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Inchiniamoci a Valverde - Liegi, Ale batte Bettini e Cunego | Cicloweb

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Inchiniamoci a Valverde - Liegi, Ale batte Bettini e Cunego

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Ed ora, dopo questa vittoria limpida e meritata alla Liegi-Bastogne-Liegi, nessuno potrà più mettere in discussione Alejandro Valverde.
Lo spagnolo di Murcia da qualche anno veniva indicato da più parti come un possibile dominatore di quest'epoca; e invece, la strada arrivava puntuale a smentire le sibille propizie: mai del tutto a proprio agio fuori dai confini patrii, mai efficace nelle corse veramente importanti. Un primo sussulto al Tour dell'anno scorso, con la vittoria di tappa a Courchevel davanti ad Armstrong seguita, a distanza di pochi giorni, dal ritiro; un'assenza di oltre due mesi, poi il ritorno al Mondiale madrileno, bagnato dall'argento.
In pochi, nel ciclismo contemporaneo, hanno diviso maggiormente il pubblico come Valverde: chi lo ama visceralmente, e ricorda che Ale in fondo ha solo 26 anni (da compiere martedì, peraltro), e quindi tante critiche sono ingiuste, si contrappone a chi fino a pochi giorni fa non credeva che il murciano fosse un corridore fatto e finito. Le prime crepe nelle certezze dei detrattori mercoledì, alla Freccia Vallone, vinta con autorità da Alejandro.
E poi oggi, dopo questa scoppiettante Liegi, tutte le remore devono necessariamente andare in disarmo. Bisogna riconoscere a Valverde di essere un grande protagonista di questo ciclismo. Chi scrive era più propenso a non credere troppo in lui, e invece ora non resta che alzare le braccia, chiedere scusa per tale svista (o errore di valutazione, la si può mettere come si vuole), e riconoscere che lo spagnolo è davvero quel fuoriclasse che prima solo si intravedeva.
Sarà un crack, capace di vincere anche il Tour (o perlomeno la Vuelta)? Questo lo vedremo (e chi si sbilancia più?), lo scopriremo magari presto, ma per il momento basta e avanza quello che abbiamo visto: anche se non dovesse sfondare nelle gare a tappe, Valverde è ormai assurto al rango di pezzo da 90 del ciclismo degli anni 2000, può battagliare con i Basso e i Cunego da una parte e con i Boonen e i Bettini dall'altra. È un corridore completo. Un campione completo.
La Liegi 2006 conferma intanto la tendenza che vuol veder premiati in questa stagione i corridori fortissimi (tanto per avvalorare la tesi, andare a leggersi i vincitori delle tappe del lontano Giro della Georgia, che si corre proprio in questi giorni, in contemporanea con una corsa, il Giro della Bassa Sassonia, che invece in Germania è stato letteralmente spianato da Alessandro Petacchi, vincitore di 5 frazioni su 5, più - ovviamente - la classifica finale). Bene, benissimo, il ciclismo è più vitale che mai, vincono i campioni, ad ogni occasione possibile. Talmente grande è questo fattore che non ci stancheremo facilmente di sottolinearlo.
Dopo una fuga fiume di decine di corridori, che ha partorito poi un estremo tentativo solitario di Wesemann, allo scoperto per circa 40 chilometri, la corsa è entrata nel vivo nel momento in cui lo svizzero-tedesco è stato ripreso.
Sulla Redoute, salita regina della Liegi, il controllo è venuto meno e sono iniziati i colpi di classe. Il primo a metterne uno a segno è stato Ivan Basso, proprio uno dei protagonisti più attesi alla vigilia. Il varesino si è messo in testa e ha dato non una trenata, di più: quasi uno scatto, in ogni caso una progressione tremenda che ha iniziato a spezzettare il gruppo. Mancavano 35 chilometri alla fine.
