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DéTour 2014: Vive Prudhomme, il Directeur piace - Gestione migliore rispetto a quella di Leblanc

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Christian Prudhomme, direttore del Tour de France, indica la tappa del pavé © BettiniphotoSiamo al secondo sabato del Tour de France. Di già al secondo sabato. Lo sottolineiamo non per aprire un simposio proustiano sul tempo che passa e non torna più, quanto per riflettere su come le prime sette tappe della Grande Boucle siano volate via in un lampo. C'è qualcosa di frizzante nello sviluppo di questa corsa, e non è che lo sosteniamo perché abbiamo un italiano in maglia gialla e che ci sta abbastanza entusiasmando (sempre coi piedi piombati, ovviamente), o per il fatto di aver vinto due tappe in sette giorni.

Certo galvanizza di più vedere i propri connazionali protagonisti, piuttosto che doversi accontentare di cercarne vaghe tracce nelle fughe più scalcagnate, ma il punto, fondamentalmente, non è questo. Scriveremmo le stesse cose se in giallo ci fosse un altro corridore, proveniente da remote lande. Il punto è che nel disegno di una grande gara a tappe può mancare tutto meno che una componente: la fantasia.

Il confronto tra i Tour disegnati da Christian Prudhomme e quelli del suo predecessore Jean-Marie Leblanc è impietoso, in favore del nuovo direttore. Il quale è in carica dal 2007 (abbiamo controllato, perché a naso avremmo detto che fosse direttore della Boucle da meno tempo), e se ancora siamo qui a rimuginare sulle "malefatte" di JML significa che ne siamo stati fortemente segnati. Non parliamo qui nemmeno di scelte politiche odiose (tipo il veto posto sulla partecipazione di Pantani dopo il 2000), quelle si commentano da sé; parliamo invece della prosopopea di chi è convinto di essere sempre nel giusto, qualunque cosa faccia, e non viene smosso nemmeno davanti all'evidenza dei fatti.

Quella del Tour de France che iniziava con un'infilata di 8-10 tappe facili inframezzate da cronometro era diventata a un certo punto una realtà talmente monolitica da sconfinare nel luogo comune, un luogo comune che dura a morire ancor oggi (per dire di quanto fosse e sia ancora radicato). Prudhomme ce ne sta mettendo del bello e del buono per cancellare tale stereotipo, e se insiste con alcune delle sue intuizioni alla fine avrà partita vinta. Ma deve insistere. Qualcuno avrà criticato l'inserimento della tappa col pavé (già sperimentato nel 2010 e ripetuto quest'anno), ma quella è una strada da percorrere senza remore.

Così come è da confermare il disegno di una tappa con tante salitelle (Sheffield-style) nei primi giorni, o con poche salitelle ma piazzate strategicamente nel finale (Nancy-style), perché visto che si tratta delle frazioni più incerte, non si capisce per quale umana ragione non debbano essere previste nel disegno di un GT. 8-10 tappe piatte da digerire per forza, o saltare dalla finestra se non si è d'accordo: se non era arroganza quella...

Poi sono arrivate le aperture di Prudhomme, classe '60, ex giornalista (laddove Leblanc era un ex corridore: differenza che ha un suo peso evidente), con un passato anche nel canale berlusconiano La Cinq e un cursus honorum nelle file dell'Équipe (e poi dell'Équipe Tv, da lui cofondata nel 1998). Aperture di senso estetico, oseremmo dire, orientate al bello di una corsa ciclistica, e se tutti sanno che il mondo è bello perché è vario, la stessa cosa la si può dire del ciclismo.

Oggi, ad esempio, avremo un altro esempio della buona predispozione di Prudhomme verso la novità: si avvia da Gérardmer una tre giorni di gara interamente sui Vosgi, monti che sono sempre stati sfiorati o toccati poco (nel senso di una tappa e via), mentre potranno fungere da terzo polo per quel che riguarda le salite della Boucle. Non solo Alpi e Pirenei, quindi ma un'altra catena per disegnare frazioni incerte, possibilmente combattute, con percorsi che quantomeno invitano alla battaglia.

Il simbolo di tutto, come ben si sa, è la classica tappa di Pau, sui Pirenei; o meglio, giù dai Pirenei. Quella tappa che presentava solitamente l'Aspin e il Tourmalet all'inizio, al limite l'Aubisque a metà percorso, e poi proponeva quei 50-70-90 chilometri di pianura prima dell'arrivo a Pau. Ebbene, quest'anno la famigerata cittadina fungerà da partenza e non da arrivo di tappa. E le montagne in quella frazione (la 18esima, arrivo in quota a Hautacam) sono messe al posto giusto, ovvero alla fine. Se i dettagli sono importanti, questo ci sembra quello definitivo su ciò che è il nuovo corso del Tour de France. Un corso che per il momento merita una promozione a pieni (o quasi) voti.

Marco Grassi

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