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Ci hai fatto piangere - Il Lombardia a Bettini: è per Sauro

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Ci sono giorni in cui bisognerebbe non dire niente. Ci sono momenti in cui ogni parola sarebbe superflua, e raccontare una storia sai già in partenza che sarebbe una fatica sprecata; perché ci sono momenti in cui puoi attingere anche al più immaginifico dei linguaggi, saccheggiare l'infinito elenco delle metafore possibili, abbandonarti ad ogni sorta di lirismo, sconfinare nel poeticismo, inseguire con le frasi una realtà sfuggente, non descrivibile, perché ogni descrizione la diminuirebbe, la renderebbe inadeguata, perché solo averla vissuta, esserne stati testimoni, può restituire l'emozione di un attimo talmente forte, denso, profondo.
Ci sono giorni in cui non puoi far altro che arrenderti alla terribile bellezza delle nostre piccole vite, degli intrecci che ne vengono fuori, delle umane vicende, strazianti, deprimenti, stordenti, esaltanti.
C'è stato un giorno, nella vita di tutti noi, in cui Paolo Bettini ha vinto il Giro di Lombardia. Il secondo? No, l'unico. L'unico perché quello del 2005 era un risultato ciclistico, per quanto importante e memorabile. Questo di oggi è un'altra cosa. Questo di oggi è una lezione.
Si deve andare avanti, sempre e comunque? C'è chi lo dice. C'è chi dice che la vita continua. In altre forme magari, ma continua, perché la vita dopo aver perso un fratello non è più quella di prima, e non è nemmeno quella che sarebbe stata dopo, è solo un baratro che separa di netto due esistenze distinte, di cui solo il titolare è nominalmente lo stesso, ma di cui ogni particolare, ogni risvolto, ogni secondo non ha più nulla in comune con ciò che era.
C'è chi dice anche che la sola alternativa è di lasciarsi trascinare alla deriva; e forse è vero. C'è chi dice che devi ripartire per onorare il ricordo di chi hai perso, per la famiglia, per dare una speranza a chi è più debole di te, per indicare il modo di continuare a trovare un senso nello svegliarsi ogni mattina.
E tu, che un minuto prima hai pensato di farla finita, di chiuderti in una stanza e di non uscirne più, devi semplicemente essere più grande di quanto non sia mai stato. Devi fare in modo che le tue spalle divengano bastioni, che il tuo viso non tradisca il dolore, che la tua testa sia più lucida di sempre.
E non sai perché lo fai, lo fai e basta, perché l'hai sempre fatto, perché ci sei abituato, perché un altra maniera non la conosci. Lo fai, e mentre dai un insegnamento al mondo grande, quello fuori, e a quello piccolo dei tuoi affetti, non sai nemmeno che lo stai facendo, e magari neanche ti interessa, perché sei tu per primo che avresti bisogno che qualcuno lo desse a te.
Non c'era una persona, oggi, tra tutte quelle presenti al Giro di Lombardia, o davanti al televisore a casa, che non avrebbe voluto abbracciare Paolo Bettini. Che non avrebbe voluto condividere con lui la tristezza incancellabile che dal 2 ottobre ha segnato la vita del campione livornese. Nell'illusione, magari, di alleviargli il peso della morte del suo amato Sauro.
In una giornata d'autunno come questa, poteva essere solo autunnale il raggio di sole che l'ha rischiarata: malinconico. Lo si aspettava, Paolino, ad un'impresa che onorasse la memoria del suo sfortunato fratello; ma nessuno osava crederci, perché magari Bettini era al Lombardia per onore di firma, senza avere la possibilità di incidere, non ancora, perché bisogna avere una testa sgombra da pensieri per fare certe cose, bisogna essere concentrati, bisogna essere al 100% nel fisico e nel morale. Oppure bisogna essere dei fuoriclasse impareggiabili.
Che il Lombardia di Bettini non sarebbe stato la comparsa di un attore maldisposto, lo si è capito sul Ghisallo, dopo quasi 200 chilometri di corsa, e 160 di fuga a 4 di Pagoto, Totschnig, Caccia e Perry. Gli attaccanti erano lì provvisoriamente, come tutti sapevano, nell'attesa che alle loro spalle qualcuno accendesse la miccia. E quel qualcuno è stato proprio Paolo.
Nel momento stesso in cui il Campione del Mondo ha iniziato a tirare il collo al gruppo, è risultato chiaro che l'epilogo non avrebbe potuto essere differente da quello che tutti, in cuor nostro, auspicavamo e speravamo; e che l'immagine che tutti, alla vigilia, avevamo prefigurato, sarebbe stata realtà alla fine di questa meravigliosa giornata di sport e lacrime, al termine di una stagione ciclistica piena di emozioni e di stanchezza.