Bettini, da subito sulla ruota di Ivan, ha dato anche lui uno strappetto al plotone, in cui guadagnavano posizioni tutti i più forti: Valverde era lì, Cunego era lì, Di Luca era lì, e Schleck, e Martín Perdiguero, Kessler, Boogerd, pure Vinokourov campione uscente, pure Simoni al suo esordio nella Doyenne (ma Gibo, deciderti prima?). E lì, sulla Redoute, poteva Cunego lasciare impunita la progressione di Basso? No, non poteva. Damiano è partito fortissimo, e davvero il suo scatto ha fatto male, malissimo a tutti. Solo i più competitivi sono riusciti a rientrare su di lui, poco dopo: fondamentalmente, i favoriti al successo erano tutti insieme, in un gruppetto di pochi eletti (più o meno 20 uomini), in cima alla Redoute. Bettini da solo (come Boonen alla Roubaix: e la Quick Step si ridimensiona), e poi Cunego con Ballan, Basso con Kroon e Schleck, Sinkewitz con Kessler, Valverde con Joaquín Rodríguez, Vinokourov con Jaksche, Di Luca con Pellizotti (ma Garzelli?) e poi ancora Simoni, Boogerd, Horner, Samuel Sánchez e Astarloa: preponderanza di italiani e spagnoli (ma 7-4 per noi).
Una situazione clamorosamente bella, tutti i più forti insieme nel momento topico. E come spessissimo succede nel ciclismo, serve la carta che sparigli. Tutto sta a chi la gioca per primo: ci prova Di Luca, che manda Pellizotti a tampinare un tentativo di evasione di Horner, ma Vinokourov fa la guardia e non dà spazio. E allora è la volta di Valverde, che muove sulla scacchiera un alfiere veramente bravo, Joaquín Rodríguez. Il quale parte sullo Sprimont, ai 30 dal traguardo, e viene poi ripreso da Boogerd in discesa.
Boogerd, proprio lui: uno che se ci fosse un concorso per il più grande secondo della storia, arriverebbe secondo. Eppure in quest'occasione Miki incide come non mai nell'economia della corsa. Sa che in una qualsiasi volata sarebbe battuto, e sa che questo tentativo è quanto di più grande possa chiedere alla sua giornata. E allora ci dà dentro, proprio come un forsennato, l'altro ha il capitano dietro e non collabora se non saltuariamente, e si sa che le collaborazioni saltuarie sono sinonimo di precariato.
Eppure Boogerd è talmente forte da reggere da solo il 95% del peso della fuga: i secondi di margine sul gruppetto crescono, chilometro dopo chilometro: 16 ai 26 km, 21 ai 24; intanto sugli inseguitori rientrano degli altri inseguitori, più attardati: e questo significa che Baguet e Garate possono mettersi finalmente al servizio di Bettini e tirare, e lo stesso possono fare Vicioso e Contador. Tirano, tirano, eppure la locomotiva Miki continua a non conoscere soste, +28 ai 23 km, +31 ai 19, +38 ai 18, +46 ai 17. Una sequenza incredibile, tanto che veniva da chiedersi perché quel Gioacchino spagnolo non si mettesse a dare cambi regolari, ma insomma, si può essere tanto miopi, insomma, Boogerd in volata è un paracarro, insomma Gioacchino, la Liegi era lì a portata di mano, bastava crederci.
Sarà che il discrimine tra i campioni e i non-campioni è proprio lì, nel capire quando è il momento buono, ma Rodríguez, ligio fino in fondo agli ordini di scuderia, nemmeno si accorge che il treno della vita, o della svolta, sta passando, e lui deve ancora raccapezzarsi coi bagagli, e il treno scappa via. E sì, Joaquín ne vedrà solo la coda, sempre più piccola, sempre più lontana, perché poi sì che si metterà a dare una mano a Boogerd, ma quando sarà troppo, troppo tardi.
Il Sart-Tilman: Jaksche viene mandato da capitan Vino a menare di brutto, e lui, fedele, mena di brutto. Quando è proprio al limite, è riuscito nella leggendaria impresa di recuperare 6", ma subito dopo Boogerd respira e riparte, e il gap torna a salire, +42" ai 14 chilometri, Gioacchino sempre passivo.
Ecco allora che Valverde vede coi propri occhi franare il castello di carte degli avversari: capiscono, lì dietro, che se non si muovono in prima persona, quei due non li riprenderanno più. Primo fra tutti lo capisce Bettini, altro che impulsivo, altro che scriteriato, senza il suo scatto secco non ci sarebbe più storia, e Boogerd aumenterebbe la collezione di secondi posti.
Bettini si scrolla tutti dalla ruota, anche lo stesso Valverde che sulle prime provava a tenerlo. Il suo fendente è profondo, tagliente, lo conduce a recuperare in un lampo 20" dalla coppia di testa, e spinge anche quelli dietro a mettersi in fila indiana per rimontare: Basso si mette a guidare il gruppo, poi è Vinokourov a provare a partire, con Horner. Bettini sempre solo. Ma non è aria per imprese leggendarie oggi, Paolo lo capisce in discesa, il gap dai primi non va più giù di 19", meglio rialzarsi e rinviare tutto ad un'eventuale volata.
