Elezioni UCI: Cookson, attento all'italian job! - Se qualcuno "tradisce", McQuaid resta in sella
Versione stampabile"Italian job", nella traduzione letterale, vuol dire "lavoro italiano", o meglio, "lavoro all'italiana". Inutile dire che nel mondo anglosassone tale locuzione non ha un'accezione propriamente positiva, tutt'altro: indica un colpo gobbo, una truffa, addirittura un ladrocinio, messo a segno secondo le logiche della riconosciuta furbizia italica. Perché ci viene in mente questo modo di dire, a meno di una settimana dalle elezioni per la presidenza dell'UCI? Semplicemente perché nel congresso dell'Unione Ciclistica Internazionale in programma venerdì a Firenze, c'è qualche rischio che si manifesti proprio un colpo gobbo "all'italiana". E non solo perché l'assemblea che eleggerà il nuovo presidente si svolgerà appunto in Italia.
Qualche giorno fa, in un articolo che approfondiva i motivi che porterebbero alla decadenza (usiamo un termine in voga...) di McQuaid (a questo link), non trascuravamo di riportare quanto segue: "per quel che riguarda l'irlandese [...] c'è solo la volontà, ormai scoperta e palese, di controllare i 42 delegati che venerdì 27 eleggeranno il nuovo presidente. [...] I 14 delegati della UEC (Unione Ciclistica Europea) [...] saranno chiamati ad appoggiare Cookson dopo il voto dell'assemblea della stessa UEC, nei giorni scorsi. La speranza di Pat è che, nel segreto dell'urna, qualcuno di questi tradisca il mandato e si vada a unire a quelli (in larga parte africani e asiatici) che invece sono dalla sua parte. [...] Le cose che avvengono nei palazzi spesso sfuggono alla logica delle persone semplici, quindi non possiamo dare nulla per scontato o per impossibile: ci sta anche che McQuaid riesca nel suo ardito progetto e ottenga la rielezione, per quanto ciò possa sembrare inattuabile".
Oggi facciamo un po' di conti, andando a vedere chi sono i famosi 42 delegati che decideranno del futuro del ciclismo, e come potrebbero votare, per capire se effettivamente Brian Cookson, lo sfidante del presidente uscente, ha in tasca i numeri per riuscire a farsi eleggere a capo dell'UCI.
I 42 sono così suddivisi, per continenti: l'Europa ne esprime 14, l'America e l'Asia 9, l'Africa 7, l'Oceania 3. Per vincere occorrono 22 voti, e come vedremo la lotta per conquistare preferenze sarà all'ultimo delegato.
Partiamo dal presupposto che McQuaid, come scrivevamo martedì, ha lavorato bene dal punto di vista della globalizzazione del ciclismo, e gode quindi di simpatie nei continenti emergenti (o emergendi). Sapendo bene, da vecchia volpe di palazzo, che i contatti bisogna comunque continuare a curarli nel tempo, Pat ha pensato bene di presenziare, in Sudafrica (in occasione dei Mondiali di MTB di Maritzburg), al congresso della federazione continentale africana da cui sono emersi i 7 delegati per Firenze. Il numero 1 dell'UCI ha pure promesso al Sudafrica l'organizzazione del World Cycling Forum nel 2016, e guardacaso, nessuno degli oppositori di Pat (pensiamo al presidente della federciclo algerina, o a quello senegalese) è stato eletto. Sudafrica, Kenya, Mozambico, Costa d'Avorio, Sierra Leone, Ruanda e Marocco le nazioni che saranno rappresentate nel congresso UCI.
Anche per quanto riguarda i delegati provenienti dall'Asia, McQuaid dovrebbe giocare sul velluto, visto che tra Cina e dintorni gode di appoggio incondizionato: i 9 voti asiatici gli proverrebbero da Malesia, Thailandia (federazioni che lo stanno fiancheggiando nel tentativo di cambiare le norme elettorali in suo favore: ne abbiamo parlato l'ultima volta nell'articolo linkato sopra), Bahrein, Qatar, Kazakistan, Corea del Sud, Giappone, Hong Kong e appunto Cina.
9 voti asiatici + 7 voti africani, e siamo a 16: all'irlandese ne mancherebbero ancora 6 per fare bingo.
Non li troverà quasi certamente nei 3 delegati oceanici, due dei quali (l'australiano Mueller e il neozelandese Leggat) sono da tempo apertamente schierati con Cookson; qualche dubbio potrebbe sussistere sul terzo rappresentante, proveniente dalle Isole Fiji, ma assumiamo che anche lui voti per lo sfidante. Arriviamo a 16-3 per McQuaid.
La UEC, Unione Ciclistica Europea, ha dato mandato (previa votazione la scorsa settimana) ai suoi 14 delegati di esprimere la preferenza per Cookson. Tale mandato è obbligatorio, ma solo sulla carta, visto che il voto in sede congressuale sarà segreto, e quindi... Ma per ora diamo per assodato che tutti i 14 saranno fedeli al mandato: si va a 17-16 in favore dello sfidante.
Rimangono i 9 delegati del continente americano: Steve Johnson, presidente della federazione statunitense, è tra i più fervidi sostenitori di Cookson, e non c'è dubbio che possa coagulare intorno a sé un gruppetto di delegati (ad esempio quelli provenienti da PortoRico, da Saint Vincent, dal Messico, dalla Repubblica Dominicana). Più a sud, invece, crescono i consensi per McQuaid, per cui si può ipotizzare che i rappresentanti di Guatemala, Argentina (Gabriel Curuchet), Colombia e Brasile diano la loro preferenza al presidente uscente. 5-4 per Cookson, quindi, e la somma va a 22-20 in favore dello sfidante.
