Giro d'Italia 2010: Un piccolo evento assente dal '97 - 30 anni di vittorie tricolori
Versione stampabileGià il trovarsi a commentare il primo successo di tappa di un corridore italiano alla 12esima frazione appare un fatto alquanto insolito. Vedere però che a spezzare il sortilegio è stato colui che indossa la massima espressione dell'italianità, ovvero Filippo Pozzato con la maglia di campione nazionale ben in vista, è quanto di più speciale ci si potesse attendere dalla giornata odierna. E chissà se nel bailamme finale, con tutta quella bella gente da piani alti, anzi altissimi di Giro d'Italia, qualcuno sia riuscito a cogliere nella perentoria volata del bel Pippo la fine di un altro tabù. Eh si, perchè la vittoria in una tappa in linea della corsa rosa mancava da ben tredici (e con un numero del genere impossibile pensare male) anni, tanto che ci appare quasi incredibile che i più recenti successi firmati da un tricolore in carica siano stati firmati proprio in quel tipo di gara tanto bistrattata, al punto da far parlare spesso di sè nella continua prospettiva di un definitivo decollo in grande stile: la cronometro.
Specialisti, si sa, se ne contano sulle dita di una mano ed è per questo che i successi ottenuti da Marco Pinotti a Milano nell'ultima frazione del Giro 2008, lì dove gli sguardi erano tutti rivolti alla sfida tra Contador e Riccò per l'affermazione finale, e di Marzio Bruseghin nel 2007, capace di domare lottando contro le lancette una salita densa di ricordi come quella di Oropa, sembrarono quasi un qualcosa di più unico che raro.
Tredici anni dicevamo dall'ultima maglia tricolore sfrecciata su un traguardo del Giro, tredici anni che ci riportano al 1997 e al Mario Cipollini dominatore incontrastato delle volate che, appunto, si era regalato (anni prima delle perle chiamate Sanremo e Mondiale di Zolder) l'anno prima il titolo di campione italiano in quella che rappresenta ancora oggi l'ultima vera edizione in grado di sorridere ai velocisti. Con la ghiotta prospettiva immediata di far scintillare sotto un sole già caldo il bianco-rosso-verde, Re Leone non se lo fece ripetere due volte e nel finale in circuito di Venezia impose la sua legge, lasciando a Minali e Leoni i gradini di rincalzo del podio e conquistando quindi la prima maglia rosa dell'edizione. Il rosa che, accompagnato al ciclamino della maglia di leader della classifica a punti, caratterizzò il Giro 1997 di Cipollini che, col tricolore obbligatoriamente celato dalle insegne dei primati di gara, fu capace di esultare per altre quattro volte nella Mestre-Cervia (2a tappa), nella San Marino-Arezzo (4a), Castrovillari-Taranto (10.ma) e nella frazione conclusiva da Boario Terme a Milano.
Appena un anno era passato da quando Gianni Bugno, di tricolore vestito, si era regalato l'ultima giornata di gloria sulle strade del Giro nella quindicesima frazione del Giro 1996, che dopo la partenza in Francia da Briançon riportava il gruppo in Italia ad Aosta. Un Bugno per i quali erano lontani i giorni della gloria sfavillante, degli iridi orgogliosamente esibiti anche sulle strade di Francia e di quella maglia rosa in grado di stamparsi sulla sua pelle dal primo all'ultimo giorno nel 1990. Di lì a poco si sarebbe concesso una degna conclusione da umile gregario, nella schiera di fidi scudieri che il Giro avrebbero dovuto consegnarlo nelle mani di Tonkov. Prima della Mapei era però ancora tempo di vestire la maglia della MG-Technogym e di regalarsi un ultimo acuto, al termine di una lunga fuga e regolando i compagni d'avventura in volata. Proprio come a Benidorm. Proprio come a Stoccarda. Pazienza se quella volta al posto di Rooks e Indurain, di Jalabert e Konyshev ci furono Francesco Casagrande e Uslamin. Per il buon Gianni che quel giorno lo attendeva da due anni non avrebbe fatto differenza e la voglia di vincere con quel tricolore addosso avrebbe fatto il resto. Proprio come nei giorni più belli.
