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L'intervista: «Vado all'Orica, voglio migliorarmi» - Valentina Scandolara si racconta. Il 2013, le vittorie, il futuro...

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Valentina Scandolara sarà la prima italiana a correre con l'Orica-AIS © Elaborazione Cicloweb.it

Ad arrivare prima, Valentina Scandolara, è abituata sin da piccola. Allora si trattava di semplici gare della domenica, le gioie della bimba, per non dire del maschiaccio, che i ragazzini spesso li batteva (talvolta facendoli piangere), la passione che senza aspettare si tramuta in lavoro. Titoli a raffica fino alle Juniores, poi è diventata meno cannibale di quella Cannibale (sì, la "c" è proprio maiuscola) chiamata Marianne Vos, che della "Scando", o di "Cavallo pazzo", o chiamatela come vi pare, è una delle migliori amiche. Ma qui non si parla di amicizie, né di Vos, né di titoli vinti in passato dalla veronese di Tregnago. Quest'ultimi sono noti ai più e di dominio pubblico. Valentina Scandolara è giunta prima senza correre, almeno non ancora: mai infatti altre italiane avevano fatto parte di un team australiano e la Scandolara nel 2014 aprirà le danze vestendo la casacca dell'Orica-AIS di Emma Johansson. Si tratta rispettivamente di squadra e corridore numeri uno al Mondo secondo il ranking UCI.

La contattiamo mentre è a spasso con Alvin, il suo adorato collie. Il periodo è quello del meritato riposo della guerriera («ho ripreso la bici solo domenica, ho fatto un giretto, per il resto sono all'ingrasso. Bisogna staccare ogni tanto, no?»), la voce trasmette serenità e felicità per la nuova avventura, letteralmente invidiabile, che andrà ad iniziare. I diversi e ripetuti «Alvin! Vieni qua...» scandiscono la conversazione, spesso separando domande e risposte: simpatiche e piacevoli interruzioni nel discorso di una Valentina Scandolara che in realtà è serissima ed altamente professionale. Forse anche troppo per il ciclismo femminile, ma questa è davvero un'altra storia.

Partiamo da lontano? Partiamo dall'Australia?
«Che bella sorpresa, vero? In realtà l'Orica è una squadra che m'è sempre piaciuta e penso che si adatti al modo di correre che ho. Loro sono sempre aggressive, non è che si nascondano. Anche l'anno scorso, sebbene non fossi ai loro livelli m'è piaciuta molto come condotta di gara. Sentivo una sorta di affinità con l'Orica, altrimenti sarei restata in Cipollini. Ho avuto altri contatti ma ho scelto la squadra australiana».

Perché l'Orica e non un altro team straniero?
«Proprio perché mi piace da tanto, ho sempre pensato che se avessi lasciato la Cipollini avrei voluto correre nell'Orica, tutto qui. Del resto, credo che a chiunque piaccia l'Orica, non soltanto a me».

Al di là del fatto di essere la prima italiana che vi militerà, cosa ti aspetti da quest'avventura?
«Non tanto di vincere, ogni vittoria è legata a questioni di corsa. Però vorrei migliorarmi rispetto al 2013, in termini di affermazioni. Restando con i piedi per terra, mi piacerebbe sentirmi meglio rispetto a quest'anno, il che non significa solo vincere. Vorrei sentirmi migliorata, non sto certo a prefissarmi una gara piuttosto che un'altra come obiettivo. Voglio migliorare, ecco».

Per i miglioramenti dovresti essere capitata nel posto giusto, ma quanta libertà pensi di poter avere durante l'anno?
«Sono convinta che, come in ogni squadra, si debba anzitutto dimostrare di meritarsi il posto. Poi i ruoli cambieranno via via, come succede ovunque. Tra percorsi, periodi dell'anno e picchi di forma non parto - per dire - per fare bene nelle crono, come potrei..? Ognuna farà la sua corsa a seconda delle caratteristiche. Se dovrò essere la gregaria di Emma Johansson, lo sarò. Se sarò in grado di correre da punta lo farò, così come in molte occasioni dovrò tirare per i primi chilometri. Farò tutto questo perché il mio primo desiderio è di imparare tantissimo, il più possibile».

Emma Johansson sarà la capitana dell'Orica. Che rapporto hai con lei?
«Come persona mi piace, non la conosco bene, ci ho parlato qualche volta ma avrò modo di approfondire. Io e lei tecnicamente abbiamo caratteristiche affini, spero di essere in grado di lavorare in coppia con Emma».

