Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Massimiliano Napolitano
Versione stampabile Massimiliano Napolitano è nato a Vittoria, in provincia di Ragusa, il 13 marzo 1973. Da quando ha superato i diciott'anni s'è trasferito al nord ed oggi risiede ad Iseo (BS) insieme al fratello più giovane, e per molti appassionati più noto, il velocista del Team Katusha Danilo. Massimiliano non è (attualmente) un corridore, anche se rivela: «Amo uscire in bici appena posso, sebbene il fisico non lo riveli...». Massimiliano Napolitano è un massaggiatore della Lampre-Farnese Vini. Com'è entrato in questa rubrica, dunque? Non si parlava solo di ciclisti ancora poco noti al grande pubblico? Certo, si parla anche di loro, ma da quest'anno abbiamo scelto di dare voce anche a coloro i quali lavorano giorno e notte per il successo dei campioni. Puoi chiamarlo personale dello staff o - se preferite l'inglese - crew, avrai comunque davanti una figura che segue i propri ciclisti da mattino a sera, preparando loro tutto il necessario per una giornata di gara, partendo dalla sveglia per finire al dopo cena. Se non avete capito granché di cosa s'intenda con "massaggiatore" ve lo spiegherà direttamente Massimiliano.
Ciao Massimiliano, tanto per far comprendere meglio qual è il mestiere del massaggiatore, puoi spiegarci come si snoda la tua giornata tipo?
«Alle corse la sveglia suona alle 7, a volte prima. Si va a far colazione, quindi si prepara tutto per la gara; borracce, sacchetti per il rifornimento, si puliscono le ammiraglie dentro e fuori. Dopo la colazione noi massaggiatori, che lavoriamo solitamente in gruppi di tre, ci dividiamo. C'è chi porta il pullman direttamente all'arrivo, prende le chiavi delle stanze dell'hotel, monta già i lettini per i massaggi, prepara un po' di macedonia per i ragazzi in modo da farli arrivare tranquillamente dal dopo corsa alla cena. Chi non va in hotel segue la corsa. Alla partenza, specie in inverno quando è più freddo, è possibile che i ragazzi abbiano bisogno di una crema riscaldante, da spalmare sulle gambe. Una volta partiti si va al rifornimento e si distribuiscono i sacchetti preparati alla mattina. Dopodiché si cerca di anticipare la corsa ed arrivare al traguardo per accogliere i corridori e guidarli verso il pullman, dove faranno la doccia».
E poi la giornata non è finita. Si va in hotel, giusto?
«Sì, terminata la corsa si parte verso l'hotel. E lì solitamente si arriva abbastanza tardi, dipende quando termina la corsa. Se l'organizzatore è stato saggio da farla partire alle dieci, o comunque non oltre mezzogiorno, si riesce a fare tutto in tempi ragionevoli. Se la corsa parte all'una i tempi saranno più ristretti, ipotizzando un arrivo alle sei. Metteteci una mezz'ora abbondante di trasferimento dal traguardo all'hotel. Lì dobbiamo fare tre massaggi a testa, che portano via cinquanta minuti. Di meno no, altrimenti non avrebbe senso farli. Insomma, tra una cosa e l'altra, si arriva a cenare alle nove, anche alle nove e mezza. Finita la cena c'è da prepararsi per il giorno dopo, si scambia qualche chiacchiera con i ragazzi e si va in camera da letto. Lì mi ritrovo finito come una carogna! (ride)».
Dunque si scrive "massaggiatore" ma si legge "factotum".
«In effetti è così, perché il tempo dedicato ai massaggi è solo di tre ore al giorno, quando c'è tempo. La figura del massaggiatore è un po' così, infdefinita, perché oltre ai massaggi comprende lo spostamento da una sede di tappa all'altra dei bus, il viaggio con le ammiraglie, bisogna occuparsi della logistica in hotel. Insomma, c'è molto altro al di là dei massaggi, ma questo vale per i massaggiatori di tutte le squadre».
Verrebbe quasi da pensare che la vita del massaggiatore sia più faticosa di quella del ciclista...
«Diciamo che sono due tipologie di fatica diverse l'una dall'altra. Garantisco che chi pedala ne fa moltissima. Noi dello staff invece abbiamo un sacco di mansioni da svolgere, ma sono ben distribuite durante l'arco della giornata, ecco».
Sai bene di che cosa parli, essendo stato, prima ancora che massaggiatore, ciclista. Quando hai iniziato a pedalare?
«Ho iniziato ad 8 anni, in Sicilia, dove ho corso nelle categorie minori. Giovanissimi, Esordienti, Allievi e Juniores li ho corsi giù. A 18 anni sono venuto su al nord, ho fatto il servizio militare a Bologna, nella Compagnia Atleti. Avevo il permesso per correre nei fine settimana, così mi sono dovuto cercare una squadra. La trovai a Torino. E dopo, nel 1998, sono passato professionista».
E non in una squadra qualsiasi, bensì nella Mercatone Uno, insieme a Marco Pantani. Come ricordi quel periodo?
