Capodacqua e mali oscuri - Se le bugie eclissano la verità
Versione stampabileIl 2009 non si è aperto bene per il ciclismo, purtroppo. Luca Gelfi, ex ciclista di discreto valore, attivo a cavallo tra gli anni '80 e '90, è stato trovato morto nel suo negozio di biciclette in provincia di Bergamo. Si parla di suicidio, il 42enne vincitore di due tappe al Giro d'Italia lascia la moglie e un figlio.
Nel momento di tristezza e di dolore, bisognerebbe far leva su un minimo di deontologia professionale, e si dovrebbe almeno evitare di scrivere cose false. Si dovrebbe evitare di manipolare fatti e storie per far passare, nel momento della tragedia (quando i lettori sono più "indifesi") il solito teorema che vorrebbe riferire tutto al doping.
Non avrei mai voluto imbastire una polemica con Eugenio Capodacqua proprio oggi, ma troppo forte è il bisogno di ribattere il prima possibile alle imprecisioni del suo pezzo pubblicato su Repubblica.it (che con ogni probabilità sarà replicato, nei toni e nel senso dei titoli - con sicuri richiami in prima pagina - anche nell'edizione cartacea di domattina).
Per una questione di rispetto nei confronti di chi non c'è più e non merita ulteriori gogne pubbliche.
E perché l'informazione drogata continua imperterrita a malmenare il ciclismo, senza trovare argini nelle istituzioni. Repubblica è uno dei giornali più diffusi e letti in Italia, e chi ci scrive diventa per questo un forte opinion maker. Diffondere notizie (e quindi instillare opinioni) deviate mi pare cosa grave, e allora provo, da questo piccolo angolo di web, a mettere in guardia i lettori che tra poche ore si ritroveranno quelle pagine tra le mani.
Capodacqua scrive che una simile tragica fine l'ha fatta in passato Ocaña. È l'unica cosa vera, il campione spagnolo si tolse la vita. Era depresso a causa di problemi economici e di un'epatite che lo stava minando. Era il 1994.
Capodacqua scrive che di recente questa sorte è toccata a tanti, troppi protagonisti di prima fila del mondo del ciclismo, a partire dal Chava Jiménez. Che era depresso, sì, ma non si suicidò, stroncato - come fu - da un arresto cardiaco nel 2003. Altro che ultima debolezza, altro che suicidio.
Capodacqua scrive che poi è toccato a Pantani, suicidatosi nel febbraio 2004 con la cocaina. Dove non è arrivato il medico legale (che dopo l'autopsia escluse l'ipotesi del suicidio), dove non sono arrivati i magistrati (che infatti hanno riaperto l'inchiesta sulla morte del Pirata, che presenta circostanze sin troppo oscure), è arrivato Capodacqua. Pantani si è suicidato, lo dice lui, i lettori di Repubblica domani lo leggeranno e ricorderanno che in effetti sì, Pantani si suicidò. C'è scritto sul giornale.
Capodacqua scrive che quindi è stata la volta di Fois, depresso anche lui, che però aveva trovato la voglia di uscire dal brutto periodo approdando al team Amore & Vita di Ivano Fanini. Apro una parentesi. Se Capodacqua non cita Fanini ogni due per tre, non è contento. Secondo il giornalista, ce ne vorrebbero 20, di Fanini nel ciclismo. Cioè 20 personaggi che sparano a zero, lanciano accuse a chiunque purché siano nel mucchio, si fanno paladini del ciclismo pulito, poi vengono convocati dalla Procura Antidoping del Coni per mettere nero su bianco queste celebri denunce e non mettono nero su bianco un bel niente, perché hanno detto tutto "per sentito dire". 20 Ivano Fanini nel ciclismo? No grazie, uno è pure troppo.
Capodacqua scrive che Fois, in ogni caso, si è tolto la vita. Falso, falsissimo, Fois è morto per una polmonite, come da risultati dell'autopsia, che però il buon Eugenio si è scordato di citare nel suo enciclopedico sito (oltre che nell'articolo di oggi, ovviamente).
Queste le imprecisioni. Errori troppo grossolani per non essere voluti e cercati.
Poi c'è il teorema.
Capodacqua scrive che il fil rouge dietro questa lunga scia di morte sarebbe la depressione, la tristezza, lo sconforto. Bene, qui possiamo essere d'accordo. Allora parliamo di depressione. Depressione, non male oscuro che colpisce i corridori.
La depressione non ha niente di oscuro, è una malattia molto nota che colpisce trasversalmente dal 10 al 15% (a seconda delle stime) della popolazione italiana, comunque non meno di 5 milioni di persone nel nostro paese.
10-15%, capito Capodacqua? Uno su dieci si ammala di depressione, non solo i corridori o gli ex corridori. La stessa Repubblica ci fece sapere tempo fa che l'età più a rischio, secondo gli ultimi studi, è quella che va dai 40 ai 44 anni.
Capodacqua scrive poi della vita trasgressiva di Pantani e Fois, scrive che è difficile mettere i piedi a terra quando si è abituati a vivere a mille all'ora, quando si è al centro di mille attenzioni, quando - talvolta grazie all'aiuto della chimica - si vive fuori dalla realtà, nell'empireo degli onnipotenti.
A che gioco giochi, Capodacqua? Perché mischi la vita trasgressiva di Pantani e Fois con quella di Gelfi, che - a quanto si sa - trasgressiva non lo era per niente?
Perché equipari suicidi e morti accidentali, fingendo di dimenticare fatti e autopsie?
Perché devi per forza tirare in ballo Pantani ogni volta che ne hai l'occasione? Quanta paura ti fa la verità su Campiglio, cosa temi di perdere? Forse, definitivamente, la tua credibilità?
In definitiva, che cosa c'entra con la vicenda di Luca Gelfi tutto quello che (di sbagliato) hai scritto oggi? Che cosa c'entra col doping la morte di Luca Gelfi? Perché dovevi per forza far stare Luca Gelfi dentro al tuo teorema, anche a costo di scrivere evidenti bugie?
A me piacerebbe saperlo, forse piacerà anche ai tuoi lettori.