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L'intervista: Semplicemente Marianne Vos - Una lunga chiacchierata in esclusiva con la fuoriclasse olandese

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Marianne Vos esulta a Ceresole Reale, il Giro è suo!

Semplice. Per come parla e come agisce. Per come ti spiega vittorie e sconfitte, per come si intrattiene a chiacchierare a lungo dopo la vittoria di Ceresole Reale. Semplice per come scatta in faccia alle avversarie quando meno te l'aspetti e senza indugiare, senza dare spazio a replica alcuna da parte loro. Marianne Vos non ha bisogno di presentazioni, è la ciclista più forte al Mondo, maschietti inclusi. Soli ventiquattro anni e nessuno come lei. Esibisce l'esperienza delle più navigate atlete del gruppo «ma ho ancora molto da imparare e devo migliorare sotto tanti aspetti». Una cannibale che ha vinto tutto o quasi, che da inizio anno ha riposato solo un paio di settimane a Maggio, che potrebbe tirare il fiato. Invece no, si allena sotto la pioggia olandese «perché a fine luglio correrò la Coppa del Mondo in Svezia e la mia stagione non finisce certo con il Giro». Alla faccia della periodizzazione. Vanta più di cento corse vinte in giro per il Mondo ma fa sembrare il tutto estremamente naturale. Umana, ecco l'aggettivo più adatto a Marianne Vos. Dove va, vince, la Regina Mida del ciclismo. Ciclocross, Pista, gare su strada, in linea e non. Primeggia anche nelle corse a tappe più impegnative come il GiroDonne, quelle che le parevano precluse sino a pochi mesi fa, considerate tante e tali montagne sparse nel percorso. Le lunghe salite, già, fino al 2010 un suo tallone d'Achille. S'è migliorata anche su quel terreno ed è tornata alla corsa rosa per fare meglio del solito. È andata a finire che l'ha vinta, «eppure non avevo pianificato di vincere il Giro». Capite cosa intendiamo quando diciamo che Marianne Vos è una Campionessa semplice?

Marianne Vos posa con Alberto ContadorSette giorni fa la vittoria al GiroDonne, ora un po' di riposo?
«Dopo il Giro sono volata in Francia con Emma Johansson ed Annemiek Van Vleuten, a Clermont Ferrand. Nelle vicinanze, ad Aurillac, sarebbe partita la decima tappa del Tour, e così abbiamo approfittato per incontrare Alberto Contador. Quindi sono tornata in Olanda, a Meeuwen, casa mia. Dopo un paio di giorni di riposo ho ripreso ad allenarmi. Purtroppo ho preso il raffreddore, devo curarmi ma per allenarsi in vista delle gare che verranno non è certo un problema».

L'incontro con Contador è stato un grande spot per il ciclismo, anche femminile.
«È stato molto bello incontrare Contador prima della partenza della tappa. Un incontro piacevole. Lui era molto rilassato e così abbiamo parlato sia del suo Tour che del ciclismo femminile, del GiroDonne. Purtroppo il ciclismo femminile non è molto popolare. Le trasmissioni televisive dovrebbero seguirlo di più rispetto a quanto facciano. Ad esempio, in Olanda venivano dedicati solo quattro minuti al giorno per la sintesi del GiroDonne. È davvero poco! Spero che aver incontrato Contador possa aiutare in qualche modo il ciclismo femminile ad avere maggior visibilità».

Parliamo di GiroDonne?
«Domande del tipo: "Marianne, ma che hai combinato"?»

Più o meno.
«Anzitutto devo dire che correre un buon Giro era nei miei piani di inizio stagione. Già lo scorso anno mi era piaciuto molto correre su queste strade. Si tratta decisamente del più grande evento per quanto riguarda il ciclismo femminile. Per far capire di che grande corsa sia basta pensare alla scalata del Mortirolo di quest'anno, qualcosa di epico. Sono stati dieci giorni incredibili ed assolutamente difficili per me e per la squadra».

Negli scorsi anni non eri mai stata così forte al Giro.
«Nelle stagioni precedenti ero venuta qui per conquistare qualche tappa ma non ero mai stata in grado di lottare per la Generale. Quest'anno invece sono arrivata in Italia con l'intenzione di provarci, anche se non ero affatto sicura di riuscirci. Devo ancora migliorare molto ma sapevo che il lavoro svolto nello scorso inverno avrebbe dato i suoi frutti. L'anno scorso ero uscita dal Giro pensando di tornare nel 2011 e fare un passo ulteriore per essere competitiva nella Generale».