«Naturalmente ho ottimi ricordi, sia dell'esperienza che dei compagni. Era un periodo ciclistico un po' strano, ogni anno una cinquantina di dilettanti passavano professionisti. Contava quindi esprimere tutte le potenzialità subito, perché a fine stagione di quei cinquanta neo professionisti ne rimanevano una decina in attività. Io ero tra i quaranta che dopo un paio d'anni furono costretti a smettere, era il 1999. Forse c'era chi meritava meno di me di restare tra i professionisti, però da allora ne è passata di acqua sotto i ponti...».
Prima di raccontarci il seguito della tua storia non posso non chiederti un ricordo di quei due anni corsi con Marco, a quasi 6 anni dalla sua tragica scomparsa.
«L'impressione che ebbi nel 1998, al primo ritiro dell'anno, fu di uno che non se la tirava per nulla, anzi. Il fatto che si intrattenesse amabilmente con tutti, anche con me che ero l'ultimo arrivato, mi stupì non poco. Ma fui stupito molto di più dagli argomenti di cui si parlava con Marco e dalla sua curiosità. Sapeva tutto di caccia, pesca, di motociclette ed automobili. E ci raccontava che se era andato a caccia era per cacciare il tal animale, a pesca per pescare quel tipo di pesci. Aveva ventott'anni, ma parlava con l'esperienza di un settantenne! Inoltre non era affatto un maniaco della bicicletta. Se voleva andare a giocare a calcetto anziché allenarsi, o se gli andava di provare qualsiasi cosa lo interessasse, lo faceva, magari anche a discapito della bici. Era capace di arrivare al primo ritiro a Terracina con 500 chilometri nelle gambe, quando io mi ero allenato tutto l'inverno ed ero ben messo, diciamo sui 3000 chilometri. Si andava a fare l'uscita di gruppo e pur con quei pochi chilometri nelle gambe staccava tutti su una salita, se la voleva fare forte. Staccarmi in salita non era così difficile, a dire il vero... Non lo faceva per spavalderia, semplicemente gli veniva naturale salire ad un ritmo che gli altri erano impossibilitati a tenere. E una volta sceso dalla bici pensava a tutto tranne che al ciclismo. Se penso a quella volta che... non so se posso raccontarla, ma in fondo son passati tanti anni...».
Prego.
«Era il '98, Marco arrivò al primo raduno della squadra, a Terracina e chiese a Martinelli se conosceva qualcuno che in zona potesse vendergli due Terranova. Andò da un allevatore, vide i cani e dopo le due settimane di ritiro se li portò a casa. Purtroppo i due cuccioli erano malati. L'anno seguente Marco, un po' infastidito, tornò dall'allevatore e gli chiese altri due Terranova, ma belli sani. L'allevatore disse che si sarebbe fatto vivo in pochi giorni. Passate le due settimane di ritiro, però, s'erano perse le tracce di quest'uomo. Così l'ultima sera andammo a prendere un aperitivo a Terracina e ritornammo in hotel verso mezzanotte. Poco prima avevamo visto Marco e Fausto Pezzi, il figlio del povero Luciano, allontanarsi non si sa bene per quale destinazione. La mattina seguente Marco arrivò alla colazione e ci disse che aveva un pastore tedesco ed un pitbull di quattro anni. Se qualcuno di noi fosse stato interessato ed avesse voluto tenerli non ci sarebbero stati problemi. Pochi giorni dopo, scoprimmo che quella notte Marco e Fausto avevano scavalcato due o tre cancelli, introducendosi nell'allevamento. Marco aveva passato i due cani a Fausto e poi erano tornati in albergo. Per certi versi era un po' un "teppistello", ma a livello mentale, e non solo fisico, era il più forte di tutti. Se voleva una cosa la otteneva, questa è sempre stata la sua forza. Per non parlare della fama che aveva raggiunto: ricordo ancora una volta che durante una corsa in Spagna transitammo per un paesino sperduto. Provate ad indovinare qual era il nome scandito dagli abitanti?».
Tornando a te, a fine '99 smetti con il ciclismo pedalato e cosa succede?
«Che la passione ti resta dentro, non volevo uscire da questo mondo, così nel 2000 giravo ancora, sì, ma come rappresentante. Di sera frequentavo le serali, tecnico del massaggio. Nel 2001 tornai nel ciclismo, questa volta da massaggiatore. Prima con Reverberi, quindi seguii il Giro d'Italia con una squadra femminile. Poi la Mercatone Uno mi stilò una serie di corse da seguire e ritrovai molti dei ragazzi con cui avevo corso fino a due anni prima. Nel 2002 invece passai alla Saeco-Longoni Sport, che dal 2005 cambiò in Lampre-Caffita. E sono ancora qui».
Spesso si dice che il lettino del massaggiatore è anche un lettino da psicologo, perché il corridore viene anche a sfogarsi, durante il massaggio.