Sull'aire dell'azione di Bettini, in effetti, il gruppo dei migliori si riavvicina a Boogerd e Rodríguez. Tra il Sart-Tilman e il Saint-Nicolas c'è lo spazio per guadagnare. E a guidare il plotone ci sono due Lampre, ora: Figueras e Stangelj. Due Lampre, il che significa che Cunego c'è eccome, vuole provarci, non si accontenta di aver studiato gli avversari del Giro, di averli testati sulla Redoute, di averne analizzato i respiri e i battiti. Il margine scema, crolla. Ora Gioacchino dà i cambi a Miki, bella lenza, se ne fosse ricordato 15 chilometri prima ora staremmo raccontando tutta un'altra storia.
Il Saint-Nicolas: ormai il destino della coppia di testa è segnato, a 6 km dalla fine (inizio salita) i secondi sono solo 17, il debito con l'ossigeno è infinitamente più grande, e l'azione di Kashechkin, che in teoria lavora per Vinokourov, è determinante. Di Luca, dopo il kazakino, si mette lui a fare il ritmo, anzi altro che ritmo, Danilo parte proprio, e ha Martín Perdiguero, bruttissimo cliente, alla ruota. Talmente brutto, quel cliente, che se ne va in contropiede, e da solo riprende Boogerd e Rodríguez. Sulla coppia arriva Miguel Ángel e mancano 5 chilometri e mezzo alla fine; è uno stillicidio: sul terzetto arriva Sinkewitz, e di chilometri ne mancano 5, sul quartetto arriva Valverde, ma dove sono finiti gli italiani?
Eccoli, sospiriamo, come un rosario si accodano tutti, Schleck, Boogerd (ma quanto ne ha?), e Cunego e Basso, Kashechkin, Horner, e Di Luca e Bettini. Facciamo l'appello: non c'è Simoni, non c'è Ballan, non c'è nemmeno Vinokourov. Sono questi i 12 che si giocheranno la Liegi sulla Côte di Ans, quella che porta al traguardo. La partita a scacchi continua, anzi entra nella sua fase più entusiasmante.
Ai 3 chilometri Basso manda Schleck a farsi un giro in avanscoperta, ma la Caisse d'Epargne, nelle persone di Valverde e Rodríguez, non dà tregua: lo stesso Joaquín completa una giornata da gregario biturbo mettendosi in testa a tenere un'andatura elevata per far passare a tutti la voglia di scattare: Valverde si sente il più forte in volata, e ha ragione, Bettini poteva impensierirlo ma si è speso per inseguire Boogerd. Gli altri non fanno paura.
Al triangolo rosso dell'ultimo chilometro Sinkewitz innesta la trazione anteriore, si porta appresso Basso, ma non c'è niente da fare, non c'è spazio. Ci riprova Schleck, con lui Boogerd, e poi Sinkewitz, e Cunego e... sono tutti lì, ancora lì. L'ultimo a tentare di anticipare lo sprint è un commovente Boogerd, con Cunego, e quando Basso tenta un estremo affondo in realtà siamo già in piena volata lanciata: Valverde è il più forte, Bettini ne cura la ruota ma non viene fuori, Cunego parte forse da troppo dietro, ma più del terzo posto era comunque difficile ottenere.
Valverde vince, a mani basse, o alzate, come preferite, vince e strappa a Boonen la maglia di leader del Pro Tour, vince e si consacra, batte un gruppo di corridori fortissimi. Non c'è bisogno di cercare consolazioni, quando è il più forte ad avere la meglio, quando è la classe ad imporsi.
Anche se noi italiani le consolazioni ce le abbiamo, e belle grosse: si chiamano Giro, perché questi campioni che oggi ci hanno fatto soffrire ed emozionare, e poi per un secondo, al traguardo, imprecare per la sconfitta, li ritroveremo nella corsa rosa tra quindici giorni: a dare sale nelle tappe intermedie (Bettini), ma soprattutto a battagliare per vincere, e i Cunego, i Basso, i Di Luca, i Simoni hanno dimostrato di esserci e di essere fortissimi, di non voler lasciare niente agli altri, di non voler mollare la presa, di non poter fare a meno di competere tra loro. Lo si disse all'atto della presentazione, lo si è ripetuto spesso negli ultimi mesi, ma oggi lo possiamo affermare davvero a ragion veduta, di fronte alla grandezza degli attori che ne reciteranno il copione: sarà un grande Giro.