"Spero di essere in grado", o "all'altezza", frasi che ripeti spesso.
«Non ritengo di essere una ragazza presuntuosa. Sarò l'ultima arrivata in Orica ed è naturale che sia un po' insicura! Se riuscissi a disputare una stagione come il 2013, so che sarei tra le ultime gregarie ad aiutare la Johansson. Prendiamo l'ultimo Thüringen: lì era spesso da sola nel finale di gara. Sì, qualche volta c'era la Cromwell, ma spesso eravamo io, lei, qualche Rabobank... Se correrò al livello di quest'anno sarò l'ultima a staccarmi da lei. Vorrei lavorare in coppia con Emma per vedere di riuscire a fare un po' di danni...».

Ciò che è certo sin da ora è che non farai ciclocross quest'inverno. Ti sposterai in pista?
«Quella di non fare ciclocross è un'esigenza mia, sostenuta anche dall'Esercito. Dispiace ma era da tre anni che facevo Pista, oppure Pista e Ciclocross, durante l'inverno. Adesso ho bisogno di staccare, per quest'anno andrà così».

In futuro ti rivedremo nel fango o darai più spazio alla pista, visto che l'Orica lavora molto sui 250 metri?
«Devo parlare bene con la mia nuova squadra ma spero che mi daranno il supporto dell'AIS, l'Australian Institute of Sport, che è avanzatissimo. A me piace moltissimo fare gare di qua e di là durante l'inverno, però quest'anno ci voleva questo stop. Mi mancheranno i cross ma in futuro li correrò ancora, così come tornerò su Pista se mi verrà data la possibilità. In fondo m'è sempre piaciuta».

Ed a marzo, come una piccola Vos, ti sei cimentata anche nella MTB, terza assoluta nel G.P. d'Inverno di Tregnago.
«Io potrei essere un'unghietta della Vos... Per quanto riguarda la gara in MTB, l'ho fatta ancora più sporca. M'è arrivata la bici tre giorni prima, mai disputata prima una corsa in MTB seria. La gara era dietro casa, sono andata a provare il percorso e via...».

La fai facile, eppure il passaggio da Élite - torniamo alla strada - non è stato troppo semplice.
«No, anzi, il passaggio è stato molto difficile, anche per episodi extra ciclistici. Ho avuto la fortuna di trovare le persone giuste. Nel 2011 alla Gauss ho avuto come ds la Pego (Luisiana Pegoraro, ds della MCipollini-Giordana, n.d.r.), nel 2012, alla Michela Fanini (scelta giusta o sbagliata che fosse, non ha importanza adesso), sono stata malata. Ho avuto la mononucleosi ma da quella stagione mi aspettavo tanto, invece non son potuta crescere. Quest'anno sono di nuovo andata in crisi all'inizio, tra cadute e problemini. La vittoria a Vaiano, al Trofeo Vannucci, mi ha sbloccata dal punto di vista mentale».

Valentina Scandolara vince la tappa di Schmölln al Thüringen Rundfahrt © Cipollini-GiordanaMa non è tutto.
«Nella mia testa non mi sentivo ancora all'altezza di arrivare con le prime e così cercavo di portare a casa risultati come i traguardi volanti, i Gpm, cazzate del genere. Al Thüringen la Pego m'ha messo alle strette: non le importava che vincessi una maglia, a parte quella di leader, che ovviamente non era alla mia portata».

Voleva una tua vittoria di tappa.
«M'ha detto: 'Se mi porti a casa una maglia che non sia quella della classifica generale io m'incazzo, voglio che arrivi alla fine!'. E ok: nella prima tappa sono caduta, nella seconda c'è stata una volata e m'è cascata una davanti, che ho centrato. Dopo però ho ottenuto due terzi posti e la vittoria a Schmölln. Quella m'ha fatto scattare la mollettina nel cervello. Dovevo concentrarmi sull'arrivo, provarci di più. Aveva ragione la Pego».

Ma non sei andata forte solo al Thüringen. Durante tutto l'anno hai corso à la Scandolara.
«Sì, quest'anno riguardo alla Cipollini l'ho detto e sempre lo dirò: mi sono trovata benissimo, dai meccanici, alle ragazze, alla nostra presidentessa. Mi sono trovata molto bene con tutti. Se corri con attorno un ambiente che ti fa stare tranquilla è logico che in gara rendi di più. Senza problemi, sono anche maturata fisicamente. La Pego sa creare un bell'ambiente in squadra. Sia alla Gauss che alla Cipollini ero molto serena».

