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L'intervista: «Siamo sereni, il Giro sta bene» - Mauro Vegni (RCS Sport) a tutto campo: la corsa rosa, Dubai, la Sanremo, Twitter... | Cicloweb

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L'intervista: «Siamo sereni, il Giro sta bene» - Mauro Vegni (RCS Sport) a tutto campo: la corsa rosa, Dubai, la Sanremo, Twitter...

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Mauro Vegni, responsabile tecnico-sportivo per il ciclismo in RCS Sport © Bettiniphoto

Il Giro è senza il minimo dubbio l'appuntamento centrale della stagione dell'appassionato italiano: tutto quel che riguarda la corsa rosa è di conseguenza importante per l'intero movimento. E tra tutto quel che riguarda la corsa rosa c'è anche ciò che fa la società che la organizza: RCS Sport, nel bel mezzo di un periodo non certo facile, resta comunque il principale soggetto tra gli organizzatori italiani. Mauro Vegni, classe 1959 (toscano di nascita, romano d'adozione) ne è il responsabile tecnico-sportivo per l'area ciclismo: è nell'azienda dal 1994, e oggi più che mai lo identifichiamo come il deus ex machina del Giro d'Italia. Con lui abbiamo fatto una lunga chiacchierata sulla corsa rosa (quella che è stata e quelle che verranno), sulle altre gare organizzate da RCS Sport, e sul futuro del (suo, nostro) ciclismo.

Giro 2013: a tratti un senso di coitus interruptus - pensiamo ad esempio alla tappa di Val Martello, annullata - ma alla fine, grazie soprattutto a Nibali, forse agli italiani è piaciuto più del precedente.
«È stato un Giro molto difficile, il meteo ha complicato tutto, ma alla fine quelle difficoltà l'hanno reso più epico di altri... e poi la presenza di un italiano in maglia rosa ha tenuto alto l'interesse fino alla conclusione. Mi posso ritenere abbastanza soddisfatto di come è andata».

Il maltempo è stato un fattore, indubbiamente. Che tipo di contromisure adotterete, in caso di neve o di condizioni al limite, nel 2014, quando riavremo - ad esempio - proprio la tappa di Val Martello?
«In alcuni casi - e quello della frazione di Val Martello è proprio uno di questi - l'alternativa è di abbassare l'altitudine delle salite che verranno affrontate, e conseguentemente abbassare il livello tecnico della tappa, altrimenti non c'è soluzione, geograficamente parlando (e quest'anno nemmeno questa opzione è risultata praticabile!). Purtroppo montagne come il Gavia sono sempre una scommessa, anche in anni climaticamente buoni c'è stato qualche problema su queste vette; è chiaro che, in presenza dell'identica tappa alternativa che avevamo presentato quest'anno, nel 2014 ce la giochiamo tutta sulla fattibilità della frazione ufficiale, anche perché francamente Gavia e Stelvio nella stessa tappa non li puoi sostituire con niente di equiparabile».

Dita incrociate, quindi. È proprio il portato del Giro 2013 e del tanto freddo incontrato che vi ha spinti a osare così poco sopra i 2000 metri, nel disegno della prossima corsa rosa?
«No, direi che è del tutto casuale. Gli over 2000 saranno sempre riproposti, negli anni, perché fanno parte del ciclismo e della storia del Giro. Stavolta, essendoci già Gavia e Stelvio, non abbiamo voluto calcare la mano in altre frazioni... se avessimo deciso di fare un percorso diverso per la tappa di Val Martello (mantenendo ovviamente invariate le località di partenza e arrivo), magari avremmo potuto inserire qualche vetta più alta in altre frazioni. Ma non abbiamo voluto rinunciare a inserire insieme quelle due salite storiche in quella tappa».