Meglio del previsto. 
«In inverno mi sono allenata molto bene e ad aprile sentivo già di aver compiuto un passo da gigante in quest'ottica. Quando ho visto com'era stato disegnato il Giro ho pensato che sarebbe stato davvero difficile per me vincerlo. L'anno scorso sulle grandi montagne non ero mai riuscita a stare con scalatrici come Emma Pooley. Provare a vincerlo era una scommessa. Potevo puntare al podio, ne ero consapevole. Sapevo che avrei dato il massimo ma non avevo proprio pianificato di vincerlo».

Quando hai capito di poter davvero primeggiare?
«All'Emakumeen Bira, poco prima del Giro, era inizio Giugno, mi sono sentita molto bene. Vero è che là non si scalavano grandi montagne, però avevo pur sempre vinto una corsa a tappe nei Paesi Baschi. Battere atlete come Johansson, Arndt e Pooley è stata un'iniezione di fiducia e lì ho pensato che forse avrei potuto dire la mia anche al Giro».

Ad inizio 2010 dicesti che ti saresti dedicata alla classifica delle corse a tappe entro un paio d'anni, non prima. Siamo nel 2011...
«Infatti non mi aspettavo di vincere il Giro quest'anno ma nel 2013 o nel 2014. Invece in inverno mi sono allenata davvero bene ed il mio fisico ha risposto alla grande. Più cresco, più sento che i miei margini di miglioramento aumentano. Per migliorarsi serve forza di volontà e molta determinazione. Corro da quando avevo sei anni, sono cresciuta in una famiglia di sportivi ed ho sempre voluto vincere. Una grande corsa a tappe come il GiroDonne - o il Tour de France per i colleghi maschi - è tutto ciò attorno a cui ruota il ciclismo».

E tu sei da corse di un giorno.
«Le corse di un giorno sono una battaglia, si va lì e non si sa se si riuscirà a vincerle, però ci si prova. Ho interpretato il Giro come se si fosse trattato di dieci corse di un giorno. I miglioramenti del mio fisico riscontrati durante le corse e gli allenamenti invernali mi hanno dato grandi motivazioni. Alla fine dello scorso anno non ero felice del mio Tour de l'Aude e nemmeno del Giro. Certo, in Italia avevo conquistato due tappe, vestito la maglia rosa ma sulle grandi montagne non ero andata bene. Avevo perso troppo tempo sulle grandi salite e così ho iniziato ad allenarmi per poter essere più competitiva anche lì».

In che modo?
«Ho perso quattro o cinque chili, perché sapevo che per tenere il passo delle migliori era necessario dimagrire. D'altra parte volevo mantenere la mia potenza e la mia forza esplosiva. Così ho cercato di trovare il giusto compromesso per poter disputare buoni sprint, buone cronometro ed anche per riuscire ad andar bene in montagna. La ricerca del giusto compromesso è stata lunga e dura ma alla fine credo di averlo trovato e penso di essere completa, adatta a correre su ogni terreno».

In Olanda non ci sono montagne. Dove ti sei allenata?
«La maggior parte degli allenamenti li ho svolti in Olanda, dove non ci sono montagne, è vero, ma tanta, tanta pianura. Il vento e, a volte, la pioggia, mi hanno accompagnata nelle mie giornate. Ho svolto anche alcuni allenamenti alle Canarie, dove qualche salita l'ho trovata. Quindi a marzo, durante il primo ritiro della squadra in Spagna, ho potuto misurarmi nuovamente con le salite vere. Però quasi tutti i miei allenamenti per migliorare in montagna sono stati effettuati in pianura, controllando la potenza con l'SRM».

Al Giro sei partita vincendo.
«Iniziare con una vittoria è stato fantastico. Ognuna di noi era concentrata per vincere già a Velletri. Quanto a me, ero insolitamente nervosa. Di solito sono rilassata prima di una corsa ma mi sentivo davvero forte ed ero molto concentrata sul Giro. Volevo davvero vincerlo. Sapevamo anche che avere subito la maglia rosa avrebbe messo un sacco di pressioni sulla squadra».

