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L'intervista: «Più montepremi e diritti tv per noi» - Di Sandro (Coppa Sabatini): «Bisogna muoversi in fretta» | Cicloweb

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L'intervista: «Più montepremi e diritti tv per noi» - Di Sandro (Coppa Sabatini): «Bisogna muoversi in fretta»

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Luca Di Sandro, presidente dell'UC Pecciolese, mentre premia Enrico Battaglin all'ultima Coppa Sabatini @ BettiniphotoDopo aver pubblicato l'amaro sfogo di Adriano Amici, organizzatore del Giro dell'Emilia che ha annunciato a Cicloweb che l'avventura della sua società sportiva volge al termine, ci confrontiamo con Luca Di Sandro, presidente della Unione Ciclistica Pecciolese, società organizzatrice della Coppa Sabatini. Una voce che ci aiuta a capire meglio il momento attraversato dal ciclismo professionistico (in particolar modo italiano), offrendoci un punto di vista dalla prospettiva di una corsa di medio livello che si ritrova a competere con vecchi e nuovi concorrenti sul piano internazionale.

Presidente Di Sandro, i costi del ciclismo sono ancora sostenibili in tempi di crisi?
«Sostenibili lo sono nel momento in cui ci sono delle condizioni. Come si creano queste condizioni? Attraverso un'organizzazione che dev'essere credibile, un'affidabilità che si è acquisita nel tempo, e una collaborazione stretta con l'amministrazione e con un pool di sponsor, uno zoccolo duro radicato in un contesto territoriale, che ci permette di andare avanti».

Quali sono le difficoltà maggiori?
«Corse come la nostra, di categoria 1.1, godono da un lato di una certa libertà d'azione (potendo per esempio invitare o meno formazioni sia Pro Tour che Continental), mentre dall'altro scontano alcune problematiche di fondo. Una di queste, per noi, è ad esempio data dal fatto che i diritti televisivi relativi alla nostra manifestazione (e alle altre gare come la nostra) sono stati avocati della Federazione, che li gestisce in proprio. Per quanto ci riguarda, quindi, su questo versante non godiamo di un valore aggiunto da giocarci, sotto il profilo contrattuale ai fini del marketing, quando andiamo a presentarci ad un possibile sponsor».

È vero che un altro problema, veramente rilevante, è dato dalla contrazione della disponibilità economica da parte di amministrazioni che in passato sostenevano gli eventi ciclistici?
«Paradossalmente, pur essendo gare internazionali, con partecipazione globale e denominazione già acquisita, queste manifestazioni si basano interamente sul territorio; anche su territori piccoli o con pochi abitanti come il nostro: Peccioli conta 2500 anime, non è facile trovare fondi in un contesto simile. Riguardo al supporto delle amministrazioni, anche se qualcosa in questo senso l'abbiamo già avvertito, non siamo ancora nella fase radicale della mancanza di fondi; eppure è chiaro per chi segue le cose del ciclismo che ci sia una grande difficoltà, con corse che chiudono o che faticano sempre più ad andare avanti. In molti casi il ciclismo se non è sorretto dalle istituzioni è destinato a ridimensionarsi di molto. Noi siamo fortunati perché a Peccioli si è instaurato un circuito virtuoso con enti pubblici e aziende private, ma bisogna essere veramente bravi per far quadrare il tutto e offrire una manifestazione all'altezza».

Cosa manca, allora, cosa potrebbe aiutarvi?
«Manca un progetto generale di comunicazione, di visibilità, di acquisizione dei contratti che bisognerebbe allargare oltre l'ambito strettamente territoriale. Insomma, un coordinamento tra noi organizzatori e un'idea di rilancio del nostro prodotto. È chiaro che se fossimo una gara Pro Tour il discorso sarebbe tutto diverso, avremmo una partecipazione d'élite e molte meno difficoltà, ma non essendolo bisogna avere altre opportunità».