Non c'è però una sorta di esasperazione che porta a sovrastimare i danni del maltempo? Pensiamo alla Sanremo deturpata e percorsa in parte sui bus, ma più ancora - ad esempio - alla neutralizzazione di fatto di parte della tappa del Galibier al Giro. Poi i puristi brontolano ricordando che Hinault vinse una Liegi sotto la neve.
«Intanto diciamo che ci sono situazioni e situazioni, quella della Liegi di Hinault fu una giornata diversa, con una neve diversa. Durante il Giro, sin dalle tappe meridionali (con tanta pioggia) siamo stati flagellati dal maltempo, e abbiamo avuto temperature molto più basse del solito. Anche la Milano-Sanremo: mai capitata una giornata simile! Nella concitazione del momento, per noi fu un grande lavoro portarla a termine, e per i corridori un grande atto di professionalità resistere e volerla concludere. Possiamo anche dire che oggi ci sia una sensibilità diversa, più spiccata anche relativamente al tema della sicurezza in corsa, ma va bene così. Non sento la necessità di avere l'estremo nelle corse: se ci sono meno rischi, è meglio per tutti (poi è chiaro che si può anche scivolare su una buccia di banana, o cadere in maniera banale, e noi siamo particolarmente consci di questo fatto). Io vorrei chiedere agli appassionati più anziani: qual era l'estremo negli anni '50? Forse le strade sterrate in montagna? Non certo un fattore di rischio paragonabile a certe situazioni che ci siamo trovati a fronteggiare. Né penso che, per inseguire un ideale di estremo, io debba cercare discese al 30% con curve cieche e senza guard-rail...».

Vediamo questo Giro 2014, allora: che corsa è?
«Lo ritengo abbastanza equilibrato come percorso, adatto a tutte le tipologie di corridori, perché penso che tutti - scalatori, velocisti, cronoman, finisseur, passisti - debbano avere le loro chance in una grande gara a tappe, e in questa edizione direi che ce ne sia per tutti i gusti. Abbiamo tenuto un dislivello altimetrico più limitato rispetto a qualche edizione degli anni scorsi, via via operiamo per limitare i fattori di rischio, e abbiamo ridotto al minimo i trasferimenti, anche se ciò va a detrimento di alcune regioni, giocoforza tagliate fuori dal percorso. È un Giro che continua ad essere proteso verso uno sviluppo internazionale, e resta un'eccellenza italiana che è bene far conoscere all'estero, e di cui continuare ad essere orgogliosi».

Quali difficoltà avete incontrato nel disegnarlo?
«Fortunatamente il Giro ha sempre un grande appeal ed è molto richiesto. Le difficoltà maggiori sono ovviamente quelle economiche, vista la crisi che attanaglia l'Europa e l'Italia in particolare. Non è certamente un momento facile, anche se da tanti punti di vista non ci possiamo lamentare, dato che abbiamo sempre molte località che vogliono ospitare la corsa rosa, anche all'estero. Poi una volta vagliate tutte le richieste, l'aspetto sportivo prevale sempre su quello meramente economico».

Non è un Giro troppo sbilanciato verso la terza settimana, o quantomeno verso la seconda metà?
«Certo che è così, ma è sempre stato così, grossomodo: si segue quello che può essere un trend d'interesse, e tra l'altro chi lotta alla fine per la vittoria non può essere al 100% già nelle prime tappe. È chiaro che nella seconda parte di un GT c'è più interesse, pensiamo anche al Tour che per tanti anni ha avuto una decina di tappe facili prima delle montagne. Noi comunque non facciamo mai mancare le tappe miste, anche nella prima settimana: frazioni che si decidono su salitelle che non faranno grande classifica, ma che movimentano parecchio la situazione, creando interesse».

In tema di salitelle: quest'anno abbiamo visto che lo strappetto posto in posizione strategica, a 10-15-20 km dal traguardo, crea situazioni altamente spettacolari, ma nel 2014 non avremo praticamente di queste soluzioni (a parte la tappa di Savona). È una tendenza che è stata già abbandonata?
«Un po' nella prima parte scontiamo le tre tappe irlandesi in cui non si potevano fare grandi cose con le altimetrie di quei luoghi; d'altro lato, quest'anno il Giro si sviluppa geograficamente in maniera diversa, senza far tappa sulla dorsale adriatica in cui di solito si trovano proprio quel tipo di soluzioni (penso a tante tappe marchigiane o abruzzesi), ma optando per tagliare la penisola per vie centrali, attraverso zone d'Italia che mancavano da qualche tempo. Infine, per evitare troppi trasferimenti, diverse tappe sono lunghe e lineari, senza lo strappetto che indurisca il finale».

Altro particolare di cui si potrebbe sentire la mancanza: il classico tappone da 200-250 km con 5 colli duri.
«Abbiamo voluto riproporre la tappa di Val Martello dell'anno scorso, con 130 km e tre passi (diciamo due e mezzo) duri, ma oltre a ciò, voglio sperimentare sull'onda delle tappe della Vuelta, brevi e combattute, per capire se un discorso del genere può stimolare un maggiore spettacolo. E poi un tappone senza uno Stelvio o un Gavia non lo vedo... e Stelvio e Gavia sono già nella frazione di Val Martello».

