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Doping&Antidoping: Armstrong-USADA, la futile inchiesta - Lance indagato, a rischio i 7 Tour. Servirà a qualcosa? Ovviamente no

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Lance Armstrong e Johan Bruyneel, dagli altari alla polvere © BettiniphotoIn certe giornate, davanti a certe notizie, non sai se sia più corretto citare un Cesare Beccaria (Dei delitti e delle pene) o piuttosto una Sandra Mondaini (Della barba e della noia), perché se da un lato salta all'occhio come solo e soltanto nel ciclismo ci siano delle tanto evidenti storture del diritto (un esempio: la prescrizione elastica...), dall'altro ci si rende conto che questi discorsi li abbiamo fatti e sentiti talmente tante volte che non ne possiamo più: siamo stufi. Sempre noi (il ciclismo) e lui (il doping/antidoping), lui e noi.

Il caso del giorno riguarda Lance Armstrong. Ora, il vecchio Lanza (ci si perdoni l'affettuoso - ma non troppo - nomignolo) se ne stava bel bello a fare l'uomo di ferro nel triathlon, l'amore dei suoi esordi tornato per lui d'attualità ora che ha superato quota 40 (anni). Inanellando record che a 20 anni potevano sembrargli ipotetici, e oggi invece lo stuzzicherebbero a far di più e meglio, il texano non dava più segno di deleteri nostalgismi rispetto al ciclismo pedalato. Quei nostalgismi, per intenderci, che nel 2009 lo riportarono in sella per un paio di stagioni illuminate giusto da un podio al Tour e da un po' di mobbing ai danni di Contador, in Astana. Nel 2010 il rendimento di Lance fu già in caduta libera, quindi, senza più rimpianti, tra un Down Under e l'altro, ciao ciclismo e a mai più rivederci.

E invece la portata Armstrong si ripresenta, al ciclismo, in maniera che promette d'essere indigesta. L'uomo più temuto e rispettato ai tempi del settennato all'Eliseo, ora non è più né temuto né rispettato. Qualcuno si è messo in testa di rovinargli, ex post, la carriera. La USADA, per la precisione, ovvero l'agenzia antidoping americana, la quale, al contrario di quanto fatto dalla Food&Drug Administration qualche mese fa (caso Lance archiviato dopo due anni di indagini), non è stata clemente, ma ha chiamato l'ex campione a rispondere - in correità con altri 5 - di varie simpatiche cosette come possesso, uso e spaccio di sostanze dopanti, e tutto il corollario di reati e reatini (non nel senso laziale del termine) che in genere si accompagnano a queste vicende.

I 5, oltre a Braccioforte, hanno nomi che vanno dal poco intrigante (i medici Celaya - che cura la RadioShack - e García del Moral) all'interessante (Pepe Martí, che fu allenatore di Contador), al clamoroso (Michele Ferrari e Johan Bruyneel, entrambi legati a doppio filo, chi per un verso e chi per l'altro, ai successi di Lance). La USADA, in base a nuove prove (che poggiano anche su controlli effettuati sul corridore proprio negli anni del suo rientro, 2009 e 2010) e a vecchie e rinnovate testimonianze, ha aperto ufficialmente una procedura contro i 6 (si parla di doping di squadra dal '98 al 2011) e ora, se fossimo cinici e faciloni, saremmo qui seduti col popcorn ad aspettare gli sviluppi dell'"appassionante" film.

Ma siccome il ciclismo ci sta pur sempre a cuore, a stento soffochiamo un rigurgito e notiamo alcuni particolari. Intanto: dev'essere una bella trovata, quella di spostare il problema doping dal presente gareggiato a un continuum spazio-temporale (e così facciamo contenti i fan di Star Trek) che va da 15 anni fa (quando iniziò l'epopea) a un futuro inconoscibile (quando arriverà l'eventuale sentenza su fatti di due decadi prima). Dice: ma non c'era la prescrizione dopo 8 anni? Beh, per fatti così gravi ci sta che tale misura venga trascurata.

Domanda: ma quanti sono quelli che indagano sul ciclismo? Puoi averla sfangata dall'UCI, dalla WADA, dalla Federazione Francese, dall'FBI&consimili, ma stai pur certo che alla lunga una nuova agenzia emergerà per metterti al tuo posto e minacciarti di toglierti un tot di 7 Tour.

Altra domanda: serve a qualcosa tutto ciò? Ovviamente no, non serve al ciclismo e non serve neanche alla giustizia, però al fatto che nel mondo non ci sia giustizia ci abbiamo fatto il callo, invece non siamo ancora abituati all'idea che nel mondo non ci sia il ciclismo. E già, perché una vicenda del genere, con non meglio precisati attori (chi li ha scritturati?) che minacciano di riscrivere classifiche a distanza di 15 anni (per attribuire quei successi a corridori spazzati via da Operación Puerto, magari...), sarebbe veramente la sconfessione totale di uno sport che non ha mai maturato anticorpi necessari a fronteggiare simili eventualità.

Anzi, diciamo che il ciclismo ci ha sguazzato, in casi del genere (memorabile la revoca del titolo conquistato da Riis, mai divenuta effettiva perché venuta - nel 2007, dopo la confessione di Bjarne - a 11 anni di distanza dalla vittoria del danese alla Grande Boucle: si invocò per l'appunto quella prescrizione che oggi chissà dove finirà). Non serviva togliere a Riis la maglia gialla di oltre un decennio prima, non serviva perché tutti - anche gli appassionati - sapevano chi fosse Monsieur 60%, la storia insomma aveva già scritto la sua verità.

Così come l'ha scritta su Armstrong, su un modo di correre (40 giorni all'anno) antitetico allo sport e - vien da dire - cartina di tornasole di certe pratiche; una verità che c'è da tempo e che va oltre quello che potrà essere rappresentato da una vuota sentenza, perché, in realtà, sapevamo già tutto. Bastava volerlo sapere, bastava volerlo capire, e chi non l'ha voluto capire non lo capirà nemmeno oggi (altra citazione). Il "sistema", che esiste sotto altre forme in tempi, oggi, di Passaporto Biologico (l'unica novità davvero interessante nel panorama antidoping), lo conoscevamo a menadito, e non abbiamo ora bisogno della USADA che ci spieghi l'ovvio, anche perché si sono sedimentate, certe consapevolezze, talmente bene che non c'è più nemmeno il gusto, dopo tanto tempo, di dire "ve l'avevo detto!".

Certo, potrà essere curioso vedere come se la caverà un Bruyneel, che tuttora dirige uno dei top team del mondo; ma se l'ha sfangata un Riis, non si vede perché non debba riuscirci anche un Bruyneel (pur se meno talentuoso di Bjarne, ciò va detto...). Per il resto, questa storia ci lascia, dopo averla un po' analizzata, la stessa sensazione di partenza: che barba che noia, che noia che barba.

Ah, in chiusura, per i feticisti, la lettera con cui la USADA ha notificato ai 6 indagati quello per cui sono, appunto, indagati. L'abbiamo presa dal Washington Post e ve la mettiamo a disposizione. È in inglese, ma non c'era nessuno, sulla faccia della terra, che ci avrebbe potuti costringere alla fatica di tradurla...

Marco Grassi

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