Quindi?
«Alla seconda tappa ce la siamo presa con molta tranquillità, a costo di perdere il primato. Ci siamo dette: "Il Giro non finisce oggi, ci saranno ancora tre tappe di alta montagna ed una cronometro". Davanti c'era una fuga molto importante, avevano già diversi minuti su di noi ed era difficile da controllare per la squadra. Però tutte le favorite per la vittoria finale - e parlo di Emma Pooley, Tatiana Guderzo, Mara Abbott, Judith Arndt - erano nel mio gruppo. Nessuna voleva incaricarsi di svolgere il lavoro per ricucire il gap sulle fuggitive».

Campionessa del mondo del CiclocrossForse lì la squadra ha mostrato alcuni limiti.
«Non credo, avevo a disposizione una grande formazione. Sapevamo tutte cosa ci avrebbe aspettato: già la tappa successiva, quella di Fermo, era davvero difficile. Lì avremmo potuto vincere e riprenderci la maglia. A Pescocostanzo abbiamo provato a contenere il distacco dalle fuggitive perché inizialmente era molto elevato. Avremmo potuto tenere la corsa cucita anche nella seconda tappa, la squadra era proprio forte, ma davanti a noi c'erano ancora molti giorni di fatiche. Ecco perché abbiamo preferito andare su con calma relativa».

A Fermo hai messo le cose in chiaro.
«Eravamo determinate a vincere la tappa e, cosa più importante in assoluto, dovevo porre tra me e le principali aspiranti al Giro alcuni secondi di distacco. Non avevo pianificato di riprendere la maglia rosa sia perché il gap dalla Gillow era di oltre tre minuti sia perché riprendere una maglia rosa non è pianificabile. Quella tappa assomigliava molto ad una Classica: tanti strappi dalle pendenze elevate ma non lunghe salite. Questo ha favorito me e non le scalatrici pure».

Avete reso la corsa dura.
«La squadra aveva il compito di rendere la gara selettiva sin dall'inizio, in effetti. Strappo dopo strappo, il gruppo si faceva sempre meno folto. Al primo passaggio da Fermo, quando mancavano venti o venticinque chilometri all'arrivo, ho provato a scattare ed ho subito constatato che l'unica a tenere la mia ruota era Emma Pooley. Abbiamo proseguito la nostra azione e siamo andate avanti di comune accordo».

S'è palesato il duello per la leadership tra te e la Pooley.
«Emma in realtà non era l'unica avversaria a quel punto del Giro: c'erano le altre poco lontane in classifica, a due minuti, e comunque tutto doveva filare liscio per me. Nessuna caduta, nessun guasto meccanico, nessun problema, insomma. Alla sera, dopo la terza tappa, avevo diciannove secondi su Emma. Un buon distacco in vista delle tappe di montagna ma ancora non abbastanza. Senza inconvenienti sapevo che sulle montagne la battaglia sarebbe stata ristretta a me, Emma Pooley e poche altre».

Per aumentare il distacco ti butti anche negli sprint.
«Nelle tappe più pianeggianti ho cercato anzitutto di recuperare dallo sforzo di Fermo, e questo è successo nella tappa di Forlì. Infatti lì ho colto un decimo posto. Ho provato a restare davanti ma allo stesso tempo ad evitare cadute e guai simili. A Verona invece Nicole Cooke mi ha anticipato ed io ho vinto la volata di gruppo, guadagnando comunque un abbuono di sei secondi sulla Pooley. A Piacenza ho vinto guadagnando ancora dieci secondi. Si arrivava in casa della Bronzini, lo sapevo bene, ma dovevo guadagnare più tempo possibile per poi giocarmi tutto nella seconda parte di Giro, la più difficile».

Dal Mortirolo inizia il bello.
«Per me il Giro vero iniziava da quella tappa. Avevo già vinto tre frazioni ma sapevo che il difficile doveva ancora venire. Alle ragazze l'ho detto: "Vi ringrazio per il grande lavoro svolto fino ad ora ma sappiate che da qui in avanti ogni tappa sarà durissima per noi". Sono state fantastiche, mi hanno portata senza problemi all'attacco del Mortirolo. Da lì in avanti dovevo solo fare del mio meglio, incrociare le dita e sperare di pedalare abbastanza bene per tenere le migliori».