«Tutto sta nel capire per che cosa è venuto da te un corridore. C'è quello che viene al massaggio e vuol parlare della corsa, di una tattica sbagliata, uno scatto troppo ritardato. Altri invece hanno bisogno di parlare di altre cose. Si spazia dalla famiglia alla macchina, alla fidanzata... Per far distendere il corridore è necessario non parlare della corsa, si parla d'altro. Ma più di tutto il rapporto tra corridore e massaggiatore va sentito a pelle. Chiaro, nell'annata massaggio tutti, ma magari c'è un corridore che preferisce essere massaggiato da me, perché si trova bene».
Nella tua carriera qual è il corridore che hai seguito e stimato maggiormente?
«Per come si comportava da gran signore, molto sensibile, direi senza dubbi Mirko Celestino. Si sentiva proprio che mi apprezzava, mi stimava come io stimavo lui e ciò non ha potuto che farmi piacere. Ma le soddisfazioni più grandi me le sono tolte con Simoni. Ci siamo conosciuti nel 2002, io ero appena entrato alla Saeco, lui arrivava dalla Lampre-Daikin con la quale aveva appena vinto il suo primo Giro. Eravamo molto affiatati, veniva sempre da me ai massaggi e col tempo è nata un'amicizia. Per quattro anni mi ha voluto con sé anche ai ritiri estivi a St. Moritz, a casa del patron Galbusera, in preparazione al Tour, per gli allenamenti in altura. Con Gilberto ho passato bellissimi momenti. Oltretutto parliamo di un grande atleta, capace di vincere due Giri, andare a podio altre quattro volte».
Tornando al presente, quali sono i corridori che sono passati sotto le tue mani nelle ultime ore?
«In ritiro ho massaggiato Manuele Mori e Sapa, il polacco che ormai dall'anno scorso è diventato un mio aficionado; molto simpatico, andiamo d'accordo, si ride, si scherza. E gli altri sono Petacchi e Ulissi».
Petacchi e Ulissi, due campioni diversi tra loro, uno molto esperto ed affermato, l'altro appena passato professionista, ma assai promettente. Come ti sei trovato con loro?
«Devo dire che ho scoperto un Petacchi diverso da quello che molte volte appare. Tutti lo vedono come un musone, ma lui è al contrario molto scherzoso. Mi ha detto che i sorrisi li tiene per le persone che sa che lo stimano veramente. Ale è un ragazzo davvero socievole, molto dolce e per nulla montato. Sai, prima di entrare, noi tre massaggiatori eravamo un po' in imbarazzo, perché una figura come la sua non può non mettere un minimo di soggezione. Invece è stato disponibilissimo, s'è lasciato massaggiare fidandosi di me, senza imporre nessuna volontà, come se lo avessi massaggiato da sempre. Abbiamo anche parlato di cambiamenti e lui mi ha detto che con quello che ha vinto e dimostrato negli anni non cambierebbe proprio nulla di sé. Quanto ad Ulissi è un bravissimo ragazzo, forse con qualche vizio di troppo, derivante dagli anni corsi tra gli Under 23. Lì appena chiedi una cosa al meccanico o al ds la ottieni, diciamo che hai un po' la pappa pronta. Tra i professionisti non è così, lui magari chiede delle cose - un pantaloncino troppo stretto o un cambio di sella - con il tono quasi dell'ordine. Intendiamoci, non è niente di grave, però certi toni li usano i professionisti dopo un bel po' di anni, e nemmeno tutti. Ma sono piccolezze che sono sicuro passeranno».
Con tutto questo lavoro avrai dei momenti in cui dai sfogo ai tuoi hobby. Cosa ti piace fare nel tempo libero?
«Nel tempo libero veramente amo andare in bici... A parte questo mi piace far niente e gironzolare».
Ti piace andare al cinema o preferisci qualche lettura?
«Al cinema non tanto e dei libri guardo soltanto le figure (ride). Credo di aver letto soltanto un libro in vita mia, però mi informo tramite i quotidiani sportivi e non, la Gazzetta non mi manca mai e leggo anche le riviste di ciclismo».
Le vacanze che più ti piacciono sono al mare o in montagna?
«Avendo novembre e dicembre liberi vado in ferie quando non c'è tanta gente in giro, che è un bene. Amo i posti caldi, quest'anno ho trascorso alcuni giorni a Santo Domingo che seguivano il soggiorno a New York. E sotto Natale scendo in Sicilia».
Sei sposato, fidanzato?
«Non sono né sposato né fidanzato, sono uno zitellone, come si dice dalle nostre parti (ride). Vivo con mio fratello Danilo ad Iseo. Andiamo d'accordo, ogni tanto si litiga, ma credo sia un situazione più che normale».
Ma il fratellino non è geloso che massaggi Petacchi, uno dei suoi più forti rivali negli sprint?.
«Me l'hanno detto anche in ritiro... Ma a me Petacchi è capitato questa volta; più avanti nell'anno, a meno che il corridore non chieda di essere seguito da quel determinato massaggiatore, c'è una rotazione e si finisce per massaggiare tutti i ragazzi».