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Presidenza UCI: Pat come Nibali: senza rivali - Malgrado gli scandali, McQuaid verso la rielezione

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La visita di Pat McQuaid al recente Giro d'Italia © BettiniphotoAncora 4 mesi fa, in pieno scandalo Armstrong (nei giorni successivi alla famosa intervista di Oprah Winfrey a Lance), in quanti avrebbero scommesso su una rielezione di Pat McQuaid alla guida dell'UCI? Proprio a fine gennaio la fumosissima Commissione Indipendente creata poche settimane prima dall'UCI perché indagasse (...) sulle eventuali responsabilità dell'Unione Ciclistica Internazionale stessa in merito alle coperture di cui il texano avrebbe goduto in sede istituzionale, si dissolveva nel nulla che l'aveva generata: dichiarata non affidabile dall'USADA (ovvero l'ente che ha inchiodato Lance), veniva fatta decadere dall'UCI, che da lì in poi ha comunicato ufficialmente sul caso Armstrong solo per bocca del suo presidente McQuaid.

Un McQuaid che ovviamente in questi mesi si è affannato a smentire qualsiasi responsabilità dell'organo da lui diretto, e a minimizzare la portata dello scandalo rimbalzato dall'America agli uffici di Aigle. Tutto va bene madama la marchesa, e la sordina messa ai discorsi sul coinvolgimento dell'UCI ha aiutato il presidentissimo irlandese a riguadagnare posizioni. Il sistema di voto per le federazioni internazionali, basato sulle preferenze espresse dalle singole federazioni nazionali, garantiva comunque la terza rielezione a Pat (intrallazzatissimo in tutto il mondo, e sempre in grado di drenare i voti necessari). Però l'idea di avere un chairman screditato dal punto di vista dell'immagine, tantopiù su un tema - quello del doping o meglio dell'antidoping - teoricamente centrale nel suo operato (e nella sua nuova campagna elettorale), avrebbe potuto spingere più di una federazione a negare l'appoggio a McQuaid. Al momento, a meno di quattro mesi dall'appuntamento assembleare (in programma nei giorni dei Mondiali di Firenze), il lavoro di recupero d'immagine di Pat può dirsi a buon punto. E se non verranno da Travis Tygart (l'investigatore del caso Armstrong) novità su precise responsabilità dell'UCI e dei suoi dirigenti, è facile che McQuaid si presenti in Toscana con la rielezione già in tasca.

Anche un'altra questione che poteva essere molto negativa per McQuaid finirà col risolversi in un nulla di fatto. La sua federazione d'appartenenza, quella irlandese, aveva in un primo momento accordato il sostegno (necessario per presentare la candidatura all'UCI) al presidente uscente; senonché, dopo gli sviluppi del caso Armstrong, questo sostegno è stato subordinato all'appoggio delle singole società tesserate per la federciclismo dell'Eire. Il 15 giugno si terrà la riunione di tali società, chiamate a esprimere il proprio giudizio. Ergo: se gli dicono di no, McQuaid resta fuori dai giochi? Macché, infatti nel frattempo la federciclismo svizzera, ovvero quella del paese in cui Pat ha preso la cittadinanza nel 2005, si è affrettata ad aprire l'ombrello sull'uomo di Dublino: «Lo candidiamo noi, se gli irlandesi gli voltano le spalle».

Utilità, a questo punto, dell'assemblea irlandese del 15 giugno? Prossima allo zero. Però a questo appuntamento si allaccia oggi una campagna (che vorrebbe essere virale) lanciata da Change Cycling Now. Piccolo passo indietro: cos'è Change Cycling Now? È un movimento nato lo scorso anno intorno ad alcuni soggetti antitetici a McQuaid e alle sue politiche (giornalisti, medici ex UCI, dirigenti di squadre, direttori sportivi, ex professionisti con la voglia di far qualcosa per il ciclismo, capitani d'azienda, professori universitari). Dopo un promettente inizio, imperniato su un meeting (a cui partecipò anche Gianni Bugno) da cui pareva prendere quota una candidatura di Greg Lemond, il CCN si è accartocciato su se stesso, passando da varie vicissitudini (a partire dal fatto di essere scaricato dal dottor Michael Ashenden, grande accusatore della corruzione nella gestione del Passaporto Biologico da parte dell'UCI, uscito dal movimento proprio a fine gennaio) e finendo col diventare trasparente fino ad oggi.

La campagna in questione è comparsa sui social network e si propone di invitare le società ciclistiche irlandesi a votare No a McQuaid il prossimo 15 giugno. Il già citato impegno degli svizzeri in soccorso di Pat rende però quantomeno poco utile - se non a livello simbolico - la portata di tale campagna, anche qualora dovesse effettivamente avere successo. Altro elemento: sul manifesto che circola in rete compare un McQuaid stilizzato (Obama-style) con la bocca coperta dal logo di un'azienda di abbigliamento sportivo. Azienda di proprietà di Jaimie Fuller, australiano e vero ispiratore di Change Cycling Now. Appare chiaro anche agli occhi più trasognati che qui c'è qualcuno in cerca di pubblicità, piuttosto che di un rinnovamento del ciclismo.

Ma allora, questo benedetto cambio della guardia in seno all'UCI, come potrà mai realizzarsi, se McQuaid è ancora politicamente fortissimo? Le federazioni figlie del ciclismo globalizzato - Asia e Africa - voteranno tutte per lui; e anche molte federazioni della vecchia Europa (ce lo vedete Di Rocco votare contro lo status quo, a meno che non annusi che il vento è già cambiato?).

Non solo politicamente saldo, ma anche senza avversari, il buon Pat: perché al momento, al di là di qualche voce lanciata nel mucchio non si va (oltre a Lemond si era parlato nei mesi scorsi del britannico Brian Cookson, o del francese David Lappartient, o del belga Tom Van Damme, o del russo Igor Makarov, ma tutte queste ipotetiche candidature sono presto tramontate). È triste dirlo, ma non si vede, all'orizzonte, un progetto alternativo al ciclismo di McQuaid (e di Verbruggen). A 4 mesi dalle elezioni, non c'è sulla piazza un candidato che coaguli forze, risorse, idee intorno a sé e a una nuova visione di questo sport. Che perda pure lo scontro (visto che è difficile scalzare un presidente in carica, stanti le attuali regole di voto), ma che almeno dia segno di esserci. E invece niente.

Il ciclismo, sempre pronto al lamentoso biascicare dei suoi protagonisti, al momento in cui si dovrebbe quagliare, si mostra ancora una volta pavido e diviso in mille fazioni. E si va a finire che chi è più forte fa valere la propria legge, anche a dispetto di risultati reali che dovrebbero legittimare un cambio di rotta a livello dirigenziale e politico. L'unica possibilità di liberarsi di McQuaid e del suo codazzo (formato anche da diversi suoi parenti, da lui sistemati in posizioni strategiche nel mondo del ciclismo) risiede quindi nel citato Tygart: solo se dagli Stati Uniti verranno conferme di un pesante coinvolgimento dell'UCI di Pat nelle magagne armstronghiane, solo in quel caso potremmo ritrovarci a Firenze con un presidente diverso. Ma sarebbe, questa, una vittoria per il ciclismo?

Marco Grassi

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