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L'intervista: «In FCI ognuno fa quello che gli pare» - Angelo Francini ci parla del caso Di Rocco

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Angelo Francini, un passato nella Federazione Ciclistica Italiana, attualmente direttore di organizzazione, è tornato a far sentire la sua voce dopo l'Assemblea Federale di Bologna, lo scorso 5 dicembre: è tornato presentando un ricorso basato sulle magagne che ci sarebbero state nella stessa Assemblea, e in questi ultimi mesi ha assunto il ruolo di "moralizzatore" (se ci si passa il termine) in merito alle pratiche federali. L'abbiamo intervistato per fare un punto sul travagliato momento che attraversa la FCI, anche in seguito allo scoop del Secolo XIX riguardo all'organizzazione dei Mondiali di Firenze 2013 (riportiamo in basso la pagina del giornale genovese).

Francini, com'è dunque la situazione in Federciclismo?
«La situazione è che ognuno fa quello che cavolo vuole. Le regole valgono per le piccole società e per i piccoli dirigenti, a cui si vanno a fare le pulci per ogni piccolezza, e poi in Federazione appena uno si alza la mattina e si inventa qualcosa di assurdo, non si prendono provvedimenti, anzi si tendono a coprire degli atti che equivalgono a paurose follie. 15 anni fa cose del genere non accadevano, ora sono altri tempi, se uno denuncia le porcate che si sono fatte in Assemblea, nessuno alza un dito».

Ecco, facciamo ordine e partiamo dall'Assemblea federale di Bologna di inizio dicembre.
«A oggi non ho ancora ricevuto notifica del ricorso che avevo inoltrato per il fatto che all'Assemblea - con motivazioni che definirei strane - era stato impedito l'accesso al 20% dei delegati. Ma non mi fermerò, andrò fino all'Alta Corte di Giustizia Sportiva del CONI».

Come mai tanto impegno in questo senso? È alle viste una sua candidatura a succedere a Di Rocco?
«Non se ne parla neanche, non mi candiderei nemmeno come usciere al Comitato Provinciale di Bergamo. Ho avuto il mio tempo, nel 2001 mi candidai alla presidenza contro Ceruti e Moser, andò male; mi fossi candidato a vicepresidente, sarei stato eletto, ma è andata così. Fino a 6 mesi fa ero totalmente disinteressato agli affari della Federazione, poi diciamo che mi ci son trovato dentro e sto verificando delle cose pazzesche: mi ritengo un esperto dei regolamenti, e mi girano le scatole a vedere in che modo questi vengano calpestati. Per questo mi sto muovendo (e continuerò a farlo, ma sempre in ambito sportivo, non andrò certo a presentare ricorsi al TAR), non con l'intento di affossare qualcuno, ma solo per migliorare le cose: se un dirigente sbaglia, è giusto che si corregga, per il bene di tutti».

La risposta di Di Rocco qual è stata - se c'è stata?
«La sua risposta è deferire tramite gli organi federali chi muove degli appunti, e questo è inconcepibile: sono stato per 8 anni consigliere federale quando lui era segretario generale della FCI, son 40 anni che lo conosco, e mi spiace vedere certi comportamenti».

L'articolo del Secolo XIX sul caso Firenze 2013Veniamo al caso più recente, quello legato ai Mondiali di Firenze 2013. Damiano Basso sul Secolo XIX ha svelato un meccanismo di scatole cinesi intorno all'organizzazione dell'evento iridato del prossimo anno: in due parole, la srl che gestirà l'organizzazione ha come amministratore unico Di Rocco; tale srl è a sua volta proprietà di una società (il cui amministratore unico è ancora Di Rocco) che appartiene alla FCI. In pratica, se l'evento accumulerà dei debiti, i creditori potranno rivalersi sulla Federciclismo e personalmente sui suoi consiglieri (tra cui non c'è Di Rocco). [Qui accanto l'articolo del Secolo XIX, ringraziamo Matteo Romano di Ciclismo-online.it per avercelo reso disponibile].
«Questa è una cosa molto grave, perché è inammissibile che tali movimenti (in particolare l'acquisizione da parte della FCI della società organizzatrice dei Mondiali) siano stati fatti senza che il Consiglio Federale ne sapesse niente, senza una delibera da votare. Tra settembre 2010 e giugno 2011 le cose sono cambiate, la FCI si ritrova organizzatrice di un evento senza che i suoi consiglieri l'abbiano discusso e votato; badate che negli ultimi 30 anni praticamente tutti gli eventi sportivi sono andati in perdita, vedi Varese 2008. La Federazione avrebbe dovuto al limite controllare che tutto si svolgesse secondo le regole, non certo diventare essa stessa organizzatrice».

Di Rocco sostiene che "ci ha messo la faccia" (della FCI) perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri gli aveva chiesto di fare da garante.
«Quindi se la Presidenza del Consiglio dei Ministri gli chiedeva di ammazzare qualcuno, lui lo faceva? La FCI non è una ditta di cui lui è l'amministratore delegato. Certe risposte e giustificazioni le può dare agli sprovveduti, ma non agli addetti ai lavori. Anche quando fosse venuta la richiesta da Palazzo Chigi, lui avrebbe dovuto sottoporla al voto del Consiglio Federale. Invece agisce in proprio, e anche nella lettera che ha scritto in risposta all'articolo del Secolo XIX (la si trova sul sito della Federciclismo), parla sempre in prima persona, non da presidente di un ente sportivo. La sua fortuna è quella di avere un Consiglio Federale amico, ci fossi io lì dentro gli leverei la pelle di dosso, "o ti dimetti o non usciamo dal Consiglio". Invece...».

