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Hai voluto la bicicletta? - Scopriamo il mondo di Valerio Agnoli

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Passare professionista a 20 anni non è storia comune nel ciclismo italiano. Se a riuscirci è un corridore del centro Italia, del Lazio nella fattispecie, suscita anche qualche clamore. Ma se al clamore si accompagna il nome di Valerio Agnoli ecco che anche i più scettici non possono che essere d'accordo sulle stimmate di un ragazzo che da stagista nella Domina Vacanze di Cipollini e Scarponi, dopo qualche settimana di apprendistato, si piazzò subito 10° al Giro di Romagna vinto da Bortolami. Non usuale, non da corridore qualunque.
Valerio Agnoli lo sa, ed ancor meglio lo sa Vincenzo Santoni, che anche nella Naturino-Sapori di Mare ha voluto Agnoli con sé e lo ha fatto correre attraverso le corse più importanti: Milano-Torino, Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo, Giro del Lazio, Trittico Lombardo, Giro di Lombardia. Un filotto cui manca il Giro d'Italia per l'assenza di tutto il team marchigiano, ma egregiamente sostituito con la prima vittoria da professionista per il giovanissimo ragazzo di Fiuggi: l'8° tappa del Qinqhai Lake, in Cina, condita dal 3° posto nella Classifica Generale. Scopriamo la simpatia e la sensibilità di Valerio.
Durante il Giro del Lazio, Valerio Agnoli, laziale doc, ci teneva a far bene e si è messo in mostra grazie ad una bella fuga.
«Le andature blande dell'inizio corsa hanno favorito lo sviluppo di una fuga di coraggiosi, e la presenza di Garzelli, Figueras e Valoti mi hanno indotto a provarci: all'inizio in effetti non era molto fluida, poi da dietro hanno rallentato e ci hanno permesso di affrontare in testa i tre colli di giornata. Sapevo che i 50 km che separavano l'ultima salita dall'arrivo, comunque, non avrebbero mai permesso alla fuga di arrivare in porto. Anche perché dietro parecchie squadre come la Quick Step di Pozzato, che ha poi vinto, e la Liquigas che avevano interesse perché il gruppo arrivasse compatto a Nettuno».
Com'è stato brindare al primo successo da professionista, seppur arrivato in un paese lontano dall'Italia come la Cina?
«Soddisfazione enorme, non me l'aspettavo veramente. La squadra mi aveva mandato in avanscoperta in una fuga di 15 corridori, ed una volta arrivati in volata pensavo che la presenza di due Barloworld nel gruppetto potesse favorirli. Invece ai 300 metri li ho sorpresi e sono riuscito a tagliare il traguardo per primo».
In Cina, al Qinqhai Lake, sono tra l'altro emersi corridori come Cunego e Danielson, lo sapevi questo?
«Una corsa che ha portato fortuna a molti, è vero, se consideriamo che la prima vittoria a tappe Damiano Cunego l'ha colta proprio in Cina, e poi da lì è nato il successo che tutti gli riconosciamo».
Dovessi scegliere, anche considerate le tue caratteristiche, preferiresti avere più occasioni nelle classiche o nelle corse a tappe, magari al Giro d'Italia?
«Questa prova di nove giorni che ho disputato in Cina è stata la mia prima esperienza vera e propria in una corsa a tappe, e devo ammettere che giorno dopo giorno, partendo dalla 20° posizione in Classifica Generale, grazie a buone doti di recupero sono riuscito a scalare posti e concludere al 3° posto, davanti al mio compagno Filippo Simeoni. Rispetto ad altri corridori presenti, quindi, ho capito di avere un recupero migliore. Certo, finché non concorrerò con i migliori nelle più importanti corse europee sarà difficile esserne certi, ma sicuramente i presupposti ci sono. Nelle classiche è diverso, già quest'anno in parecchie corse di un giorno mi sono sentito davvero bene, magari non a sufficienza per fare la differenza o quantomeno risultato, anche perché poi entrano in ballo fattori come l'esperienza che mi manca o la lettura di gara. Sono ancora alle prime armi, ed anche con tutti i consigli che mi danno, un corridore deve passarci su con la propria pelle sugli errori per capire e migliorare».
Agnoli è un po' l'eccezione che conferma la regola per quanto riguarda il professionismo italiano, che di solito lascia correre i giovanissimi tra i dilettanti per molti anni. Credi che a lungo andare questo professionismo precoce ti gioverà o preferivi startene per un paio di altri anni nella categoria inferiore?
«Ho sempre pensato che il mio approccio al professionismo da così giovane possa essere un'occasione non soltanto per me, ma anche per tutti quei ragazzi che nelle categorie inferiori vengano influenzati da fattori esterni per cercare risultati e per ambire ad un contratto. È ovvio che per me è un'ottima possibilità, perché a 20 anni avere già un contratto professionistico, vantare già il successo in una corsa, altri buoni piazzamenti distribuiti tra la Coppa Placci ed il Giro di Romagna è sicuramente un'ottima vetrina. Ma finché non sarò un campione non posso certo ritenermi appagato».