Però sui 200-250 km vengono fuori quegli uomini di fondo che poi sono i corridori storicamente più tagliati per i grandi giri.
«Ma abbiamo un riscontro reale di ciò? Il rischio è che i primi 3 colli vengano fatti ad andatura rallentata, che ci si dia battaglia solo negli ultimi 80 km, e allora tanto vale...».

Negli ultimi 80 o negli ultimi 8, visto il trend di questi anni.
«È troppo forte la paura, l'attendismo la fa da padrone. Anche per quel che riguarda lo Zoncolan: non ha senso metterci altri 4 passi prima, perché comunque tutto ruota intorno alla salita finale, nessuno si muoverebbe comunque in precedenza».

Al di là di tutte le considerazioni, resta comunque un Giro da scalatori. Veniamo perciò al punto: chi se lo giocherà?
«Di sicuro la lotta sarà tra scalatori puri e passisti scalatori che possano far bene anche nella crono, anche se...».

No no, volevamo sapere i nomi. Ad esempio un Nairo Quintana, di cui si è parlato molto come possibile partecipante, sarebbe un bel pretendente.
«Ha fatto benissimo, deve dimostrare se è già maturo per vincere il Giro, ho paura che possa ancora non esserlo. Per quel che riguarda gli altri nomi, tutte le trattative sono in fase di sviluppo. Cercheremo di avere un cast adeguato a quel che è stato l'ultimo Giro. Purito Rodríguez, ad esempio, ha già detto che ci sarà; con lui e Quintana, si tratterebbe di avere già due dei quattro-cinque top rider da GT. Per gli altri stiamo ragionando, lavoreremo per portare altri nomi importanti».

Andiamo direttamente al cuore della questione, con una domanda da sognatori: quanto costerebbe ingaggiare Froome e Nibali? In soldoni, proprio.
«No, un corridore di quel calibro non viene per l'ingaggio, noi del resto non abbiamo mai fatto un discorso di quel tipo, anche perché sarebbe particolarmente oneroso: quanto vuoi pagare uno che guadagna 2-3 milioni di euro all'anno per convincerlo a cambiare i suoi programmi magari incentrati sul Tour? Per 100-200mila euro, non penso che un corridore di quel calibro sposti i propri obiettivi. Noi ci rapportiamo comunque con le squadre, coi team manager, è con loro che ragioniamo relativamente alla partecipazione dei vari corridori. Riguardo a Nibali, so che tutti lo vorrebbero al Giro. Siamo stati una settimana insieme nella crociera organizzata dalla Gazzetta dello Sport, abbiamo avuto modo di parlare a fondo, serenamente. Gli ho detto di seguire tranquillamente il suo progetto tecnico, capisco benissimo che, per il livello che ha raggiunto e per il disegno del Tour di quet'anno, forse per lui sarebbe difficile riprovarci con tante possibilità di successo in futuro. Farà le sue valutazioni e deciderà in autonomia. Poi, è chiaro che io, da parte mia, ce la metterò tutta per ingaggiarlo».

Possiamo pensare che il disegno del Giro, con quella partenza abbastanza soft, sia pensato anche per andare incontro alle necessità di Vincenzo, per permettergli di provare a conciliare la corsa rosa con la Grande Boucle?
«No, questa - come il pagare i corridori perché vengano al Giro - è una cosa che non facciamo mai».

Il Tour de France che diventa corsa più da scalatori rispetto al passato (a vedere il tracciato dell'edizione 2014) è un problema per voi? Viene a farvi concorrenza sul vostro campo?
«Il nostro è un progetto sportivo diverso, e le nostre salite - con tutto il rispetto per quelle francesi - sono molto diverse. Il fatto che loro si avvicinino alla nostra concezione del grande giro è semmai una cosa che mi soddisfa, perché è un implicito riconoscimento per noi, per il fatto di saper organizzare una corsa più bella, meno noiosa. Insomma, mi fa pensare che la nostra filosofia sia giusta».

Ancora riguardo alla partecipazione nel prossimo Giro: avete lanciato un sondaggio per le wild card sui social media, alcune squadre Professional ne erano escluse, ma le considererete comunque nel momento di diramare gli inviti? Inutile dire che il riferimento principale è alla squadra di Scinto.
«Nel momento in cui abbiamo lanciato il sondaggio, non avevamo avuto da parte loro una richiesta ufficiale. Nessuno verrà escluso in partenza, chi vuol esserci e presenta il dossier sarà preso in esame. E anche la squadra di Scinto ha una sua valenza».