Pochi si aspettavano che resistessi agli attacchi della Pooley.
«Emma Pooley ha sferrato alcuni attacchi ed ho subito pensato: "Wow, sarà proprio una bella giornata per me!". Alla fine sono riuscita a stare con lei fino allo scollinamento. Sono scattata in vista del Gpm per cercare di guadagnare più secondi possibile, non per scollinare per prima. Sapevo che la discesa mi avrebbe favorita e che avrei potuto guadagnare uno o due minuti verso Grosotto».

La vittoria dedicata alla povera Carly Hibberd.
«Alla partenza ho parlato con Bridie O'Donnell, era sconvolta per l'incidente capitato alla Hibberd, sua connazionale. Carly si stava allenando, voleva una carriera da ciclista professionista. È terribile ma un incidente simile a quello di Carly può accadere ad ognuna di noi. Ogni giorno, mentre ci alleniamo sulle strade, corriamo dei rischi».

Quanti pensieri dopo il Mortirolo?
«Negli ultimi chilometri della tappa del Mortirolo ho sempre pensato a Carly. In quegli istanti ti chiedi se sia davvero importante vincere una tappa, o consolidare la maglia rosa. Di fronte a una vita che se ne va non lo è, chiaramente. Tutto quello che potevo fare perché Carly venisse ricordata degnamente l'ho fatto dedicandole la vittoria».

Di' la verità, ti aspettavi di vincere la tappa del Mortirolo?
«No, non mi aspettavo di vincere la tappa del Mortirolo ma sapevo che, con una discesa così tecnica, se avessi scollinato con le migliori scalatrici, o non molto lontano da loro, avrei avuto modo di recuperare sulla picchiata e mi sarei potuta giocare la tappa. E sarebbe stato molto più semplice che ai Laghi di Cancano o a Ceresole Reale».

Due tappe in cui ti sei confermata leader indiscussa.
«Ai Laghi di Cancano ho avuto alcuni momenti di difficoltà ai primi attacchi della Pooley sulle Motte, dove c'erano tratti di strada davvero ripidi. A Ceresole Reale invece sapevo che ormai le grandi montagne erano passate e che mancava solo una cronometro di sedici chilometri alla fine del Giro. La tappa è stata molto bella, ho attaccato ripetutamente anche se noi tutte non ci aspettavamo pendenze così elevate. Abbiamo sofferto molto in gruppo ma volevo vincere la tappa a tutti i costi e l'ho fatto».

La difficoltà maggiore nell'intero Giro.
«È stato difficile restare concentrata sull'obiettivo finale ed al contempo trovare momenti in cui rilassarsi al di fuori della corsa. Già dalla prima tappa, dopo la vittoria, ho ricevuto un sacco di complimenti. Sono rimasta concentrata, l'ho fatto sino all'ultimo metro della cronometro, allora sì che era veramente fatta».

Dopo la crono sei crollata a terra, eri distrutta.
«Ho avuto bisogno di qualche attimo per riprendermi ma è normale per me. Quando corro una cronometro do tutta me stessa, così dopo il traguardo le forze mi abbandonano per un momento. Interpreto le crono come una lunga fuga con sprint finale, normale che debba riprendermi subito dopo la fine. Se non ci fosse stata una cronometro avrei corso differentemente durante la giornata. Avrei pensato alle vacanze, non avrei sprintato... Però c'erano sedici chilometri da correre a tutta e nulla era ancora deciso».

Prima della crono eri molto tesa.
«È vero, ero davvero concentrata. Non ero stressata dopo i dieci giorni di corsa, né sentivo la pressione di aver la maglia rosa. Non troppo, almeno. Volevo solo correre una buona cronometro e cercare la vittoria per concludere al meglio il mio Giro. Lo scorso anno ed anche quest'anno ho vinto il titolo nazionale a cronometro, è un'importante riconoscimento. Volevo vedere cos'ero capace di fare in una crono corsa contro tutte le migliori. Ovvio che poi ci fosse un po' di pressione perché era l'ultima tappa del Giro e perché mi trovavo in una posizione di classifica mai occupata prima in vita mia».

Senza quella foratura avresti vinto.
«Avrei potuto vincere anche la crono, infatti sono arrivata davvero vicina alla Teutenberg, ma portare a casa cinque o sei tappe non avrebbe cambiato molto. È stato più importante avere la maglia rosa. Ho ottenuto cinque vittorie parziali, metà delle tappe del Giro. È un risultato abbastanza buono».

