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Pessimismo e fastidio - Il continuo fare e disfare dell'UCI

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Sono le 9 della sera e la tanto attesa lista di corridori pronti per la gogna, promessa per il pomeriggio di oggi da Pat McQuaid in persona, non è ancora giunta a terremotare il ciclismo pre-Tour. Si tratta di un elenco di 6 nomi che, stando ai parametri richiesti dal passaporto biologico, non sarebbero in linea con le attese relativamente a dati fisici e farmacologici. Non vogliamo qui appurare il livello scientifico di tale protocollo, anche se in merito arrivano voci sempre più sfiduciate.
Quel che ci interessa oggi è analizzare la politica degli annunci e della suspense, che va avanti, spedita più che mai. Non c'è modo di trovare una ragione al perché il presidente dell'Unione Ciclistica Internazionale debba annunciare queste notizie: non sarebbe più coerente - se non altro - col diritto, aspettare di avere la notizia e darla, anziché scatenare giorni di psicosi in gruppo? Certo che lo sarebbe. Ma quando uno fa una cosa senza senso apparente, o è scemo, oppure ha un fine recondito. Dando per buona la seconda ipotesi (notare la notevole apertura di credito nei confronti di Gabbo), ci chiediamo allora quale sia il fine recondito dell'UCI.
A che cosa (o a chi) serve questo modello informativo? Questi pizzini preludono alla solita guerra per bande? Chi ne andrà di mezzo?
Del resto quando un ente plenipotenziario (o quasi) ha in mano la sacca scrotale dell'intero gruppo, e si riserva l'arbitrio di decidere come, quando, quanto, e su chi stringere quella mano, viene proprio naturale prendere queste sortite presidenziali per quello che sono: degli avvertimenti. Io avverto, vedete voi come muovervi, e poi io mi riservo il colpo di grazia (o la grazia di colpo).
Una politica che trova continuamente conferme (l'ultimo ad aver parlato di comportamenti di questo tipo è Toni Colom, recentissima vittima dell'antidoping), ma che non trova spiegazioni ufficiali da un ente che si sente al di sopra di ogni critica e dubbio, e che si guarda bene dal cambiare rotta.
Tutt'altro: il fatto che sia un vero e proprio disegno, quello dell'UCI, è suggerito anche da come a Aigle hanno preparato il terreno per il loro operare: non sarà infatti l'Unione Ciclistica Internazionale a comminare sospensioni o squalifiche a questo o quel corridore: Pat & amici non vogliono noie (magari dal TAS), e si occupano ormai esclusivamente di fabbricare prove di colpevolezza a carico dei ciclisti, demandando poi ai gruppi sportivi il compito di agire, "per il bene comune".

E non è che ai gruppi sportivi questa cosa dia fastidio, tutt'altro: uomini che in passato non hanno esitato a sospendere corridori in maglia gialla che non avevano contravvenuto ad alcuna regola che prevedesse tale punizione, paiono andare in visibilio all'idea di poter scaricare qualche loro uomo. Magari, arrivati a questo punto della stagione, disfacendosi in questo modo di qualche ingaggio oneroso e poco vincente.
L'ultima, in questo senso, è la trovata di casa Katusha, una regoletta per cui a una positività subita, il corridore incappato dovrebbe rendere al team 5 (cinque. CINQUE!) volte il proprio stipendio. Capiscono solo se colpiti nel portafogli, pare. Come se una squalifica non fosse lo stesso una mazzata sul portafogli, tra avvocati, ricorsi, ingaggi perduti e carriera decurtata.
Però nulla è mai abbastanza per questi vigliacchi di ciclisti, che non aspettano altro che un'occasione per barare, sono marci dentro e amano vivere fuori dalle regole. (Quali regole?).

Ma le stupidate, per fortuna, non vengono solo da Aigle o dalle squadre. La Federazione Ciclistica Italiana sta patrocinando una cosa chiamata "GiroBio", una schifezza sin dall'insignificante (in senso stretto) nome, che è nient'altro che il vecchio Giro d'Italia Dilettanti, rinato dalle sue ceneri con l'ambizione di fondare un nuovo ciclismo etico, e con l'ispirazione data dagli scritti del grande filosofo contemporaneo Candido Cannavò (riassumibili nell'illuminante "Non mi stanco di ripetere: caro giovanotto, non ci tradire").
Gli organizzatori, che magari staranno pure agendo in buona fede (ma se è così, non si accorgono della strumentalizzazione - in atto - del loro progetto), passano da misure drastiche come il far dormire insieme tutti i corridori che partecipano al Giro. A parte la puzza di piedi che ci sarà in quelle camerate (che però - ci risulta - non sono facilmente allestibili, e infatti non sono previste in tutte le tappe), viene spontaneo chiedersi se la soluzione ai mali di questo sport passi dalla segregazione dei suoi protagonisti.
Perché, oltre all'allegra brigata della camerata, è anche prevista la norma che vieterebbe l'uso dei telefonini (disattesa anch'essa): cui prodest? Perché i corridori devono sentirsi sin da giovani dei diversi? Perché devono subire la ghettizzazione ancor prima di mettere piede nel mondo professionistico? Per abituarsi alle vessazioni che li aspettano di là, giusto. Ma è giusto, poi?
Spesso si sente chiedere in giro: "Tu inizieresti tuo figlio al ciclismo, sapendo che il doping e bla bla bla?". La domanda vera è: "Tu inizieresti tuo figlio al ciclismo, sapendo che sarà probabilmente triturato da un sistema che gli succhierà tutto e poi se ne disferà sul più bello?". Perché a passare è sempre il concetto che la salvezza della sovrastruttura debba fondarsi sull'assenza di diritti per questi poveracci che accettano tutto, senza fiatare. E vengono manipolati per tutta la loro carriera, di questo passo aspettiamoci di vedere certe misure adottate anche tra i bimbetti che vanno in bici con le rotelle (prevenire è meglio che curare).
Troppe clausole deve accettare chi firma un contratto col ciclismo. Stanno devastando la dignità del mestiere di corridore. Stanno devastando, con essa, il ciclismo stesso: se ne accorgono?

Marco Grassi

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