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Joseba Beloki, arriva il ritiro - «Tifosi, state vicino ai corridori»

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Dopo il secondo posto dell'anno prima, quello sarebbe stato il Tour decisivo per la carriera del capitano del team di Manolo Saiz. Nelle prime tappe aveva impensierito Sua Maestà Lance Armstrong, che sembrava meno brillante di lui. Poi la discesa verso l'arrivo di Gap, il catrame squagliato sull'asfalto, una frenata un po' troppo brusca e le ruote che pattinano verso il grano, sbalzando Joseba e la sua anca sul manto stradale: ambulanza, ospedale, sospetta frattura al bacino, ed addio sogni di gloria, visti i soli 40" che lo separavano dal texano. Il suo Tour finì su quel lembo di Francia, con il femore, il polso ed il gomito destro fratturati, e praticamente in quel momento termino la carriera di Beloki.
Joseba, come ti senti? Come sono andati questi ultimi anni?
«Difficili, con molte ingiustizie e con la sensazione d'essere stato abbandonato dal ciclismo; ad ogni modo, ora sono molto più tranquillo. Il cambiamento m'ha fatto bene».
Potresti spiegarci la ragione del tuo ritiro adesso e, per esempio, non un anno fa?
«Quando la squadra chiuse, iniziarono una serie di problemi che pensavo potessero risolversi presto, quanto meno per tornare in gruppo nel giro di qualche mese. Mi allenai per tutto l'anno per correre, ebbi dei contatti con diverse squadre, ma al momento decisivo si finiva con un nulla di fatto; non ho mai potuto firmare un contratto, per via delle pressioni...».
Guardando indietro, come descriveresti la tua carriera?
«Una carriera da lottatore, in ascesa fino al luglio 2003 e da quel momento in calando».
Che stagione pensi sia stata la migliore? Il 2002?
«In termini di risultati sì. Essere secondo al Tour e terzo alla Vuelta è un risultato grandioso, però in termini di sensazioni, credo che la mia miglior stagione sia stata il 2003».
Il risultato che ti ha dato maggiori soddisfazioni, dal tuo debutto nel 1998?
«Penso proprio il secondo posto al Tour».
E il momento che ricordi con maggior piacere, nella tua carriera?
«La cronosquadre vinta del Tour 2002».
Dopo il terribile incidente del 2003, cosa ti spingeva a continuare ad allenarti?
«Da quando iniziai a correre, ci sono stati diversi momenti difficili, soprattutto prima di passare professionista: poi, non potevo certo arrendermi alla prima avversità».
E la stagioni con la Brioches la Boulangere e la Saunier Duval?
«Fu un periodo difficile, nel tentativo di recuperare dall'incidente. È stata dura cambiar squadra, lasciare quella che era stata la mia famiglia, dal punto di vista sportivo, la ONCE. In Francia non potevo curare le mie allergie come in qualunque altro Paese e per questo decisi di rompere il contratto; non fu così traumatico... Alla Saunier sono stato poco tempo; nel giro di qualche mese decisi di tornare all'ovile».
Come giudichi tutto il bailamme legato all'Operación Puerto? Sembrò una grossa ingiustizia nei tuoi confronti: essere dichiarato innocente da Manuel Sánchez Mártin, poco dopo essere stato escluso dal Tour de France 2006.
«Sembra incredibile, ma dopo due anni la gente sta iniziando a capire cos'è realmente OP. Bisogna che tutti si rendano conto che quella che è stata venduta come lotta al doping è un'altra cosa e ora il tempo sta portando a galla tutto. Adesso staremo a vedere quali ripercussioni ci saranno, chi pagherà per i danni causati ai corridori e al ciclismo».
Quando finirà ufficialmente la tua carriera? Pensi di continuare a lavorare nel mondo del ciclismo?
«La mia carriera di corridore è definitivamente finita il 21 dicembre, però voglio tornare ad occuparmi di ciclismo quanto prima. Mi piacerebbe mettere tutta la mia esperienza a disposizione dei giovani. Spero di avere un'opportunità in questo campo».
Tra dieci anni dove sarà – e cosa starà facendo - Joseba Beloki?
«Non saprei... Ma se tutto va nella giusta maniera, mi piacerebbe lavorare ad un progetto serio e stimolante. Intanto, abbiamo dato vita ad una marcia cicloturistica, a Vitoria, il 31 maggio e primo giugno: iscrizioni aperte a tutti».
Qualcosa che vorresti dire, in chiusura?
«Mi piacerebbe invitare la gente a continuare ad amare e sostenere i ciclisti; in questo brutto periodo che stiamo vivendo, si sta deteriorando quel legame storico tra il corridore e il pubblico ed è veramente un peccato».

Mikkel Condé
(Traduzione Stefano Rizzato)



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