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Elezioni UCI: McQuaid, parte il magheggio - Una norma last-minute per salvare la candidatura di Pat

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Pat McQuaid: sarà difficile scalzarlo dalla poltrona di presidente UCI © www.telegraph.co.ukIl metodo Pat, eccolo qui pronto per chi pensava che il presidente dell'UCI McQuaid andasse alle prossime elezioni di settembre vestito di un'armatura di cartapesta. No way, direbbe lui stesso, manco a pensarci: bisogna prendere tutte le opportune contromisure per impedire scherzi, che dal suo punto di vista significa "per impedire di non essere rieletto per la terza volta alla poltrona più importante del ciclismo".

I fatti, li riepiloghiamo in poche righe: in settembre (il 27), a margine dei Mondiali di Toscana, si svolgerà l'assemblea elettiva per la presidenza dell'UCI. I candidati sono solo due: uno è Pat McQuaid, ben noto a tutti; l'altro è Brian Cookson, gran capo di British Cycling (la federciclismo britannica), ovvero colui che ha partorito e guidato il miracolo ciclistico di Londra, Manchester (il velodromo!) e dintorni: se il Tour de France è stato vinto da due inglesi di fila, se un altro inglese (sprinter) è uno dei corridori più in vista del professionismo, se la squadra professionistica più importante al mondo è inglese, se la pista britannica miete successi ad ogni Mondiale e Olimpiade, e se - a corollario di tutto - la moda del ciclismo è esplosa tra i sudditi della Regina, beh, tutto ciò è il frutto del gran lavoro iniziato 16 anni fa da Cookson.

Ciò non significa che automaticamente l'inglese del Lancashire sarebbe il presidente ideale per l'UCI (più in là andremo alla scoperta del personaggio e del suo programma), ma sicuramente Cookson rappresenta - quantomeno in sede elettorale - un'alternativa credibile alla satrapia irlandese del vecchio Gabbo.

A questo, cioè al valore della figura di Cookson e al peso che può avere in assemblea, si aggiunge il pasticciaccio che ha accompagnato la candidatura di McQuaid: il presidente uscente, dopo un batti e ribatti in casa sua, non ha ricevuto l'appoggio della federciclismo irlandese per la propria candidatura; poco male, avrà pensato, visto che nell'attesa di sapere se i suoi connazionali l'avrebbero sostenuto, Pat si era fatto candidare dalla federciclismo svizzera (lui ha residenza nella Confederazione Elvetica), per la quale pure era tesserato. Ma al momento del tesseramento con la federazione irlandese, McQuaid aveva dichiarato il falso, ovvero di non essere tesserato per altre federazioni.

Quindi, punto primo del pasticcio: McQuaid è tesserato per (almeno) due federazioni nazionali, quella irlandese (che l'ha scaricato) e quella svizzera (che lo appoggia); e per la federciclo d'Irlanda a causa di ciò è passibile di sanzione.

Punto secondo del pasticcio: anche in Svizzera non è che tutti stiano facendo la hola per l'endorsement della federciclo di casa pro McQuaid. E quasi due mesi fa alcuni tesserati di Swiss Cycling (la federciclo elvetica, appunto), nella fattispecie Patrick Calcagni (ex professionista), Kurt Buergi (ex ct) e Mattia Galli (membro del board di tale federazione), hanno promosso un'azione legale contro la stessa Swiss Cycling, accusata di aver appoggiato McQuaid tramite una manovra illegittima e contraria allo statuto della federazione stessa, oltre che macchiata da conflitto d'interessi (quelli di Pat in Svizzera sono tanti e ramificati) e resa necessaria solo dalle personali istanze di McQuaid (che aveva bisogno di dribblare il niet ricevuto dalla federazione irlandese).

I proponenti causa sono spalleggiati - anche economicamente - dall'imprenditore australiano Jaimie Fuller, che è l'animatore di Change Cycling Now, movimento d'opinione che nei mesi scorsi era parso sul punto di produrre un proprio candidato all'UCI (si parlava di Greg Lemond), ma che alla lunga si è dimostrato più che altro un modo - per lo stesso Fuller - per fare pubblicità alla sua azienda, il cui marchio non manca mai di essere apposto ad ogni iniziativa di Change Cycling Now (è presente anche nei comunicati diffusi in merito a questa causa svizzera). In ogni caso, il Tribunale di Arbitrato ha fissato l'udienza per il 22 agosto, a Zurigo, e in quell'occasione dovrebbe essere sentito pure lo stesso McQuaid, a poco più di un mese dall'appuntamento elettorale.

Cosa rischia allora McQuaid? In Irlanda potrebbe essere buttato fuori dalla federciclismo nazionale, ma fondamentalmente gli interessa poco, visto che è affiliato anche altrove. In Svizzera - malgrado la denuncia che ha subìto sia abbastanza fumosa (se non si è capito, non nutriamo molta fiducia nell'operato di Fuller, che pare tutt'altro che disinteressato) - se gli va male - ed è difficile che avvenga - rischia che Swiss Cycling debba ritirare il proprio appoggio alla sua candidatura.

Ecco allora che, a 2 mesi dall'assemblea elettiva di Firenze, Gabbo, da perfetto animale da palcoscenico, tira fuori il colpo di teatro. Estrae l'asso dalla manica. Spara la cartuccia di riserva. Lunedì sera l'UCI ha diffuso un comunicato contenente alcune notizie clamorose. La più importante che si desume da tale comunicato è che ora McQuaid non è più sostenuto solo da Swiss Cycling, ma anche dalle federazioni nazionali marocchina e thailandese, alle quali è parimenti affiliato: insomma, il presidente UCI ha lavorato nell'ombra in questi mesi per ottenere affiliazioni a destra e a manca, e appoggi alla sua candidatura da diversi soggetti federali sparsi in tutto il mondo.

