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L'inchiesta: È sulle loro spalle che il sistema frana - Un ciclista: «Nelle Continental accadrà di tutto»

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Gruppo di ciclisti e orizzonte franoso © GianoliniBike.itÈ interessante, per capire che sviluppi potrà avere la riforma del settore Continental promossa dalla Federciclismo, sentire il parere dei corridori, ovvero dell'anello ultimo di quella catena che - sempre sul punto di spezzarsi, visto che tiene insieme un sistema di una fragilità incredibile - scarica inevitabilmente proprio su di loro, sugli atleti, il peso di tutte le sue distorsioni.

Abbiamo intervistato un corridore con un passato in squadre Professional, al momento inattivo dopo che il team in cui militava ha "cambiato pelle" disfacendosi - dalla sera alla mattina - dei ciclisti che aveva in organico; comprendiamo e accogliamo la volontà del corridore in questione di rimanere anonimo: «Voglio evitare qualsiasi rogna», ci ha detto. Ma la sua testimonianza resta valida anche se l'identità è coperta.

Come si vive, da corridori, nel professionismo in Italia? (O dovremmo chiamarlo in alcuni casi semiprofessionismo?)
«Diciamo che le squadre si dividono in due fasce: le World Tour, alle quali non manca niente, funzionano bene e la loro affidabilità si vede anche dall'esterno; alcune Professional assomigliano a queste World Tour, altre sono invece più simili alle Continental, e questa è la seconda fascia dei team: quella in cui ti fanno correre poco se non hai portato lo sponsor».

La tua esperienza in tal senso è illuminante.
«Eravamo una Professional da 16-17 corridori, ma facevamo attività singola, per cui correvano la metà dei corridori, sempre quelli più vicini geograficamente o moralmente al team manager, o i più sponsorizzati. Alcuni hanno chiuso l'annata con 50 giorni di gara, altri con 15... Poi a fine stagione, malgrado alcuni di noi - me compreso - avessero un altro anno di contratto, fummo avvisati che non saremmo stati confermati: il team manager ci fece firmare una lettera di licenziamento volontario in cui dovevamo essere noi a chiedere - formalmente - la cessazione del rapporto lavorativo. Qualcuno ha firmato, altri no; io non firmai e feci scrivere una lettera dall'avvocato, ma lui passò subito al contrattacco coi suoi legali e a quel punto ho preferito lasciar perdere perché non valeva la pena imbarcarsi in una causa».

La cosa bella è che però questa squadra non ha smesso di esistere.
«No, ha semplicemente cambiato categoria e paese di affiliazione. In pratica è stata messa in atto una sorta di fallimento, per poi ripartire altrove senza più i vincoli della precedente società di gestione».

Gli stipendi che ti spettavano ti sono stati corrisposti per intero?
«Prendevo il minimo sindacale, 27.800 euro all'anno, e devo dire che la somma mi è stata pagata tutta. Del resto una Professional, essendo obbligata a versare delle fidejussioni per coprire le spese degli stipendi, non può evitare di pagare i suoi dipendenti. Né tantomeno noi restituimmo soldi in nero. Certo, diventando Continental tutto è più facile per chi vuole evadere alcuni obblighi, dato che non è neanche previsto il minimo sindacale».

Pensi che qualcuno corra gratis, in ambito Continental?
«Magari qualcuno che passa giusto un anno per vedere se ha la possibilità di fare il ciclista professionista, può pure accettare di correre senza essere pagato. In molti casi si corre comunque per il semplice rimborso spese. Però ora con la riforma che in Italia sta regionalizzando le Continental, considerando che in diversi casi avremo squadre formate da atleti di una singola zona, magari aumenterà davvero il numero di corridori che non percepiranno nemmeno il rimborso spese».

Una squadra in cui hai militato da dilettante sta per l'appunto diventando Continental. Sei stato contattato per correre con loro?
«Mi hanno fatto sapere che stanno salendo di grado, e io sto valutando se lanciarmi in questa nuova avventura. Non nego che sono tentato, ma ci sono alcune difficoltà: intanto dovrei riprendere dopo un anno in cui sono stato praticamente fermo, e poi dovrei correre di fatto gratis (a meno di non portare uno sponsor che mi paghi l'ingaggio). A ciò aggiungiamoci che se poi la Continental in questione non farà un calendario interessante, con gare che abbiano almeno un po' di visibilità, sarebbe tutto inutile. Però questo calendario interessante, almeno a quanto si intuisce, non è garantito dalle attuali norme».

Dopo anni in cui la Federciclismo ha snobbato la categoria Continental, ora ha rilanciato con questa riforma che vede aumentare sì le squadre, ma diminuire il loro cabotaggio, come se fosse ulteriormente possibile svilire il semiprofessionismo a cui erano in precedenza improntate. A chi giova tutto ciò?
«Secondo me l'hanno fatto per far sopravvivere il ciclismo, permettendo a squadre di basso budget di fare attività professionistica. Solo che così si rischia di peggiorare ancor più la situazione, perché non si passa più professionisti per merito ma per conoscenze. Vedo passare gente che non finiva neanche le gare dilettanti e ora vuol fare il pro'... E poi diciamola tutta, tra le Continental si corre quasi senza controlli né regole, il Passaporto Biologico non sanno cosa sia, quante volte in questi anni abbiamo visto corridori delle Continental sverniciare incredibilmente quelli di livello superiore, in tante gare? Ma è chiaro che uno che ha tanto da perdere (un professionista vero, con un ingaggio vero) si guarda bene dal rischiare, mentre chi non ha quasi nulla da perdere è più portato a giocarsi il tutto per tutto pur di fare un risultato».

Marco Grassi

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