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I magnifici sudamericani - Bis di Parra, lo Stelvio è di Rujano

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Una coppia così vorrebbero averla tutti: Ivan Ramiro Parra Pinto e José Rujano Guillén, numeri a ripetizione, spettacolo magnifico, attacchi continui, fughe incredibili, vittorie meritate e memorabili.
Quasi non credevamo ai nostri occhi quando, dopo tutto quello che hanno fatto ieri, oggi li abbiamo rivisti, tutti e due, all'attacco, e non un attacco come un altro, no, un attacco partito dopo 35 chilometri di gara, a ben 175 dall'arrivo, e con il non secondario particolare di uno Stelvio piazzato lì davanti alle loro gambe. Chiunque si sarebbe spaventato anche solo a pensarla, un'azione del genere, e invece Rujano e Parra sono partiti lo stesso, con un'incoscienza che è anche allegria, con una fiducia nei propri mezzi che è quasi fede.
E anche se Parra dice che erano scattati solo per i punti Gpm di Rujano, e che lui per primo non avrebbe mai creduto di poter trovare la seconda vittoria consecutiva in due tappe dolomitiche, il fatto resta: 350 chilometri di fuga in due giorni, e stiamo parlando di fughe non fini a se stesse ma capaci di fare il vuoto e di scavare distacchi importanti, e non in frazioni di trasferimento, ma fondamentali nel percorso del Giro.
Né tantomeno si può dire che li abbiano lasciati andar via: certo, Savoldelli oggi (così come Basso ieri - problemi allo stomaco a parte) non aveva praticamente squadra. Ma non è colpa di Rujano e Parra. Senza grossi tatticismi, i due sudamericani hanno impreziosito questa due giorni montanara, ritagliandosi grandi spazi di attenzione malgrado la lotta infuriasse tra i big della classifica. Categoria a cui ora è iscritto con ogni diritto Rujano, partito dalla maglia verde per allargare le sue mire alla generale, passando dal primo posto nella scalata allo Stelvio, un colle che in tutto il mondo è considerato come il più prestigioso del ciclismo.
Non vincerà il Giro, ma comunque è lì, davanti a tanti uomini molto più attesi (e blasonati) di lui, e non è detto che il podio sia un così improbabile obiettivo. E poi, cosa che non guasta, ispira tenerezza, con la sua taglia ridotta e con la faccia da piccola canaglia ("ma che sta combinando Spanky?").
Parra invece lascia al compagno di squadra i calcoli di classifica, e si tiene due vittorie di tappa che nessuno gli avrebbe pronosticato: per due giorni ha dato l'impressione di non farcela, di essere vicino a piantarsi, di essere oltre i suoi limiti fisici. E invece in entrambi i casi ci ha sorpresi, se ha avuto dei momenti di difficoltà ha saputo affrontarli bene e superarli, e nei finali di tappa ha saputo andare fortissimo, più di tutti, non solo dei compagni di fuga ma anche di quelli che la maglia rosa.
Su tutti, su Rujano e su Parra, si staglia la figura sorniona di Gianni Savio: un innamorato del Sudamerica, uno che dovrebbe andare a cena con Gianni Minà a parlare di Paco Ignaico Taibo III e di Maradona, e a spiegare che significa andare in bici in Colombia e in Venezuela. Lo sa bene, lui, perché oltre ad avere in squadra da una vita tutta una serie di latinos, è pure il ct della nazionale colombiana. Ovvero, anche a quelle latitudini lo conoscono bene e gli riconoscono il ruolo di stella polare di quel ciclismo.
Tutto ciò, nella non trascurabile situazione di essere a capo di una squadra Professional, non iscritta all'esclusivo club del Pro Tour, ma certo più brava e bella di certe squadre della presunta elite, e senza dubbio pienamente meritevole di questo invito al Giro d'Italia.

Marco Grassi    

 

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