Non solo! Il comunicato segnala che il Congresso UCI (che si svolgerà in concomitanza con le elezioni) sarà chiamato a discutere - e possibilmente approvare - una nuova proposta che viene dalla federciclismo malese e dall'Unione Ciclistica Asiatica, e che riguarda una modifica permanente all'articolo 51 dello statuto UCI. Tale articolo specifica che un candidato presidente debba essere proposto dalla propria federazione d'appartenenza, entro e non oltre 90 giorni dalla data del Congresso.

Ora, i bravi asiatici (da sempre fedeli sostenitori di McQuaid) vorrebbero assicurare maggiore indipendenza al futuro presidente, aggiungendo la possibilità che anche due federazioni qualsiasi si mettano d'accordo per candidare al ruolo di numero 1 dell'UCI una persona non affiliata presso di loro. Tutto ciò - dicono - per far sì che il presidente non si senta legato alla federazione d'appartenenza, ma tratti tutti allo stesso modo. Se per qualche motivo dovesse cadere anche l'appoggio delle federazioni thailandese e marocchina alla candidatura di Pat, quindi, si potrebbero pur sempre trovare altre due federazioni (Tonga e Mauritania, ad esempio, perché no?) che decidano di candidare McQuaid, nonostante egli non sia tesserato presso di loro.

Dice: ma farebbero in tempo? Il limite dei 90 giorni è stato già superato da un mese abbondante. Ecco che la notoria saggezza UCI ci viene in soccorso: visto che questa proposta è venuta fuori dopo la scadenza dei limiti per la presentazione delle candidature, SOLO E SOLTANTO per queste elezioni si applicherà una deroga, per dare la possibilità ad altre federazioni nazionali (che fin qui non sapevano di poter fare ciò), di proporre nuovi candidati. La nuova data di scadenza è il 30 agosto. Guarda caso, una data che viene dopo l'udienza di Zurigo: venissero da lì dei grattacapi per Pat, ci sarebbe ancora una settimana abbondante per trovare due federazioni pronte a candidarlo. Certo, sarebbe fantastico se fosse proprio la FCI, la Federazione Italiana, a incaricarsi di una simile incombenza... Ma non precorriamo i tempi.

Il Congresso, come detto, voterebbe quindi la validità della proposta asiatica e - in caso positivo - renderebbe ufficialmente candidabili i nomi che dovessero uscire da qui al 30 agosto; in caso contrario, tali nomi - così come la proposta last-minute - diverrebbero illegittimi. Si sa peraltro che l'attuale Congresso è molto favorevole a McQuaid, il quale quindi sa di poter operare sul velluto. Tanto a lui importa ottenere quello che si è prefissato, con qualsiasi mezzo; e se qualcuno fuori dal palazzo strepita, a Pat poco interessa.

Le reazioni a tanto ardito progetto non si sono comunque fatte attendere, e il primo a prendere posizione è stato, ieri, proprio Brian Cookson, che ha accusato senza mezzi termini McQuaid di falsare la competizione elettorale: «La proposta di modifica della procedura elettorale è inaccettabile, oltre che contraria allo statuto UCI. Ho scoperto solo ora, da questo comunicato, che avrei potuto chiedere l'appoggio di altre federazioni oltre che della mia. Sto aspettando delle risposte dal direttore generale dell'UCI in merito a tutto ciò, ma mi sembra che, nella migliore delle ipotesi, tutto ciò influisca negativamente sulla validità del processo elettorale; nella peggiore delle ipotesi, possiamo parlare di un vero e proprio tentativo di manipolare le elezioni in modo antidemocratico».

A Cookson fa eco il presidente della federciclismo statunitense, Steve Johnson: «In questo momento critico per il nostro sport, dobbiamo esigere il rispetto rigoroso dei principi di integrità, correttezza, trasparenza, condotta etica e buon governo. Un improvviso cambiamento in corsa delle procedure che disciplinano le elezioni è in contrasto con questi principi e non diverso dal cambiare le regole di una gara ciclistica dopo che la gara è iniziata».

Insomma, da una parte abbiamo il dominus dell'UCI che, approfittando palesemente della posizione di presidente, cerca di eliminare dal proprio cammino ogni ostacolo, senza badare troppo all'etica (ma ammantando in maniera - ci si consenta - ridicola il tutto: "onde dare maggiore indipendenza al futuro presidente", ma non fateci ridere!). Dall'altra parte, quel che sarebbe "il nuovo che avanza" si scontra con apparati di potere sclerotizzati negli anni, i quali renderanno quantomai difficile un ricambio ai vertici dell'ente in questione.

Una situazione che abbiamo vissuto pochi mesi fa con l'elezione di Renato Di Rocco al terzo mandato in FCI: chi è in posizione dominante, tende a non farsi scrupolo di utilizzare questo vantaggio in termini elettorali. McQuaid, pur screditato negli anni in tutti i modi (e coinvolto con l'affaire Armstrong, non dimentichiamolo), pur detestato da tanta parte del ciclismo mondiale, tenta di fare la stessa identica cosa, puntando sul controllo del Congresso ("prometto questo e prometto quello e prometto tutto quel che posso e pure quel che non potrei"), e sulla possibilità di far ruotare l'interpretazione delle regole in proprio favore. Il risultato di tali manovre, per Di Rocco, fu altamente positivo, visto che ne venne la terza elezione (con vittoria schiacciante). Non dubitiamo che Pat guardi a quanto accaduto all'assemblea FCI di Levico Terme come a un esempio fulgido di ciò che dovrà accadere a Firenze, affinché egli perpetui il proprio potere per un altro quadriennio.

Marco Grassi

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