Marco Grassi




Le pagelle della Liegi


Valverde - 10
Della serie: "come ti cambia una vittoria". Corre con una sicurezza disarmante, si forgia del lavoro di prezioso appoggio svolto da Rodríguez Oliver alle spalle di Boogerd e cura semplicemente le ruote più veloci del suo gruppo, al secolo Bettini, Cunego e Di Luca. Risponde bene agli allunghi di Martín Perdiguero prima e Basso poi sulla Côte d'Ans e poi si incolla anche alla ruota di Sinkewitz il quale, dopo, quasi si scusa tirandogli una volata coi fiocchi. Vince facile allo sprint, ma è soprattutto la condotta di gara a darci ottimi segnali. Ormai sarà sicurissimo di sé il "Principe delle Ardenne".

Cunego - 9
Che fosse forte lo si sapeva da tempo, che fosse assolutamente competitivo per le classiche più dure del calendario lo si era capito dal Lombardia edizione 2004 e dalla Liegi edizione 2005. Il veronese prova addirittura l'allungo sulla Redoute, dosando poi le energie quando si accorge che il gruppo è "solo" allungato. È molto pimpante, trae il massimo risultato da una Liegi corsa «solo per allenarsi sul lungo chilometraggio» (testuali parole di Damiano dopo il Trentino): e se avesse voluto vincerla?

Rodríguez Oliver - 8,5
È la chiave di volta tattica di Echavarri che scardina le certezze che sino a quel momento si erano costruiti gli altri team. Dapprima in solitaria, poi inseguendo Boogerd, lo scalatore spagnolo permette a Valverde e alla Caisse d'Epargne di dormire sonni assolutamente tranquilli, anche perché in caso di arrivo a due lo spagnolo mangerebbe in un sol boccone le velleità allo sprint dell'olandese. In più nel finale, ad Ans, tiene alta l'andatura per impedire scatti che infastidirebbero Valverde.

Bettini - 8,5
Arriva 2° solo perché un ragazzo di nome Valverde è semplicemente lo scalatore più veloce in volata. Bettini è come al solito impagabile, tentando la sortita solitaria per andare a riprendere Boogerd e Rodríguez Oliver e rialzandosi quando si accorge di star da troppi chilometri a bagnomaria. Sceglie la ruota di Valverde nel finale, ma non riesce neanche ad avvicinarlo. Bravo Paolo, e complimenti anche per la franchezza nelle frecciatine verso la tua (futura ex?) squadra.

