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...e questo è il futuro... - Moser-ACCPI? L'aroma è di muffa

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Per chiudere la nostra inchiesta sulla radiazione e sul presente e futuro dei sindacati dei corridori (in particolare quello italiano, l'ACCPI), avevamo ben pensato di intervistare l'uomo che viene dai più indicato come il successore di Amedeo Colombo all'AssoCorridori, ovvero quel Francesco Moser che viene dalla presidenza del CPA, il sindacato europeo, e che è di certo uno dei nomi più rappresentativi del ciclismo mondiale.
Il fatto che un nome sia rappresentativo non vuol per ciò stesso dire che sia anche quello giusto. Raffaello Sanzio è indubbiamente uno dei nomi più rappresentativi della pittura italiana, eppure oggigiorno nessuno si sognerebbe di dipingere seguendo il suo stile. Ma questo è solo un esempio banale.
Quello che avremmo voluto fosse lontano dalla banalità è invece il dialogo che abbiamo avuto con Moser. Avremmo voluto parlare con lui in maniera approfondita di temi di stretta urgenza, ma non ci siamo riusciti. Non ci siamo riusciti per nostri limiti, probabilmente; e un po' anche perché trascinati dall'interlocutore nella solita, stanca, stantìa sequela di frasi fatte sul ciclismo e i suoi guai.
Non è che non vogliamo mettere la chiacchierata in forma di intervista, è proprio che il materiale a disposizione è scarsino. Moser aveva fretta, evidentemente, e non si è voluto dedicare a esaminare in maniera più puntuale determinati punti al centro del dibattito. Accidenti alla fretta.
Va detto che l'ex campione trentino non è ancora convinto di candidarsi al ruolo di presidente ACCPI, «non si sa, vedremo, devo ancora decidere». Poi nel corso della chiacchierata si scioglie un po' e lascia da parte i dubbi, parla a tratti da presidente in pectore, e dice cose che suonano come un po' già sentite. Le elenchiamo di seguito, senza neanche le domande, tanto si tratta di risposte standard che vanno bene con qualsiasi giornalista, per qualsiasi intervista, e potrebbero essere state dette da almeno un centinaio di dirigenti del ciclismo. A voi.

«Il ciclismo è in crisi, c'è una situazione difficile, c'è crisi economica, gli sponsor vanno via e tanti di loro abbandonano per colpa del doping».
«Voglio la partecipazione attiva di tutti i corridori, chiederò loro quest'impegno proprio alla luce della gravità del momento».
«Il momento è difficile, gli stipendi sono calati».
«Le Continental vanno inquadrate diversamente, c'è troppa confusione».
«In passato il sistema era più controllato, ora c'è anarchia».
«Ci vuole una commissione che valuti la gravità dell'illecito per decidere dove e quando applicare la radiazione; per positività lievi non va nemmeno presa in considerazione, è ovvio».
«Chi si dopa costringe gli altri a fare lo stesso».
«Ai miei tempi le pene erano ridotte e c'erano poche positività; ora ci sono i 2 anni e i corridori ancora rischiano: non hanno capito».

Rieccoci quindi con un dirigente che continua a mescolare il senso comune al passatismo, il paternalismo a una completa assenza di visione prospettica, il progetto di istituire nuove commissioni alla totale mancanza di una critica organica e puntuale delle storture del sistema ciclismo.
Ma perché mai Moser dovrebbe avere a cuore l'idea di picconare il sistema, in effetti? Moser nasce corridore in una famiglia di corridori, vince tanto facendo quello che tutti facevano ai suoi tempi, poi decide di rielaborare il motore come forse nessuno prima di lui, e da quel punto, in età avanzata, vince anche quello che prima non vinceva. Diventa un eroe agli occhi poco sgamati di un pubblico che di doping non sentiva parlare che una volta ogni morte di papa. Diventa l'eroe del ciclismo bionico, ora ci parla dei suoi tempi.
Costruttore di biciclette, dirigente in tutte le salse, candidato (sconfitto, ahilui) alla Federciclo, sindacalista con le mani legate in seno all'UCI, ora prossimo (forse) sindacalista in Italia con le mani (forse) più libere. Moser accanto ai corridori in lotta contro il sistema? Moser È il sistema.