Dove si può risparmiare, se possibile, per andare avanti?
«Si può tamponare qualcosa avendo gruppi di lavoro con molte competenze specifiche, cosa che permette di risparmiare in tanti ambiti (logistica, segreterie, comunicazione), ma il discorso dei risparmi possibili è legato al taglio che si vuol dare alla corsa... Puoi decidere se fare una cosa o non farla, e anche come farla o non farla: per dire, che tipo di squadre vuoi invitare? quanti stranieri? che tipo di ospitalità vuoi offrire? Il rinfresco per gli ospiti lo organizzi o non lo organizzi? Non è obbligatorio, ma è un servizio in più che dai, anche agli sponsor. In base a queste caratteristiche, il budget cresce o diminuisce. Noi, pur senza essere una Sanremo, qualcosa l'abbiamo concretizzato e realizzato negli anni, lavorando sodo per ottimizzare le risorse».

Qual è il budget della Coppa Sabatini?
«Diciamo che in media è di 200mila euro, lavoriamo per tenerlo entro queste cifre, poi magari c'è l'anno in cui ti partecipano 16 squadre e l'anno in cui ce ne sono 14, ma la media è quella. Poi qui per dire risparmiamo su alcune spese che altrove sono più alte: un albergo da noi costa meno che in un'area metropolitana o in Riviera in agosto».

Prima accennavamo alla Federazione, ne approfondiamo il ruolo in tutto quel che accade?
«La Federazione è un riferimento, è l'istituzione principale che abbiamo in Italia, ma credo che qualcuno si debba rendere conto che siamo nell'epoca dell'internazionalità. Qualcuno al comando, chi ha inventato il Pro Tour, è stato un precursore, e oggi vediamo che comunque quel ciclismo così immaginato è praticamente realtà. È con questo che bisogna misurarsi, con una mondializzazione che ha portato all'accavallamento di una miriade di gare che hanno avuto accesso al professionismo in nome soltanto di un budget che ha aperto loro tutte le porte, mentre chi organizza una gara come questa è finito in secondo piano».

L'ipotesi di consorziare le varie corse cosiddette minori sotto l'egida della stessa FCI è un'utopia?
«Ci sono state delle idee in merito, ma tutto è rimasto sulla carta, anche perché non è facile trovare una linea comune. Di sicuro un'ipotesi da vagliare sarebbe che le società organizzatrici cambiassero pelle, ma proprio a livello giuridico. Fin qui si è sempre operato in nome della passione, della tradizione, con tanto volontariato, com'è inevitabile che sia in presenza di soggetti giuridici senza fine di lucro, quali noi siamo. Ma il punto è che ci si ritrova a gestire una società sportiva che ha poi le stesse dinamiche e le stesse problematiche di un'azienda vera e propria. Ci vuole uno slancio culturale, in avanti, per avere maggiore autonomia. Nel momento in cui fai l'organizzatore ti devi svincolare dall'idea di un ciclismo professionistico assistito dalle istituzioni, e avere un tuo progetto da perseguire».

E nell'attesa che cambino le leggi dello Stato, cosa si può pensare più nell'immediato?
«Lo strumento migliore per avere una partecipazione qualificata in queste gare, una partecipazione che tenga su il livello delle gare stesse, è di investire molto in un ricco montepremi. Siamo in concorrenza con centinaia di corse, quest'anno in concomitanza con la Sabatini c'erano gare in Francia e in Cina, Cunego non era da noi perché era in Cina, per dire; Cavendish era a preparare la Parigi-Tours...».

Ricco montepremi (magari da condividere con altre corse "consorelle"), e poi per esempio una bella diretta televisiva? In America ogni corsa che nasce ce l'ha: e gli appassionati di tutto il mondo seguono in streaming il Tour of California, o quello dello Utah, o quello del Colorado.
«È certo che la diretta tv sarebbe determinante, potresti proporre un investimento diverso agli sponsor, dire "ti metto in diretta" non è la stessa cosa che dire "vai in sintesi stasera tardi". Ma torniamo al discorso di prima, la Federazione ha acquisito questi benedetti diritti per le nostre gare, e noi non abbiamo margini di manovra. Ma del resto, io, dovessi muovermi da solo, dove mi presento? Ci vuole anche un certo peso specifico per trattare con la Rai, o con Mediaset, o chi per esse. Da soli non si va lontano».

Insomma, ce ne sarebbero di cose da ricordare ai dirigenti italiani, mentre già ci sono movimenti in vista delle elezioni presidenziali.
«In primo luogo un ammonimento: siamo in una fase di stallo e la situazione è seria. Se non ci muoviamo in fretta assistiamo alla decimazione del calendario in Italia».

Marco Grassi

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