Dopo il Giro hai avuto maggiori attenzioni dai media?
«No, ormai il Giro è finito ed il mio prossimo appuntamento sarà l'Open de Suède Vårgårda. Adesso devo rilasciare alcune interviste, è logico, ma sono in un periodo di recupero. La mia stagione prosegue».

Nemmeno in Olanda?
«Naturalmente sono più conosciuta nel mio Paese che in qualsiasi altra parte del Mondo. Bisogna poi considerare che l'Olanda non eccelle in tanti sport come l'Italia. Abbiamo molti grandi sportivi ma quando c'è una giornata storta può capitare che si parli di ciclismo femminile. Ad ogni modo, dopo l'oro Olimpico di Pechino vinto nella Corsa a punti, gli olandesi hanno iniziato a conoscermi sempre di più. Sono stata eletta per due volte Sportiva dell'anno in Olanda (2008 e 2009, ndr). In definitiva, non posso dire di essere famosa ma molte persone mi conoscono, questo sì».

Da cosa è stato deciso il Giro?
«Da molti fattori: una squadra davvero motivata, ottime tattiche di corsa, la mia forma che era molto buona così come quella delle mie compagne. Anche la discesa del Mortirolo, certo, a cui però non posso circoscrivere un successo maturato in dieci giorni».

Campionessa del mondo su pistaE allora un punto chiave?
«Credo che la tappa di Fermo sia stata decisiva per la mia autostima. Da lì si è capito che, bene o male, sarebbe stata una sfida tra me ed Emma Pooley. Le ho dato un distacco di diciannove secondi e forse ho fiaccato alcune sue certezze. Moralmente è stata una tappa perfetta per me, cosa che non credo di poter dire per Emma. Sicuramente, se devo individuare un punto chiave nel mio Giro, dico la tappa di Fermo».

Hai vinto quasi tutto. Cosa ti manca?
«Il Giro delle Fiandre, una gara che voglio vincere e che un giorno vincerò. Quest'anno avevo la mia compagna di squadra, Annemiek Van Vleuten, in fuga. Alla fine ha conquistato il Fiandre. Nei prossimi anni cercherò di far mia questa gara. Ci sono i muri, il pavé, è davvero impegnativa. A volte possono capitare inconvenienti tecnici, altre, come quest'anno, hai la compagna in fuga e non puoi agire in prima persona. Posso garantire che stare sul podio con Annemiek è stato fantastico. Ho ancora qualche anno di corse davanti a me, penso che prima o poi la vincerò. La cosa non mi preoccupa».

Quali gare invece non fanno per te?
«Qui in Olanda si disputano alcune corse in pianura, in mezzo al vento, con un gruppo compatto e molto folto. I rischi sono enormi, la volata è assicurata e riservata alle specialiste. Ecco, questo tipo di corse credo non sia proprio nelle mie corde».

Al contrario delle Olimpiadi.
«Eh già, l'anno prossimo le Olimpiadi saranno un punto cardine della stagione, anche se non correrò solo quelle. Certo, la concentrazione per vincere la gara su strada sarà altissima. Proverò anche a correre e vincere la cronometro a Londra anche se dovrò meritarmi la convocazione, cosa non scontata».

Magari ciò ti porterà a trascurare un eventuale bis al Giro.
«Le Olimpiadi saranno uno dei miei obiettivi primari e probabilmente per questo al Giro non sarò competitiva come quest'anno. Io spero di abbinare una vittoria al Giro con le Olimpiadi nel 2012. Sarà molto difficile però mai dire mai».

La pista di Londra 2012 invece non ti vedrà protagonista.
«Correre anche l'Omnium sarebbe stato molto dispendioso per me anche se non impossibile. Però mi sono resa conto che nelle discipline dell'Omnium che richiedono uno sprint, o nel giro lanciato, non sono esplosiva come le mie avversarie. Ecco perché mi focalizzerò solo sulle gare su strada a Londra 2012. Le gare su pista, in aggiunta a quelle su strada, sarebbero uno sforzo troppo grande per ottenere probabilmente un risultato non così buono».

Ed i Mondiali di Copenhagen?
«Ho fatto una ricognizione sul tracciato con Kirsten Wild. La cronometro è piuttosto piatta, direi che è per specialiste. Lì serviranno atlete molto potenti ma conto di avvicinarmi alle prime».