Tutto chiaro, tutto risolto? Neanche per sogno. È qui che entra in gioco il rischio di "italian job" a cui facevamo riferimento in apertura. Insomma, la magata: senza girarci tanto intorno, è chiaro che se qualcuno non tiene fede al mandato, i conti non tornano più. E andiamo quindi a esaminare il cuore della questione, ovvero quei 14 delegati europei.
Alcuni di loro (il belga Maréchal, l'austriaco Massak, il norvegese Tiedemann, l'olandese Wintels, il francese Roy, il tedesco Kirsch) sono da tempo contrapposti a McQuaid e schierati con Cookson. 6 dei 14 voti li diamo per sicuri, quindi. Il settimo giungerà dal britannico Jackson, per il quale non è assolutamente ipotizzabile un tradimento al connazionale (anche se un blog vicino a McQuaid, mcquaidvscookson.wordpress.com, ha fatto del terrorismo psicologico, mettendo in dubbio la fedeltà di Jackson e provando così a seminare zizzania nelle "file nemiche"). Difficile anche pensare che la svedese Mattsson infranga il mandato UEC, e impossibile pensarlo per la russa Lesnikova (la quale, nel caso, incorrerebbe nelle ire dell'oligarca Makarov, capo del ciclismo russo che si sta spendendo in favore di Cookson). Siamo a 9 su 14.
Più sfumata la posizione dei rappresentanti di Repubblica Ceca (Svoboda), di Slovacchia (Privara), e di un paio di piccoli paesi come Lussemburgo (Regenwetter) e Principato di Monaco (Langellotti). Il 14esimo delegato europeo è Giovanni Duci, vicepresidente della FCI e fedelissimo di Renato Di Rocco. Ed eccoci finalmente all'"italian job".
Un sistema che agisce senza interferenze seguirà probabilmente la via maestra, senza deviazioni. Ma qualora qualche interferenza ci fosse? Tra i delegati di venerdì 27, quello che rappresenta l'Italia è l'unico, tra i grandi paesi del ciclismo, a non avere espresso un appoggio chiaro e incondizionato a Cookson, secondo quanto prevederebbe il voto della UEC. Lo stesso Di Rocco, del resto, non ha parlato. Sta ancora annusando l'aria, o semplicemente si rende conto dell'impossibilità di un suo riposizionamento, dopo essersi in questi ultimi anni legato in maniera siamese alle sorti di McQuaid?
Tanto per dire, Di Rocco è nell'Executive Board dell'UCI (insieme a McQuaid e altri due membri), ovvero nell'ente che un paio di settimane fa ha rigettato la richiesta - proveniente da 6 federazioni nazionali - di rivolgersi al TAS per chiarire la legittimità o meno della proposta malese sul cambio delle regole elettorali (per approfondire, cliccare sempre qui). In parole povere, questo cambio di regole sarebbe favorevole a McQuaid, e Di Rocco lo appoggia su tutta la linea, con tutto il potere politico di cui dispone.
In questo congresso, Renato gioca chiaramente in casa, e conosce peraltro alla perfezione i meccanismi elettorali del ciclismo, e soprattutto i modi per convincere i delegati a passare da una parrocchia all'altra (ne ha dato ampia dimostrazione in occasione delle elezioni per la FCI, in gennaio a Levico Terme, dalle quali è uscito vincitore contro ogni pronostico). Saranno, da qui a venerdì, giorni convulsi, pieni, ricchi di trattative e tentativi di influire sul voto del congresso. Basterebbe del resto che Duci votasse per McQuaid (tradendo il mandato UEC) per avere un 21-21, rispetto al conteggio che abbiamo riportato più su.
Basterebbe che Di Rocco (che ovviamente graviterà in zona facendo gli onori di casa) convincesse un paio di delegati europei, ed ecco che il risultato diverrebbe magicamente un 23-19 per McQuaid, una vittoria quasi schiacciante per Pat insomma. Non sarà un caso se David Lappartient, presidente della UEC, ha messo le mani avantissimo, l'altro giorno, dichiarando che "non possiamo controllare, nei fatti, il voto dei nostri delegati: non saremo accanto a tutti loro, quando metteranno la loro scheda nell'urna...". Certo, sperano che tutto vada secondo quanto stabilito dal voto (pro Cookson) in sede di federazione europea, ma sanno benissimo che l'"italian job" è sempre in agguato, tantopiù in Italia, tantopiù con un delegato italiano di mezzo, il cui voto ha un valore marginale altissimo.
Poi magari vedremo che Di Rocco scaricherà McQuaid (ma perché non ha ancora preso posizione? Renato, parla, di' qualcosa, esprimiti!!!), oppure vedremo che il versante di Cookson utilizzerà gli stessi mezzi che sta per usare McQuaid (è impossibile pensare che Makarov estenda la propria influenza sul delegato kazako, ad esempio, spostando quel voto da Pat a Brian?); o ancora scopriremo che dalle Americhe ci sarà un plebiscito per Cookson. Ma al momento, al di là delle certezze esibite dallo sfidante, emerge chiaro una volta di più come, in sede di assemblee politico-sportive, più che i fatti, più che il valore dei contendenti, più che il peso dei paesi di grande tradizione, finiscono con l'essere determinanti i voti delle piccole federazioni: quelle più facilmente influenzabili dal potente di turno. O dai suoi amici più stretti...
(Elenco dei delegati raccolto su zonamatxin.matxin.es)