Qualcosa comunque si muove, si parla di un'autoconvocazione dei comitati regionali al Foro Italico per i prossimi giorni.
«Speriamo, forse è davvero il momento in cui può succedere qualcosa. Di sicuro l'autoconvocazione dei delegati regionali è una procedura corretta, basta che si avvisi la FCI e poi si è ovviamente liberi di incontrarsi e discutere».

Ma perché Di Rocco avrebbe fatto una cosa così enorme? Cosa l'ha spinto?
«Non lo so, non lo so. Non dico che l'abbia fatto per disonestà, per guadagnarci sopra; però parlo di correttezza istituzionale, non è possibile che il presidente faccia cose che i tesserati non fanno».

E veramente nel Consiglio Federale non c'è nessuno che possa o voglia opporsi a questi maneggi?
«Lui è abituato a persone che pensano in piccolo, a cui importa solo delle corse degli esordienti, e a cui di tutto il resto non frega niente. Chiaro che così lui per primo fa come gli pare».

Fa come gli pare per il gusto di farlo o c'è qualche interesse dietro?
«Ripeto: non so se c'è qualcosa in ballo, se guadagnerà 10 lire, se diventerà onorevole, non lo so. Quel che è certo è che si è finalmente capito il motivo per cui ha fatto tante "bischerate" in sede di Assemblea: col ruolo che ha nell'ambito dei Mondiali 2013, non può certo permettersi di non essere confermato alla guida della Federazione quando tra un anno ci saranno le elezioni».

Poniamo che l'era Di Rocco sia al tramonto, come in effetti pare essere: ma c'è un'alternativa, c'è qualcuno che possa vincere le elezioni federali nel segno di una svolta?
«Un gruppo di persone che vogliano fare qualcosa nell'interesse del ciclismo, per salvare la base, si trova senz'altro. I problemi sono tanti e ricadono tutti sulle piccole società, che per questo stanno sparendo: nel 2000 in Lombardia c'erano 800 società, oggi nemmeno 600; a Milano sono svanite praticamente tutte; ci sono problemi atavici a cui non si pone rimedio, c'è un problema enorme, quello della sicurezza, che ci toglie il respiro: qui al nord si pedala tra i camion, ma nessuno in Federazione si pone il problema, l'importante per loro è andare in 8 in delegazione al Mondiale...».

Un futuro, per il ciclismo italiano, non troppo roseo, al di là dei risultati sportivi che possono arrivare o non arrivare a seconda delle stagioni.
«La FCI fa delle scelte che per me sono poco comprensibili, come l'ultima delibera che ha cancellato i premi per le corse dei bambini, quando poi un bambino corre anche per quella coppetta che ora gli tolgono. E poi, troppo parlare di doping, ci facciamo del male. Pare che il ciclismo sia l'unico sport sporco, ma non è certo peggio di altre discipline. Il fatto è che da noi ci sono le squadre tra l'atleta e la Federazione, quindi quest'ultima può tranquillamente scaricare tutte le responsabilità sui corridori e i team; nell'atletica o nel nuoto, per esempio, le federazioni hanno un ruolo molto più di primo piano, quindi non si può permettere che vengano infangate. Invece nel ciclismo, non essendoci mai in ballo dirigenti sportivi quando si parla di doping, il campo è libero per ogni tipo di abuso. Viviamo in una situazione in cui i nostri ragazzi prendono 2 anni per azioni che altrove comportano 2 mesi di squalifica».

Sicurezza, doping... cosa manca? Della situazione delle corse italiane vogliamo parlare?
«Eh, ma se permettiamo a qualcuno di fare affari in Cina, di organizzare corse qua e là che fanno concorrenza alle nostre, di tesserare i gruppi sportivi... mi riferisco all'UCI, il cui ruolo, da statuto, dovrebbe essere un semplice coordinamento delle federazioni nazionali, invece abbiamo sotto gli occhi quello che succede. Ma si sa che, avendo sede in Svizzera, può far girare tanti soldi...».

Appunto per questo motivo, per il tanto potere veicolato dall'UCI, è pensabile che qualcuno - anche l'eventuale sostituto di Di Rocco - possa invertire la tendenza e mettersi contro McQuaid e i suoi?
«Basterebbe avere i coglioni di opporsi: basta, da oggi si agisce secondo le regole, e non si fa niente di diverso da questo. Quando si inizia a mettere in chiaro le cose, quando si mettono i puntini sulle i, ecco che la situazione inizia a cambiare. Ma se non c'è la minima opposizione in seno all'UCI è ovvio che quelli continueranno a fare i loro interessi. Dovremmo avere il coraggio di tornare indietro di 20 anni per il bene del ciclismo, per ripartire ed evitare questa spirale che presto o tardi porterà questo sport a sparire. Invece la rotta va invertita, ci sarebbero tante cose da fare...».

Ce ne dica una a titolo di esempio.
«Ci vuol tanto a creare una tv satellitare europea che trasmetta tutto il ciclismo del mondo? Sarebbe così difficile mettere insieme 5-6 milioni di abbonati a pagamento, in tutto il Continente, per far fronte alle spese? Ma no, questa è una cosa troppo difficile perché ci possano pensare... evidentemente non intravedono un guadagno, fanno molti più soldi facendo altre cose, organizzando corse in giro per il mondo».

Come vede i prossimi 12 mesi, da qui alle elezioni federali?
«Male. C'è crisi generale, si fatica a far le cose piccole, figurarsi quelle grandi; i soldi son sempre meno, il CONI continua a stringere i cordoni, e nel 2013 sarà anche peggio, visto che nell'anno post-olimpico c'è sempre una contrazione dei contributi. Navighiamo a vista e speriamo che possa arrivare realmente un cambiamento per il nostro ciclismo».

Marco Grassi

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