Il mancato invito della Naturino-Sapori di Mare al Giro d'Italia, ed il conseguente ritiro di Francesco Casagrande dall'attività agonistica, ti ha un po' penalizzato in questa ricerca di esperienza che pretendi di fare?
«Ho avuto la fortuna di correre con Casagrande durante la Settimana Internazionale Coppi&Bartali e durante il Giro del Trentino, e sinceramente l'esperienza al Giro d'Italia poteva rivelarsi utile sia sotto il profilo psicologico che dal punto di vista tattico. Sarei senz'altro riuscito ad imparare tantissimo da un grosso corridore, che già nelle poche occasioni che ha avuto si è mostrato sempre molto sensibile verso il sottoscritto, tenendomi accanto a lui in corsa e consigliandomi su piccoli accorgimenti in gara».
Ti sei più sentito con Casagrande, dopo il suo ritiro?
«No, anche perché abbiamo passato pochissimo tempo insieme e non è nato un rapporto di fratellanza come invece può essere successo con Simeoni, mio compagno di stanza e di allenamento».
Per un ragazzo laziale è difficile non lasciarsi tentare dal calcio e scegliere la "strada" del ciclismo. Non trovi?
«Personalmente ho un mio piccolo sogno che si sta realizzando, quello cioè di condurre i ragazzi di Fiuggi verso il ciclismo, anche perché io stesso ho patito la carenza di opportunità nella regione in cui vivo, ma posso dire tranquillamente lo stesso per quelle che sono ancora più a sud, lasciate praticamente allo stato brado per quanto riguarda il discorso di società giovanili. Sarà una soddisfazione immensa poter essere un giorno considerato un punto di riferimento per un movimento che spero sia sempre più in crescita. Anche perché è un peccato sprecare talenti - perché sono sicuro ce ne siano - non mettendoli in grado di potersi esprimere, al contrario di quanto accade dalla Toscana in su».
Chi, o che cosa, ha condotto Valerio Agnoli verso il ciclismo?
«Ho iniziato prestissimo, a sei/sette anni ero già in bicicletta. Ero alle scuole elementari e passarono i rappresentanti di una società che distribuirono dei fogliettini raffiguranti questa scuola di ciclismo. Ho voluto differenziarmi dai miei compagni, tutti alle prese con la scuola calcio, e da lì sono iniziate le prime corse, è nata la passione, sono venute le prime vittorie e, qualche anno dopo, il professionismo. Per ciò che verrà, ho solo tante speranze».
L'azione effettuata al Giro del Lazio ha analogie con quella della Milano-Sanremo e del successivo Giro di Lombardia? Un ragazzo giovane che sa di non avere molte chance di arrivare al traguardo grazie alla fuga, ma che punta a farsi vedere, a farsi notare, a far capire agli altri che lui è presente.
«Sì, senz'altro. La Sanremo ha la particolarità del lungo chilometraggio che tutti sappiamo, e per me è stata un piccolo trampolino di lancio verso i grandi orizzonti che spero di cogliere. Nella Classicissima avevamo studiato a tavolino, la sera prima, quell'attacco, pur consapevoli che non sarei andato da nessuna parte. In cuor mio spero di poter essere competitivo al massimo tra quattro anni».
In questo 2005 hai vissuto anche la più brutta parentesi della tua carriera: la scomparsa del tuo compagno di squadra Alessio Galletti durante la Subida al Naranco.
«Ho pianto. Ero in Francia alla Route du Sud, eravamo appena scesi dall'aereo a Tolosa e ci era venuto a prendere il ds ed in macchina abbiamo appreso della tragica notizia. In Cina, difatti, anche se non tutti lo hanno riportato, la mia vittoria l'ho dedicata ad Alessio ed alla sua famiglia, per onorare la memoria di un campione. Un ragazzo solare, simpatico, ti salutava col sorriso che valeva più di un qualsiasi "ciao". In corsa, insieme a Casagrande, è stato un maestro: quando non avevo Simeoni, avevo lui. Riusciva a gestirsi in maniera straordinaria e mi raccomandava di stare con lui, mi chiamava "giovane", e mi diceva: "stai tranquillo, la tappa è lunga, stai accanto a me". L'amarezza è tanta e difficilmente mi abbandonerà, anche se per quanto mi riguarda porto sempre con me in valigia una sua foto ricordo, una di quelle che ci diede la squadra dopo il Trofeo Matteotti. Certo, voltarsi e non vederlo più accanto a me è una sensazione davvero strana».
Speri di approdare in una squadra Pro Tour in tempi brevi?
«Sono legato a Vincenzo Santoni per diversi anni, ed ancora non ho ricevuto alcuna chiamata da squadre del circuito Pro Tour. Non ho procuratori, ma la Naturino è uno sponsor giovane che ha grande voglia di ciclismo, e speriamo che il 2006 possa essere l'anno giusto per me e per la squadra, tanto da meritarsi un posto tra le squadre del Pro Tour».
Così finalmente avrai la certezza di poter correre il Giro d'Italia.
«L'appuntamento al Giro d'Italia mi mette la pelle d'oca. La prima volta dovrò fare necessariamente esperienza, ma sarebbe ad ogni modo il primo passo verso quel piccolo progetto rivolto verso il crescere, e quello un pochino più grande rivolto verso il diventare un futuro campione».  


Mario Casaldi


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