Mentre la gara in linea?
«Contiene alcuni saliscendi, in sé non è una gara dura e selettiva. Dovremo però percorrere il circuito per dieci giri e penso che alla fine quelle colline faranno i danni che potrebbe fare una grande salita, specialmente per quanto riguarda lo strappo finale. Non presenta tratti davvero duri ma ha una certa pendenza. Arriveranno a giocarsela una quarantina di atlete, non di più».

Cercherai la doppietta?
«Non credo, punterò decisamente sulla gara in linea: perché mi si addice più della cronometro e soprattutto perché l'ho vinta solo nel 2006 e voglio tornare a primeggiare in una manifestazione così importante».

Già, quattro argenti Mondiali di séguito.
«Ma non sono affatto un problema. Essere quattro volte seconda dal 2007 non è buonissimo, perché avrei potuto vincere, ma non è nemmeno poi così male, perché significa che sono sempre stata la prima delle sconfitte. Certo, per chi come me vuole vincere il secondo posto non può andare bene ma non avverto ciò come un problema. Non sento troppa pressione sui Mondiali, ecco».

Forse in questi anni ti è mancata la squadra nel finale.
«Il Mondiale è una corsa di un giorno, devi avere una squadra forte ma anche la fortuna dalla tua e, soprattutto, devi saperti muovere al momento giusto. Lo scorso anno, ad esempio, Annemiek Van Vleuten forò all'ultimo giro e non poté aiutarmi a chiudere sulla Cooke e sulla Arndt. Ho chiuso il buco in prima persona ed ho perso perché la Bronzini ha azzeccato la volata perfetta. A Geelong non è stato bello piazzarmi ancora una volta ma sono cose che càpitano».

A Copenhagen l'Olanda potrà aiutarti meglio.
«Lo credo anch'io. Sono convinta che quello di Copenhagen sia un buon tracciato per me e per la Nazionale olandese. Né troppo duro, né troppo semplice. Si prospetta una gara che verrà resa dura, ci sono un sacco di curve. Non ci sono strade larghe né punti in cui poter recuperare. Tutte le squadre vorranno mantenere una velocità elevata sin da subito e gli attacchi si susseguiranno».

In inverno corri e vinci nel ciclocross e su pista.
«Sì, il ciclocross mi aiuta a sviluppare la forza esplosiva e migliora le mie capacità di guidare la bici. Nella discesa del Mortirolo, ad esempio, tenevo le mani alte, sulle leve dei freni. Non è una cosa che ci si aspetterebbe di vedere in discesa ma a me riesce bene così. In quel modo controllo meglio la bici e riesco a frenare più facilmente. Per quel che riguarda la pista, mi aiuta a mantenere alte velocità. Queste due discipline sono molto utili per perfezionarmi nelle gare su strada».

Non è solo un allenamento, il ciclocross. Hai vinto Mondiali e prove di Coppa.
«Devo dire che è una disciplina che mi piace, inoltre io amo la competizione, l'agonismo. La stagione su strada termina a settembre e ricomincia a marzo. In mezzo ci sarebbe un lungo periodo senza competizioni per me, ecco un altro motivo per cui da sempre prendo parte alle gare di ciclocross. Le corro da quando avevo sei anni. Praticare differenti discipline ti dà grandi motivazioni perché ci si cimenta in qualsiasi specialità sulla bicicletta e questo può aiutare a diventare un corridore completo».

Da Junior correvi anche in Mountain Bike.
«Presto la riprenderò, l'ho detto a fine Giro e non scherzavo. Ho già vinto tre titoli nazionali quand'ero Junior e tornerò a correre in Mountain Bike. Chiaro che dovrò iniziare gradualmente, vedere se riuscirò a stare con le migliori. Questo sarà il primo passo da compiere. Quando avverrà? Calcolando che voglio rivincere il Giro nel 2013 penso che prima di allora non mi dedicherò alla Mountain Bike ma presto o tardi lo farò, ne sono sicura».

Per concludere, ogni tanto scenderai dalla bicicletta.
«Certo che sì. Nel tempo libero mi piace uscire a prendere un caffè con gli amici oppure andare al cinema e vedere un bel film. Mi piace anche leggere, soprattutto i thriller. Può capitare che non voglia andare alla partenza di una gara troppo presto perché sto leggendo velocemente un libro molto interessante e sono sul punto di terminarlo. A volte mandano qualcuno a prendermi: "Andiamo Marianne, oggi devi correre!". Amo la lettura, insomma, ma naturalmente mi piace gareggiare».

Francesco Sulas

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