«Il sindacato dev'essere autonomo, le associazioni dei corridori devono essere indipendenti». Di tutte, questa è la frase più condivisibile tra le poche elargiteci con somma generosità dall'ex recordman dell'ora. Il sindacato dev'essere autonomo, sì, perfettamente vero: dev'essere indipendente, sì, da quelli come Moser, da quelli che non dicono una parola nuova (e forse non l'hanno mai detta), che non mostrano un progetto diverso, che non esibiscono reale autonomia d'intenti rispetto a quelli che il ciclismo lo stanno affossando. E non sono i corridori che non hanno capito, caro Moser, quelli che affossano il ciclismo: al contrario, sono i dirigenti incapaci, quelli che vengono dal suo stesso background anche se apparentemente lottano su postazioni opposte alle sue.

I corridori hanno bisogno di una voce nuova, diversa, a guidarli e a rappresentarli. Hanno bisogno di una rivoluzione copernicana, ma con Moser saremmo ancora a Tolomeo, ahinoi.
Cari corridori, non ci cascate un'altra volta.
Non rifate l'errore di mettervi in mano a chi non è in grado, per sua forma mentis, di andare oltre.
Oltre lo stereotipo che vi vede come i dopati al centro di ogni male.
Oltre il sistema che stritola il corridore, dando però all'esterno l'impressione che il corridore stesso sia un uomo libero di scegliere.
Oltre il concetto che anche dall'interno del gruppo si debba picchiare sempre solo in una direzione.
Oltre l'ipocrisia di chi si è dopato prima di voi e ora applica la memoria selettiva e tutto va bene.
Oltre l'idea che un sindacato (un sindacato, ragazzi!) utilizzi le stesse parole di quelli a cui si dovrebbe opporre; certo, declinate in qualche forma vagamente, apparentemente diversa, ma le stesse parole.
Oltre il mamma sono contento di essere arrivato uno, perché i ciclisti ora sanno parlare indubbiamente meglio dei loro antichi predecessori, ma non sanno cosa dire, non sanno come dirlo. Avete le parole, cari corridori, ma vi mancano i concetti.
Oltre la strumentalizzazione della vostra categoria, unica e sola ad essere considerata appestata in un mondo di appestati.
Oltre la demagogia che vi vuole colpevoli, sempre e solo voi, che vi vuole bari senza possibilità di remissione.
Oltre la volontà di dividervi, perché chi non parla chiaro non fa altro che dividervi, scegliendo di stare comodo nelle pieghe della nebulosità di ciò che tutti sanno ma non possono dire e dirsi.
Oltre le abitudini di chi da decenni soggiace alle regole del ciclismo, e queste regole vanno necessariamente a discapito di chi non sa cavalcarle, di chi è diviso, di chi subisce, di chi non riesce nemmeno ad avere l'idea di avere dei diritti, diritti che vanno oltre il triste ambientucolo del ciclismo e che devono essere rispettati, ad ogni costo, contro ogni potentato, per il bene di questo sport violentato da chiunque si svegli la mattina e voglia dire una qualsiasi boutade. Il ciclismo è come le barzellette dei carabinieri, ormai, tutti ne parlano nello stesso modo, nessuno reagisce.

Non è che ce l'abbiamo con Moser, anche se Moser ha dimostrato di non volersi aprire con Cicloweb. Non ce l'abbiamo affatto con lui, ma con quello che rappresenta. E Moser rappresenta tutto quello che è alla base dell'attuale sfruttamento morale dei corridori. Non è lui il male, è anche un simpaticone quando vuole. Ma non va bene. Uno che ancora oggi, quasi nel 2009, dice «ai miei tempi» vagheggiando un'età dell'oro che in realtà era solo un'età in cui il pubblico non sapeva niente (o non gliene importava), uno che rimpiange un passato di 30 e più anni fa, non va più bene per il ciclismo, men che meno per difendere i vostri interessi. Perché i vostri interessi, cari corridori, si sostanziano oggi, nel 2008-quasi-2009, non nel 1975.

Corridori, vogliatevi bene, lasciate perdere Moser e quelli come lui.
Per una volta, fuori le palle e inventatevi un'alternativa seria, sensata, indispensabile. Un'alternativa che dica cose nuove e vere. Ne avete bisogno, ma ne abbiamo bisogno tutti.

Marco Grassi

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