Terrete conto esclusivamente del sondaggio o vi riservate la possibilità di scegliere anche in maniera un po' diversa dagli orientamenti che avrete dagli appassionati?
«Il sondaggio ha un valore importante proprio perché riflette la volontà degli sportivi, lo terremo ovviamente in gran conto, non so ancora se al 90 o al 100%... Siamo consapevoli che la forza del ciclismo è la gente che lo va a seguire sulle strade, se siamo ancora qui dopo anni bui è proprio per il grande amore degli appassionati. Per cui il loro pensiero va tenuto in gran conto, ho il massimo rispetto per loro».

Detto del Giro 2014, può già darci qualche anticipazione su quello del 2015? Il meridione verrà coinvolto maggiormente rispetto al 2014? E i rapporti con Milano come sono?
«Il 2015 sarà un anno particolare, con l'Expo, per cui per forza terremo in considerazione Milano, anche se ancora non sappiamo in quale maniera, se con la partenza, con l'arrivo, con una tappa, non lo so. Sarà anche il centenario della Prima Guerra Mondiale, per cui anche questo sarà un tema che non ci sarà estraneo. Poi valuteremo come sempre in base alle proposte, ne stiamo già avendo tante, da regioni come Liguria o Piemonte, per non parlare di quelle che vengono dall'estero».

A proposito di estero: l'idea di una partenza dagli Stati Uniti è sempre presente o l'avete accantonata?
«In molti non ci hanno dato peso, ma l'aver ottenuto dall'UCI la possibilità di anticipare la partenza e avere un giorno di riposo in più nel 2014, è un fatto importantissimo perché apre nuovi scenari fin qui impensabili. Significa che anche da parte dell'Unione Ciclistica Internazionale c'è la disponibilità di andare incontro a possibili sperimentazioni: una partenza da New York, ipotesi allettante e suggestiva per tutto quel che rappresenterebbe (anche a livello di penetrazione in un importantissimo mercato come quello americano), è un progetto che al momento non c'è, ma al quale non nego di star pensando. Se l'UCI lo permette, se anche da parte sua ci sarà la volontà di scavalcare alcuni paletti, non escludo che ci si possa arrivare, un giorno».

Quando svelerete la località di partenza della corsa rosa 2015?
«Durante il prossimo Giro o subito dopo».

Vedremo, nel prossimo autunno, una presentazione degna della corsa, dopo quella un po' triste e anonima di quest'anno?
«Non sono allineato su questo concetto di "degna". È stata una presentazione sicuramente diversa, più da addetti ai lavori».

Però il pubblico vorrebbe comunque vederla, se rimane esiliata in uno streaming diventa tutto più difficile.
«Se guardiamo agli ultimi anni con la Rai, non è che ci siano stati grandi numeri a livello di Auditel: l'ascolto era precipitato moltissimo. Forse anche quella formula andava rivista, perché se deve trattarsi di uno spettacolo che abbia anche i giusti tempi televisivi, magari diventa un po' meno presentazione; ma bisogna anche vedere se in alcuni casi, anche nell'ottica del prodotto televisivo, non abbiamo avuto molte parole e poco spettacolo. E poi non nascondiamoci, il momento forte, in un evento del genere, è il disvelamento del tabellone con la nuova corsa: una volta visto come sarà il prossimo Giro, il telespettatore magari cambia canale».

Bisogna riconoscere che anche internet, tra forum e blog, non contribuisce a tenere alta la suspense, visto che tutto viene praticamente svelato in anticipo.
«Come fai a bloccare una cosa del genere? È impossibile. Magari parli con l'amministratore, gli chiedi riservatezza, ma lui lo dice al figlio, e poi il figlio mette la notizia su Facebook, i suoi amici la propagano... le informazioni volano in rete, e ciò rende ormai la presentazione una mera ufficializzazione di quello che già si sa da tempo. D'altro canto, sono contento che si parli tanto del Giro anche al di là delle tre settimane di corsa, significa che c'è sempre un grande interesse, e ciò è solo positivo».

Qual è la situazione economica del Giro, nell'ambito della nota crisi di RCS? Potrebbe essere venduto?
«Lo dico con molta franchezza: non mi risulta che ciò possa avvenire. Posso solo dire che l'azienda ha sempre detto che il Giro d'Italia è strategico, è un asset importante. E noi stiamo continuando a lavorare nella massima serenità».