Non è un mistero che tu vada molto forte quando la tua ds è Luisiana Pegoraro.
«La Pego ti sprona a non subire la gara, è una grande motivatrice, una brava ds, mi ci son sempre trovata bene. A livello di testa in Cipollini mi hanno aiutata tutti. Quando c'è un gruppo ben assortito come quello di quest'anno è logico rendere meglio. Io penso che abbiamo dato molto di più di quanto sulla carta potessimo valere. Se valevamo tre (dico per dire eh) abbiamo reso per dieci».

Lasciare un così bel gruppo sarà doloroso per te.
«La decisione non era di andare via dalla Cipollini. È stata dolorosa da una parte, perché il gruppo che avevamo quest'anno era fantastico. C'era una bella atmosfera. Ho preso una decisione, spero di crescere in tutti i sensi all'Orica».

Al Mondiale di Firenze con la maglia dell'Italia © Ambrogio RizziAd approdare in una delle migliori squadre al Mondo ha sicuramente contribuito anche il tuo ottimo Mondiale.
«A Firenze il mio compito era quello di coprire la prima parte di gara, fino al circuito. Per i primi due giri avrei dovuto controllare e vedere come si sarebbe comportato il gruppo, quindi provare ad attaccare. In realtà m'è spiaciuto non dare un po' di più perché onestamente non stavo come il mese prima, quando al Trophée d'Or volavo. Succede, ma m'è spiaciuto non dare di più».

È realistico pensare ad un futuro da capitana in nazionale per te?
«Allora, se a Firenze avessi avuto la gamba del Trophée d'Or non sarei arrivata tanto distante dal gruppo principale. Poi è ovvio, il percorso era un po' troppo duro per me, dal 2012 mi son trasformata tantissimo e non so verso cosa andrò. Le mie compagne, penso a Elisa (Longo Borghini, n.d.r.) o Rossella (Ratto, n.d.r.), hanno meritato di arrivare dove sono arrivate. Quest'anno io, tattica o non tattica, non avrei potuto fare di più, quel giorno. Loro in salita vanno più forte di me ma andrò verso una crescita, si spera, no? L'obiettivo è quello, dare sempre il massimo. Poi se si arriva più in basso va bene uguale, l'importante è provarci».

Hai parlato di un cambio di caratteristiche da parte tua.
«Sì, io non ho mai fatto volate, non mi sento una velocista. Confrontandomi con le junior passate insieme a me, o prima di me, capisco che allora ero molto più veloce di adesso. Ora sono migliorata tanto in salita, sulle salitelle, sugli strappi. Diciamo sulle salite medie. Certamente non sono un corridore da Tour of Qatar o da corse in Olanda, da piattoni insomma. Poi le volate, se mi ci trovo, le faccio ma di certo non sono una velocista pura. Lo spunto veloce, inoltre, o ce l'hai o non ce l'hai. Sono un corridore da volate ristrette, non da volate di gruppo».

Sintesi perfetta di che "animale" sei.
«C'è anche da dire che non si possono sconvolgere le caratteristiche fisiche di un'atleta. Preferisco fare come sto facendo quest'anno anziché diventare una velocista. Naturale che se fossi una velocista pura direi che mi piace la volata di gruppo. Però non mi dispiace ciò che sto diventando, ecco».

In un momento di relax con l'amica Marianne Vos © Anton VosParlavi di gare in Olanda. Hai corso quattro criterium in estate, vincendone uno.
«C'era una settimana di buco tra il Thüringen e la Route de France, Marianne (Vos, n.d.r.) mi aveva invitata, ho accettato al volo. Mi sono divertita tantissimo con loro in Olanda».

Ti piacciono quei criterium?
«Tantissimo, e poi ti danno una gran gamba. È tutto un susseguirsi di attacchi e contrattacchi, curve, così per 60 km. Il primo giorno non sapevo come funzionava, allora ho pensato di fare quello che faceva Marianne, dal riscaldamento in poi. Il bello è che non s'è nemmeno riscaldata, è partita dopo dieci metri, ma non esagero! Io con lei, Brand e Van Dijk a freddo in fuga. Fortunatamente il giorno dopo ha pagato un po' lo sforzo ed ho vinto a Roosendaal battendo Emma Johansson. Mi hanno anche detto che quello è il criterium più importante d'Olanda».