Sul Ghisallo, persi per strada i due Barloworld Caccia e Perry, Bettini ha portato sugli altri due fuggitivi, a un passo dalla cima, un gruppetto con Boogerd, Schleck e Rebellin. Subito dietro, Di Luca, che aveva pagato qualcosa alle trenate di Bettini; ancora più giù, Riccò e Samuel Sánchez. Poi Moreni, Wegmann, Carrara; poi il gruppo, con Valverde che aveva mollato a metà salita, staccato in maniera che si è subito rivelata irrimediabile.
A 25 chilometri dal traguardo, i vari drappelli al comando si sono ricongiunti, a formare un plotoncino di 12 uomini che sarebbero andati a giocarsi la vittoria sulle salite di Civiglio e San Fermo, prima della picchiata su Como. La preponderanza di Gerolsteiner, con Totschnig e Wegmann a fare compagnia a Rebellin, faceva sì che l'austriaco si spremesse tra Ghisallo e Civiglio, per far prendere all'azione un buon margine sugli inseguitori; dopodiché, non appena la strada è tornata a salire, Totschnig ha alzato bandiera bianca, imitato subito da Riccò, che è bravo ma ancora troppo giovane per avere un fondo che gli permetta di fare la differenza in un Lombardia. Staccato anche Pagoto, che saprà ritagliarsi alla fine, dopo essere stato in fuga tutto il giorno, un decimo posto che riluce di speranze.
A un chilometro dalla vetta di Civiglio, a 16 da Como, lo scatto d'orgoglio di Di Luca. L'abruzzese ha capito che non sarebbe riuscito a tenere fino alla fine, e allora perché restare zitto zitto in coda al gruppetto in attesa dell'inevitabile fitta di fatica alle gambe che avrebbe ufficialmente decretato la fine dei suoi sogni di gloria per quest'anno? Giusto Danilo, piazza l'allungo, e arrivederci al 2007.
Di Luca parte, non fortissimo ma parte, e quello è il segnale che Bettini attendeva. Eccola la rasoiata, arriva puntuale, e fa un male cane a tutti, l'iride si confonde con l'orizzonte d'asfalto di quella strada in salita, mentre dietro si arranca; Danilo va praticamente in crisi; Moreni, che non è certo il più adatto a questo profilo altimetrico, prova a ricucire, ma i colori che Paolino indossa si fanno ogni metro più confusi, indistinti. Sì, si arranca.
Meglio di tutti arranca Wegmann, che esce dal gruppetto di inseguitori, coi buoni uffici di un Rebellin non brillante come al Giro dell'Emilia di sabato scorso, e tenta l'impossibile ricongiungimento col battistrada.
Ci mette tutta l'anima, il tedeschino, ci mette le gambe e i denti, ogni muscolo del corpo teso nell'inseguimento, in apnea, senza respirare fino alla fine della discesa, quando finalmente, quando al traguardo mancano 11 chilometri, Fabian vede la ruota di Paolino, ci si aggancia sputando le ultime energie, spalanca la bocca per incamerare tutta l'aria possibile, come se fosse riemerso in quel momento da un incubo.
Fossero passati anche solo altri 100 metri, Wegmann non avrebbe ripreso Bettini. Ce l'ha fatta, invece, ma sa che è ugualmente destinato alla sconfitta. Sa che il San Fermo lo respingerà. E infatti lo respinge. Il Campione del Mondo nemmeno forza, ma per il suo occasionale compagno di fuga anche il minimo è troppo. Solo, Paolo se ne va solo, con la salita, con quei 6 chilometri che mancano al traguardo, coi suoi pensieri in cui chiunque potrebbe immedesimarsi.
Schleck, pessimo sulle discese, prova a recuperare in salita, trainando gli inseguitori, e limando qualcosa del margine, che era giunto a quasi 30". In cima, Bettini ha 12" su Wegmann, 20" sul gruppo. In discesa Paolino è prudente, giustamente, mentre non mastica lo stesso pane Samuel Sánchez, che si lancia da solo all'inseguimento di Wegmann, e lo riprende nel finale.
Finale ma non abbastanza, perché lo spagnolo si avvicina troppo a Bettini, e invece no caro Samuel, nessuno deve rovinare questa drammatica magia. Bettini sente che gli sono alle spalle, a 8" da lui, e accelera un'altra volta. E ormai manca troppo poco perché qualcuno, dietro, abbia la forza per un nuovo colpo di coda.
Bettini è a Como. Vede il traguardo, e gli scoppia il cuore, in un pianto irrefrenabile, caro Paolo, le braccia al cielo a indicare un angolo della mente, quello da cui i ricordi non potranno mai svanire, quello in cui attingere la forza e la fiducia nel futuro, quello in cui rifugiarsi in cerca di risposte quando davanti a sé non ci sarà più uno striscione da tagliare prima di tutti, ma soltanto un tragitto da percorrere col proprio passo.

Marco Grassi    

 

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