Corsivo - Perché scompaiono le corse italiane?
Versione stampabileAd appena un mese dall'apertura della stagione ciclistica in Italia, ecco che la Rcs Sport, la più importante società organizzatrice di gare ciclistiche nazionali, presenta un comunicato nel quale annuncia la soppressione di due competizioni in programma agli inizi di marzo, il Trofeo Pantalica e il Giro dell'Etna, quest'ultima gestita dal GS Emilia del bolognese Adriano Amici.
Il calendario subisce pertanto una prima rivoluzione, con l'unica gara del Sud a restare in piedi rappresentata dal Giro della Provincia di Reggio Calabria, sul quale la scure non ha infierito, forse grazie agli accordi contemplati con la città calabrese, legati alla partenza dell'edizione del Giro d'Italia 2005.
A queste amputazioni ne sussegue un'altra relativa alla prima corsa a tappe stagionale: il Giro della Provincia di Lucca. In questo caso, anziché quattro tappe, è prevista una prova unica posticipata al 7 marzo, due giorni dopo la Milano-Torino, classica corsa autunnale che precede il Giro di Lombardia, ma anticipata al periodo di apertura, per riempire un calendario che si è improvvisamente sfoltito a causa di queste gravi defezioni (alle quali, stando alle voci di questi giorni, si dovrebbe aggiungere anche il Giro di Liguria, che è in programma dal 11 al 13 febbraio).
La situazione è ormai grave, inutile nasconderci dietro a motivazioni legate al Pro Tour.
Il nostro ciclismo, pur non avendo fatto mai mancare ambiziosi risultati sotto il profilo agonistico, è latitante sotto quello politico ed organizzativo, ed è molto probabile che le cause di questi forfait siano esclusivamente di natura finanziaria. Il movimento ciclistico italiano non è forse più in grado, con l'immagine e l'interesse che riesce a dare di sé stesso, di recepire sponsor e finanze che gli consentano la sopravvivenza.
La nuova riforma del Pro Tour, per quanto discutibile, non può essere valutata prima di averla vissuta. Tuttavia, intuire le cause di questa débâcle non è esercizio troppo difficile. Del resto, quali armi possiede un organizzatore quando va a chiedere ad un'azienda di pubblicizzare il proprio marchio durante l'avvenimento sportivo? Andando ad offrire una manifestazione che, sia pure ad alta intensità emotiva, si brucia in un lasso di tempo molto breve, intorno alle cinque ore, non potrà mai fare a meno della presenza della televisione che dia maggior risonanza all'evento.
Fermo restando comunque che la copertura del budget di spesa per l'allestimento della prova (spese generali, ingaggi, montepremi e via dicendo), dovrà inevitabilmente gravare in maggior misura sugli Enti Locali, i quali dovranno a loro volta, essere presenti ed in completa sintonia a fianco dell'organizzatore. Il rapporto di collaborazione dovrebbe anzi andare oltre; le amministrazioni comunali dovrebbero, in virtù dei rapporti economici che vivono quotidianamente con le aziende locali, sfruttare il loro potere contrattuale per cercare di portare importanti risorse per l'allestimento dell'evento.
Il ciclismo è infatti sport di strada ed in quanto tale niente può esternare così bene i luoghi dove esso si svolge, con conseguente valorizzazione del territorio. Tutte queste belle teorie non hanno nessun senso e nessun valore se non possono essere affiancate da una visibilità soprattutto televisiva. Non si potrà allora, andar sempre ad elemosinare i minuti di collegamento con l'Ente televisivo di Stato, il quale il più delle volte relega l'avvenimento al canale sportivo satellitare, in fasce orarie talvolta notturne.
Non si vede del resto, anche tra gli organizzatori, una chiara unità di intenti che vada oltre agli accordi di mettere vicine due competizioni per meglio affrontare il problema logistico con le squadre.
La Federazione, poi, in questi anni non si è minimamente preoccupata della questione, la Lega Ciclismo Professionistico non esiste più ormai da tempo. Eppure, si rischia di essere ad un punto di non ritorno.
L'Uci, con il suo padre-padrone Hein Verbruggen, sta cercando nuovi lidi e nuovi approdi in zone sicuramente meno evolute ciclisticamente, ma disposte ad offrire denaro. Fino ad adesso però, anche il presidente dell'Uci ha cercato di mettere fieno in cascina senza appoggiarsi ad un progetto valido. Che cosa possono valere le gare di apertura in Australia ed in Qatar, se poi non sono televisivamente percettibili allo storico pubblico di appassionati?
I nostri organizzatori sono ancora in tempo a correre ai ripari, contando sulla tradizione e su una folta schiera di appassionati che non hanno mai abbandonato lo sport delle due ruote, nemmeno nei momenti più bui. Del resto, se guardiamo in Spagna negli ultimi quindici anni, dove si è perseguita un'ottima strategia mediatica, è stato un pullulare di corse a tappe ed in linea, ed anche la Vuelta, pur con la variante del calendario, ha visto sempre più accrescere il proprio prestigio.
Forse allora, qualche elementare lezione di marketing non farebbe male ai nostri organizzatori, e proprio approfittando delle vicine elezioni federali, sarebbe anche il caso che qualche autorevole candidato esprimesse con chiarezza un valido programma di strategia televisiva che prendesse in seria considerazione anche l'eventualità di una televisione in proprio, satellitare o digitale terrestre, per la quale la Federazione assumesse la piena titolarità. Il tutto preceduto da un'attenta ed accurata stima ed analisi di mercato, nella quale si studiasse attentamente quello che sarebbe l'eventuale bacino di utenza qualitativo e quantitativo.
Il ciclismo non avrebbe nulla da temere da queste statistiche, al contrario esse potrebbero rappresentare un ottimo viatico per l'accesso di importanti aziende al mondo delle due ruote. Non sono infatti lontani i tempi in cui le imprese, in periodi magari di miglior congiuntura economica, si rivolgevano a società di marketing, chiedendo loro in quali discipline sportive investire per la loro pubblicità, in modo da garantirsi ottimi riscontri di vendite. Il ciclismo, molto spesso, rappresentava la risposta ideale alle loro richieste.