Parlare dello stato di RCS ci porta inevitabilmente ad aprire una parentesi su quei 13 milioni di ammanco e sulla defenestrazione di Michele Acquarone, ex direttore generale: che idea si è fatto in merito a questa vicenda?
«Non me ne sono fatta nessuna. Si tratta di una cosa delicata, ci sono persone che stanno parlando con l'azienda, da parte mia è corretto non entrare nella questione».

Acquarone aveva avuto buone intuizioni dal punto di vista del marketing, si procederà sulla linea tracciata da lui anche con la nuova struttura, che secondo indiscrezioni avrà al suo interno Paolo Bellino (attuale segretario generale della Fidal)?
«Se il nuovo si chiama Bellino, a me non l'ha detto nessuno. Non c'è nulla di ufficiale. L'unica cosa che posso dire è che spero (e sono sicuro) che venga tra noi una figura che sia all'altezza dei 100 anni di storia del Giro e che ci dia stimoli per fare sempre meglio».

In tema di marketing e di nuovi orizzonti, parliamo di Dubai: la partnership che avete stretto con gli emiri è destinata a durare nel tempo? State guardando - come già ASO, società organizzatrice del Tour - anche ad altri mercati oltre al Golfo Persico?
«Chiaramente quella negli Emirati Arabi Uniti è un'operazione che vuole avere una durata. È strategico per noi cercare questo posizionamento internazionale, il ciclismo tende sempre più a globalizzarsi e abbiamo il dovere di essere su questo mercato, proprio come fa ASO. Potranno senz'altro venire altre partnership, siamo lavorando per questo: per un discorso di posizionamento e opportunità, sarebbe importante avere un pallino in ogni continente».

In un progetto del genere, qual è il vostro guadagno? Solo il fatto di poter allacciare rapporti con nuovi sponsor e di avere una visibilità in più ambiti, o lo fate anche perché significa avere direttamente delle revenue da parte degli organizzatori del posto?
«Entrambe le cose: da un lato si aprono mercati nuovi e si conoscono investitori, dall'altro non è secondario l'aspetto delle revenue che sono dovute a dei professionisti affidabili quali noi siamo riconosciuti».

Parlando delle altre corse RCS, qual è il loro stato di salute? Strade Bianche, Roma Maxima e Tirreno paiono in gran forma.
«Se avessi l'ordine d'arrivo dei primi 5 della Tirreno-Adriatico al Giro!... Sono corse che stanno avendo successo da una parte per il fascino paesaggistico, dall'altra perché rappresentano un ciclismo di qualità: la Tirreno ormai non è quasi più una corsa di preparazione alla Sanremo, ma è importante come gara a se stante; il tutto avviene mentre tante corse del calendario italiano soffrono e non poco, il Pro Tour ha portato chiaramente benefici per alcuni - con l'obbligo di partecipazione dei team più forti - e risvolti negativi per altri. Per quel che riguarda la Roma Maxima, stiamo cercando di capire come portarla avanti così».

Lo scenario del Colosseo sullo sfondo è impareggiabile, non pensate di cambiare arrivo!
«Roma è una città importantissima, non nascondiamocelo. Averla al Giro d'Italia (e darle la giusta valorizzazione) è difficile, coinvolgerla in altri progetti - come questo - può essere il modo di conquistarla stabilmente al ciclismo».

Alla Milano-Sanremo ci sarà una nuova salita tra Cipressa e Poggio, la Pompeiana. Cavendish, per questo motivo, ha già annunciato il suo forfait. Che corsa avete in mente? In fondo l'equilibrio degli ultimi anni, con le Manie, non era male.
«Sappiamo benissimo che ci saranno - e già ci sono - fazioni contrapposte, da un lato i favorevoli e dall'altro i contrari. La nostra idea è di provare ad avere sulla carta una corsa più aperta. Ciò non va incontro alle caratteristiche del velocista puro? Pazienza, anche l'arrivo solitario dopo un'azione da lontano - cosa che non avviene da tanto - è una bella emozione che va riprovata, no?».

