nibali al Tour siamo al livello massimo di questa temporanea infatuazione di massa, di questo ritorno di fiamma per il ciclismo: in giro tutti parlano dello Squalo dello Stretto, delle sue vittorie, dell'eccezionalità del fatto che un italiano vinca la Grande Boucle. Poi per forza di cose la marea calerà, ma la speranza (ma diciamo pure: la certezza) è che qualcuno in più rimarrà saldamente legato a questo sport. In fondo succede sempre così quando un campione sportivo raggiunge tali livelli d'eccellenza: è facile che funga da catalizzatore, che attragga tifosi, praticanti, investimenti.
Questo è il momento in assoluto più bello, va vissuto appieno, il ciclismo italiano vivrà in maniera naturale una spinta verso l'alto. Dopodiché toccherà alle istituzioni capire l'occasione e sfruttarla appieno, incanalare le energie positive che sprizzano fuori da questo Tour in una direzione strutturata, che permetta al nostro movimento di riprendere vigore, di risalire costantemente la china... Sì, utopia, ce ne rendiamo conto. E allora godiamoci Nibali, godiamoci la sbornia finché dura, ma - conoscendo bene i dirigenti del nostro ciclismo - mettiamo in conto un grosso mal di testa al risveglio.