La vittoria di Bugno spezzò un notevole scarto temporale, identico quasi a quello odierno, e caso volle che la vittoria del due volte iridato fu seguente a quella di un altro giovanotto capace di vestirsi d'iride ma ancor prima di tricolore italico: Moreno Argentin. Tra mondiale in Colorado e magie sulle Ardenne, ci si dimentica infatti che il veneto si rivelò al pubblico nell'edizione 1984 del Giro d'Italia, dove tra un Moser e un Fignon pronti a darsele bonariamente dovunque ce ne fosse l'occasione, spuntò proprio lui con quel terzo posto che sembrava aprirgli anche prospettive nelle gare a tappe (dove però tornò a vedersi nelle zone alte della generale solo col 6° posto del 1993, quando il meglio l'aveva già abbondantemente dato). Sicuramente però nell'immaginario collettivo più del piazzamento finale di quell'edizione restano impressi i successi sul San Luca sovrastante Bologna, in quella terza frazione in grado di esaltare al meglio le sue doti di uomo da classiche grazie alle pendenze micidiali che caratterizzano da sempre l'ascesa al santuario. Fignon e Rodriguez Magro gli si inchinarono quel giorno così come Moser e Da Silva cedettero il passo due giorni dopo nella quinta tappa, da Numana al Block Haus, caratterizzata dalla giornata-no di Fignon. Due successi parziali con maglia di campione italiano ben in vista, dal momento che solamente i primi due della classe (Moser e Fignon) furono in grado di spartirsi le varie maglie rosa nell'arco delle ventidue frazioni complessive.
Francesco Moser che appena due anni prima, nel pieno dello scontro a tutto campo con Giuseppe Saronni, aveva provato lui stesso la gioia di poter alzare le braccia al cielo indossando la maglia di campione nazionale. Anzi, sarebbe corretto dire che aveva riprovato, dal momento che i titoli italiani conseguiti nel 1975 e nel 1979 gli consentirono di vestire il tricolore in altre due edizioni del Giro d'Italia, bagnate rispettivamente con tre successi (a Messina, nella crono di Ostuni e a Varazze) nel 1976 e nel prologo di Genova nel 1980. Quattro successi tricolori che nel Giro 1982 potevano essere senz'altro rimpinguati, magari lasciandosi alle spalle il rivale di sempre. E così accadde, con il valido Paolo Rosola ad inframezzarsi nella lotta tra i due in entrambi i casi con la piazza d'onore: Moser si impose infatti nella settima tappa da Castellammare di Stabia a Diamante e nella ventesima frazione che da Vigevano condusse il gruppo a Cuneo.
Il medesimo onore era però spettato già l'anno precedente a Giuseppe Saronni che, prima dei trionfi pugliesi a Rodi Garganico e Bari (Moser e Demierre, Kehl e Rosola i battuti) nella quinta e sesta frazione, aveva già alzato le braccia al cielo in quel Giro 1981 nella terza tappa. A rivederla oggi recita: Bologna-Recanati, chilometri 255. Moser e Mantovani alle piazze d'onore. Trent'anni sono passati da allora, per trovare il trait d'union in grado di legare indissolubilmente l'attuale team manager della Lampre con Filippo Pozzato, che per sua ammissione ha già fatto capire che il Giro d'Italia sarà l'ultima occasione per sfoggiare la maglia di campione nazionale. Pazienza se in questo caso non c'era un ermo colle da scalare. Oppure si, in quella Potenza Picena molto meno leopardiana di Recanati. Un italiano vincente al Giro, un campione italiano vincente in linea dopo tredici anni non ci potranno di sicuro indurre al pessimismo.