Liegi-Bastogne-Liegi 2014: Ma quanta noia su queste Ardenne! - Molto attendismo e tre corse decise in pochi chilometri
Ora che son terminate le tre classiche ardennesi è tempo di bilanci: cosa ci rimarrà di Amstel, Freccia e Liegi versione 2014? Risposta istintiva: poco o niente. Risposta ragionata: poco o niente. Sì, perché la settimana appena trascorsa non sarà ricordata per lo spettacolo che storicamente questo trittico di gare ha (quasi) sempre presentato.
Dodici mesi fa la palma di corsa più avvincente andò all'Amstel Gold Race nella prima uscita in versione modificata, con il traguardo spostato rispetto alla vetta del Cauberg. Ebbene, l'attacco a 21 km dall'arrivo di Giampaolo Caruso, Roman Kreuziger e Marco Marcato prese di sprovvista i favoriti, con il ceco della Saxo bravissimo ad arrivare solo su traguardo. Anche quest'anno la prova olandese è stata la meno noiosa per gli spettatori, con l'allungo di nomi interessanti come Greg Van Avermaet, Thomas Voeckler e il solito, potremmo ormai dire, Giampaolo Caruso. Nulla da fare per loro, ripresi dopo una manciata di km. E l'attenzione si sposta sull'ultima ascesa sul Cauberg, quindi a meno di 2000 metri dal traguardo, con l'assolo di Gilbert dopo la strada spianatagli da un ottimo Sánchez. Spettacolo ancor più ridotto, per la verità, in quanto, dopo poche pedalate, era già palese che il vallone si sarebbe involato verso la terza Amstel in cascina.
La prova mediana, ovvero la Freccia Vallone, è quella in cui è più consueto assistere a prove anestetizzate sino all'ultima, terribile scalata del Muro di Huy. Nei 199 km di quest'edizione non è accaduto nulla sino all'ultimo km; a titolo esemplificativo, l'unico momento da segnalare è stata la caduta ai 3 km dal traguardo che ha azzerato le possibilità di Rui Costa, Damiano Cunego, Fränk Schleck e Joaquim Rodríguez. Il tempo record di scalata stabilito dal vincitore Alejandro Valverde è anche diretta conseguenza dell'andatura poco sostenuta dei restanti 198 km. Per provare a smuovere le acque urge da parte di ASO un ripensamento della prova che, nel passato, rappresentava una fra le più suggestive del panorama mondiale. Anche perché l'ultima volta di una Freccia decisa prima del muro finale risale al lontano 2003, quando Igor Astarloa vinse in solitaria dopo aver staccato i 14 compagni di fuga.
La maggior discrepanza di spettacolo fra il passato e l'edizione di quest'anno spetta però alla Liegi. La Doyenne, alla sua centesima edizione, ha vissuto una giornata all'insegna della noia. Redoute passata in carrozza (con tentativo di outsider di terza fascia per queste corse come Julián Arredondo, Jan Bakelants e Warren Barguil), la rientrante Roche-aux-Faucons ha leggermente movimentato l'azione con il tentativo di Julián Arredondo e Domenico Pozzovivo, conclusosi alle porte di Liegi, e con un leggero rimescolamento nel gruppo, dal quale stava per staccarsi il poi vincitore Simon Gerrans. Saint-Nicolas con poca fibrillazione, lontani i tempi degli attacchi decisivi di Vandenbroucke e compagnia; ora un allungo dei soliti, coraggiosi Caruso e Pozzovivo permette loro di involarsi sulla salita degli italiani. Ma più che per loro forza, a permettere questo scenario è il controllo assoluto tra chi di Liegi ne ha già vinte ed è ancora una volta favorito (Gilbert e Valverde, nel caso).
Il primo, serio attacco di un big è quello di Daniel Martin a poco più di 1 km dall'arrivo, con l'irlandese desideroso di bissare il successo del 2013 (edizione in cui ci fu, tanto per cambiare, un attacco di Caruso). Ecco, da questo momento la Liegi è tornata la solita Liegi, con l'incertezza per l'andamento del risultato, con attaccanti, contrattaccanti e gruppo a spremere le ultimissime forze rimaste sull'interminabile drittone in salita prima della svolta a sinistra. Svolta fatale al povero Martin, finito sedere a terra e costretto a guardare l'arrivo vincente di Gerrans. Australiano vincitore due anni or sono di una Sanremo assai spettacolare, giocando con astuzia con avversari di assoluto prestigio come Cancellara e Nibali. Senza nulla togliere al bravo aussie, un vincitore del genere è inusuale rispetto alla tradizione passata e recente, così come l'arrivo a ranghi pressoché compatti nel territorio di Ans. Un corridore come Oscar Freire si è spesso piazzato a ridosso dei primi 10, arrivando staccato da chi poi ha vinto. In una prova come quella di oggi avrebbe sicuramente lottato per il primo posto.
Un'altra tendenza che negli ultimi anni sta prendendo piede è la difficoltà di attaccare da parte dei big. Senza andare troppo in là con la memoria, uno come Paolo Bettini attaccava (forse anche troppo) in ogni corsa nella quale era protagonista. Anche lo stesso Andy Schleck (quello vero, non il lontano parente odierno) provava da lontano senza timore di saltare. Oggi l'unico ascrivibile a questa tendenza è Vincenzo Nibali il quale, in questa campagna sulle côtes 2014, ha però lasciato gli abituali panni di indomito attaccante in vista di un obiettivo (Tour de France) al quale ha totalmente consacrato la stagione, sacrificando i tradizionali palcoscenici su cui si destreggiava.
Meno di 5 km per decidere tre gare. Decisamente poco. Ben lontano lo spettacolo sempre presente nelle classiche fiamminghe, in cui in ogni settore di pavé è possibile aspettarsi un tentativo di campioni, promesse e onesti mestieranti. Per quanto riguarda le Ardenne, meglio voltare pagina e dimenticare in fretta questa settimana, sperando di poter assistere ad un 2015 diverso e che quest'attendismo non si propaghi anche ai grandi giri che ora catalizzeranno l'attenzione degli appassionati più o meno assidui. Attendismo del quale si sono già manifestati i primi segnali negli anni recenti.