Basso - 8
La Csc oggi non è impeccabile, ma Ivan è assolutamente esente da colpe e voglioso di testarsi a fondo sul lungo chilometraggio, contro i migliori, e contro quasi tutti i pretendenti alla classifica finale del Giro d'Italia (mancava il solo Savoldelli, martedì in corsa al Romandia). Non ha avuto nelle gambe la "stoccata", ma ci ha provato più volte e questo non può che farci piacere.

Di Luca - 7,5
In volata è mancato, e questo è un chiaro segnale della forma meno smagliante rispetto ai primi tre, perché il Di Luca migliore è assolutamente in grado di battagliare con Bettini e Cunego per il podio dietro Valverde, imprendibile per tutti. Però l'abruzzese è bello tonico, è costantemente nelle posizioni di avanguardia ed in un frangente lancia anche Pellizotti in avanscoperta quasi a voler far presagire un attacco in prima persona, invece si "limita" nel seguire bene Kashechkin sul Saint-Nicolas, ma troppo a ridosso dello scollinamento.

Simoni - 7
Ecco un altro gatto da sette vite, o anche qualcuna in più. La colpa è di averla corsa per la prima volta a 34 anni, il merito è di averla corsa davanti fino al Saint-Nicolas, pagando poi neanche troppo nel finale. Cunego, Basso e Di Luca erano davanti, però, e lui non poteva di certo mancare.

Voigt e Stangelj - 6,5
In due frangenti differenti di corsa è il loro lavoro a tenere l'andatura del gruppo e permettere a quest'ultimo di riportarsi sui battistrada. Sotto i colpi inferti ai pedali dal tedesco di Riis cede l'elvetico Wesemann, mentre il forcing dello sloveno di Bontempi permette al gruppo di Cunego e Valverde di arrivare ai piedi del Saint-Nicolas con uno svantaggio minimo rispetto a Boogerd e Rodríguez Oliver, lavoro che ha permesso la bagarre scatenata da Kashechkin e Martín Perdiguero prima del ricompattamento generale ai piedi della Côte d'Ans. Due così fanno la fortuna di molti capitani. Due così, li troveremo di fianco a Basso e Cunego al Giro d'Italia. Non è poco.

Wesemann - 6
Non vi citiamo tutti e 25 i corridori in fuga ad inizio giornata, e allora scegliamo l'ultimo supersite, quel Wesemann già 6° alla Roubaix e 2° all'Amstel Gold Race che, nonostante il percorso poco si addica alle sue caratteristiche, prova a fungere da importante punto d'appoggio per Kessler e Sinkewitz, e in parte il suo lavoro riesce bene. Complimenti per la tenacia.

Sinkewitz - 5,5
Ci prova più volte e per questo è da applaudire. Aveva una miriade di uomini più veloci di lui nello stesso drappello ed era la cosa giusta da fare. Sia sulla Côte de Sprimont che sulla Côte d'Ans prova due anticipi non da poco che costringono il gruppo ad allungarsi tantissimo. Poi, però, una volta ripreso, non si capisce perché faccia da ultimo uomo a Valverde. Inerzia? Istinto? Volontà di prendersi il miglior piazzamento? Mah, peccato veniale magari, ma scelta abbastanza incomprensibile.

Martín Perdiguero - 5
È veloce, e non si spiega perché abbia speso così tante energie tra Redoute, Saint-Nicolas ed Ans. Poteva giocarsela tranquillamente con Bettini e Cunego, lui che vinse una Clasica San Sebastian poco meno di un anno e mezzo fa davanti allo stesso Bettini e a Davide Rebellin. Probabilmente non era lui a dover smuovere le acque, perché è davvero un peccato non giocarsi tutte le proprie possibilità per una sorta di "ansia d'attacco".