E il pubblico?
«Scherzi? Ce n'è tantissimo ed ha una grande passione. Ad ogni curva, per tutto il circuito, c'è gente che urla, che ti incita. È come il Tour. Quasi...».

A proposito, sei una delle grandi sostenitrici della petizione per avere un Tour de France femminile.
«Io penso che ci debba essere un Tour al femminile, su questo siamo d'accordo tutti».

Mica tutti tutti in realtà. Prendi Rochelle Gilmore o Laura Trott...
«Certo, la Gilmore sostiene che il femminile debba essere promosso attraverso altri canali, non con un Tour femminile. È semplice dir questo quando sei a capo della squadra femminile con più budget al mondo, o quando si va in tv e si esce spesso sul Guardian. Anche la Trott non ritiene necessaria la convivenza di corse maschili e femminili. Grazie tante, corre in pista insieme agli uomini! Io ci sono stata in Inghilterra e nei negozi di articoli sportivi come testimonial della Adidas ci sono anche le cicliste, le campionesse olimpiche. Dovrebbero sapere che in Olanda e in Italia le cose sono un po' diverse».

Ecco, da dove partiresti per migliorare il ciclismo femminile?
«Intanto si dovrebbero affiancare le gare maschili a quelle femminili. Chiederei poi maggior appoggio da parte dei media, in generale. Poi ci sono le squadre; ad esempio per ciò che riguarda la situazione italiana chiederei un po' più di serietà. Attualmente ci sono un paio di squadre affidabili da noi, non di più».

Purtroppo è così, ma come si sbroglia la matassa?
«In Italia c'è una gran chiusura mentale. Per esempio, un'altra cosa che chiederei alle squadre maschili sarebbe creare una sezione femminile. L'investimento sarebbe minimo, se ci dessero anche la struttura la spesa diminuirebbe ancora. Il ciclismo femminile italiano ne uscirebbe molto arricchito».

Sul podio di Roosendaal con la nuova capitana all'Orica-AIS, Emma Johansson © Anton VosAll'estero molte squadre maschili hanno anche quella femminile.
«Certo, basti prendere la Rabobank, l'Orica, la Argos, pure la Lotto, che fa una squadra piccolina ma esiste. Negli Usa dal 2014 ci sarà la Unitedhealthcare. In Italia la Cipollini ha un po' della Vini Fantini, anche se non tanto. Un altro fatto che arricchirebbe è avere i ds che hanno lavorato nel maschile per le squadre femminili. La Rabobank con Koos Moerenhout lo fa, per esempio. Il ciclismo maschile è avanti in tutti i sensi. Le squadre maschili sono più professionali in ogni campo, dal nutrizionista fino ad arrivare al meccanico».

E non si può trascurare la sicurezza.
«Già, la sicurezza è molto importante. Qui però voglio fare una precisazione, non per difendere le gare di fine stagione, dove sono successi fatti che non si possono sostenere in una corsa. Però in Olanda la situazione non era molto migliore: strade strette, macchine parcheggiate... Quello che chiediamo è la sicurezza minima, in modo da sapere che non vai a morire in gara! Al Toscana le ragazze, sia quelle che hanno scioperato e non sono partite, sia quelle che hanno corso una tappa neutralizzata, l'hanno fatto per le ultime, che in generale sono le meno protette dal traffico e da altri imprevisti. Questo non l'ha detto nessuno, mi pare».

In conclusione, il ricordo più bello della tua stagione 2013?
«Sicuramente la vittoria al Thüringen, ma pure quella in Olanda, al criterium di Roosendaal, è prestigiosa. In fondo ho battuto Emma Johansson in uno sprint a quattro».

E qui torniamo al discorso di partenza, l'Orica. Come ti senti ad essere stata scelta da loro?
«Soddisfatta. Anzi no, quando si è soddisfatti ci si adagia sugli allori... Mi sento motivata, ecco. Sarò una delle tre straniere in una squadra australiana, che lavora per lo sviluppo del ciclismo australiano. Le altre due straniere sono Emma Johansson e Loes Gunnewijk... Evidentemente l'Orica ha visto in me qualcosa. Ed io intendo dare il massimo, migliorandomi rispetto a quest'anno per dimostrar loro che ciò che di buono hanno visto in me c'è».

Francesco Sulas

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