Non si sposta tutto il pathos sugli ultimi 40 km di gara, così? Con le Manie la pressione si alimentava già abbondantemente a 100 km dalla fine.
«Si pascolava in corsa per 200 km, per 5 ore, prima che scoppiasse la bagarre, ma tutto era comunque rinviato al Poggio o a quegli ultimi 16-17 km: questa è l'analisi reale, la storia ci dice che solo dal Poggio in poi sono nate le azioni decisive da molti anni a questa parte. Con questa innovazione vogliamo vedere di rimescolare le carte. Valuteremo poi nei prossimi anni l'impatto del nuovo percorso e decideremo se andare avanti così o tornare indietro».

Lombardia: ci sarà modo di avere un percorso senza tutto quel lungolago che dopo il Ghisallo ammazza lo spettacolo?
«Beh, non mi lamenterei del percorso del Lombardia, l'attacco alla salita dell'Alpino è abbastanza duro, e chi ha attaccato lì è arrivato da solo al traguardo...».

Il Nibali del 2011 avrebbe qualcosa da ridire su questa interpretazione...
«In ogni caso l'accordo con le varie località è scaduto quest'anno, per il 2014 si programmerà un'edizione forse diversa. Quest'anno siamo partiti da Bergamo, non è detto che non ci si possa arrivare; o che non si possa arrivare a Como. Abbiamo discorsi già avviati, proseguiremo con la turnazione delle varie località lombarde, e ufficializzeremo il tutto tra gennaio e febbraio».

Il 2014 doveva essere l'ultimo anno con le attuali regole per il World Tour e il ciclismo professionistico; ora pare che la riforma UCI verrà posposta al 2017. Lei è nel board che porta avanti il dibattito su questa rivoluzione: non le sembra una riforma penalizzante per il movimento italiano?
«Non solo per l'Italia, ma per l'Europa tutta, si pensi alla Spagna, ad esempio... ma anche il Belgio non sorride, insomma nessuno è contento. Slitterà di sicuro, la riforma, perché non ci staremmo dentro coi tempi di attuazione, non è pensabile che tutte le regole vengano scritte da qui a gennaio, affinché entrino in vigore nel 2015. Al di là di questo, però, non si può negare che sia in corso anche un confronto tra le varie parti per arrivare a un punto di maggiore equilibrio. Poi è chiaro che alla fine, comunque la si metta, qualcuno resterà più scontento e qualcun altro sarà soddisfatto. Infine, non bisogna dimenticare che questa riforma è nata sotto una dirigenza UCI completamente diversa, c'è stato un cambio netto di cui inevitabilmente si dovrà tener conto».

Il parere di Brian Cookson peserà, insomma. Come lo vede il nuovo presidente dell'UCI?
«L'ho visto due volte nei vari meeting, ma non ho ancora avuto modo di approfondire la sua conoscenza, per cui fatico a dare una valutazione. Mi pare preparato, ha portato nella sua squadra rappresentanti importanti come il francese Lappartient, insomma ci sono elementi di valutazione positivi. In merito alla sua posizione riguardo alla riforma, dobbiamo riconoscere che se fai un cambiamento che avrà gittata ventennale (e che era necessario, perché il precedente meccanismo non ha portato grandi risultati), forse è più giusto metterlo sul tavolo con un nuovo board, e non con quello che rappresentava la vecchia gestione del ciclismo».

Chiudiamo in leggerezza: ha già in agenda la cena di fine anno con Alessia Ventura, o il Giro avrà una nuova madrina?
«Anche di questo parleremo più avanti, si tratta di operazioni di contorno per le quali i nostri ragazzi del marketing sono già all'opera. Non so se sarà ancora Alessia Ventura la madrina del Giro, o se la scelta cadrà di qualcun'altra, di sicuro sarà in linea con l'immagine - soprattutto di grande freschezza - che vogliamo trasmettere della corsa rosa».

Infine: cosa ne pensa di Twitter e in particolar modo di un account - NotMauroVegni - che furoreggia prendendola affettuosamente per i fondelli?
«Tutto quel che attiene alla comunicazione sui nuovi media è importantissimo, anche per quanto riguarda la velocità di diffusione delle notizie: è fondamentale per essere in connessione con tutto il mondo, e tutto quel che è social è centrale anche per noi. Il tipo dell'account... fa sorridere anche me, quando l'ironia è elegante fa anche piacere, tutto sommato. Chi è? Forse qualcuno che lavora con me, non lo so... deve conoscermi anche bene, visto che spesso interpreta in maniera puntuale i miei pensieri. Sì, vorrei incontrarlo: un giorno riuscirò a scoprire chi è!».

Marco Grassi

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