Team Csc - 5
Abbiamo applaudito spesso il team di Riis per la fantasia in corsa, ma oggi francamente se fossimo nei panni di Voigt chiederemmo quantomeno delle spiegazioni: Basso ci prova, è vero, Schleck anche, ma più timidamente. Kroon incorre in una foratura che lo mette fuori causa dopo la Redoute, ma le carte Basso-Schleck ce le saremmo giocate con più coraggio. Ma magari Schleck era un po' in calando e Basso è ancora (ovviamente) in crescendo, e quindi non infieriamo.

Boogerd - 4,5
Se all'Amstel era rimasto ingannato dalla tattica suicida della T-Mobile, oggi non è giustificabile. E non tanto per l'attacco da lontano, anzi, fin lì applaudiamo con assoluto vigore il tentativo dell'olandese di anticipare tutto il resto del plotone. Era la cosa giusta da fare, ma poi - benedetto figliolo - una volta ripreso, perché chiudere in prima persona tutti i buchi che si creavano? Prima Martín Perdiguero e Rodríguez Oliver, poi Sinkewitz e Basso: tutti tentativi scongiurati dall'olandese. Che - ahilui - non riesce proprio ad entrare nella mentalità del vincente: evidentemente, e semplicemente, non ce l'ha.

Quick Step - Innergetic - 4
Vada puntare su Boonen e Pozzato con assoluta decisione e scaricare Bettini dal 2007; vada anche costruire un team più incentrato sul fiammingo campione del Mondo piuttosto che sull'olimpionico livornese, comunque un non-belga. Però tra Amstel, Freccia e Liegi la Quick Step si è degnata di offrire a Bettini l'aiuto singolo di Pozzato in Olanda (circoscritto ai primi frangenti, tra l'altro) e un terzetto non troppo adatto né troppo in forma come Baguet, Garate e Tankink. Facile che Bettini rimanga solo, poi, e facile che si sprema per chiudere sui fuggitivi di giornata. Facile anche, poi, che Bettini non trovi in volata lo spunto che gli permetta di rivaleggiare più da vicino col murciano Valverde. Facilissimo anche, infine, poi dire: "Boonen e Pozzato hanno vinto meglio nel 2006". Voltafaccia un po' troppo brusco e francamente immeritato. Auspichiamo per Bettini tutele maggiori.


Mario Casaldi




La chiave tattica


Oggi la chiave tattica ha un nome e un cognome che rispondono rispettivamente ai suoni di Joaquín e di Rodríguez Oliver. Il cantabrico, già 2° a San Sebastian lo scorso anno quando fu importante per il successo del proprio compagno Zaballa (erano entrambi della Saunier Duval, sono passati entrambi alla corte di Echavarri), si porta in avanscoperta e poi tiene il passo di Boogerd che lo raggiunge. Collabora quanto basta a non farsi maledire troppo dall'olandese e quanto basta per farsi benedire sufficientemente dal proprio capitano, che riesce a star coperto per tutti i 30 km finali preoccupandosi soltanto di tenere sott'occhio le ruote veloci. Apprezzabile anche il lavoro di Pellizotti nella Liquigas, in avanscoperta per un po' di chilometri, a cui però non ha dato seguito con un attacco convinto Danilo Di Luca.
L'errore
La Quick Step non riesce ad aiutare come si deve Paolo Bettini e questa è una grossa pecca per uno squadrone come quello belga, mentre il Team Csc, pur avendo Basso, Schleck e Kroon davanti fino al Saint-Nicolas corre un po' troppo abbottonato e rischia poco negli attacchi. Siamo sicuri che con Kroon in avanscoperta insieme a Boogerd e Rodríguez Oliver la corsa sarebbe stata molto più aperta nella lotta "fuggitivi vs inseguitori", e invece così Basso e Schleck sono stati quasi costretti ad attacchi telefonati nel finale che hanno portato un 7° ed un 10° posto finale. Forse non il massimo.


M.C.


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