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Corsivo - Pro Tour, la riforma con le gambe corte

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Siamo al redde rationem? Sì, forse, vedremo, chissà. C'è ancora tempo (sempre meno) per le diplomazie, ma se il Pro Tour doveva essere la nuova dimensione del ciclismo mondiale, beh, si parte proprio con la retromarcia. Buona norma sarebbe - in genere - accordarsi con tutte le componenti interessate ad una qualsiasi riforma prima di far squillare le trombe lanciando tale riforma. Hai visto mai che qualcuno non volesse starci, una volta resi noti i piani. Saperlo in anticipo aiuta a venirsi incontro e, soprattutto, è un ottimo escamotage per evitare figure barbine.
E invece succede proprio questo al povero Pro Tour. Che è, o vuole essere, il nuovo sistema per la gestione del ciclismo d'elite: un gruppo di squadre d'eccellenza, un gruppo di corse di prestigio, le prime devono partecipare alle seconde, garantendo così più o meno la presenza dei corridori migliori nelle gare più importanti, con la possibilità di scontrarsi più volte nel corso della stagione. A parole, una bella cosa.
Nei fatti, un elenco di incongruenze lungo così.
Sin dalla pubblicazione del calendario delle gare, balzavano agli occhi alcune assenze importanti (Giro del Lazio, Tre Valli Varesine, Parigi-Bruxelles per esempio), a fronte della presenza di corse poco gloriose (Giro di Polonia) e di altre addirittura mai viste prima! Giro del Benelux? Cronosquadre in Olanda? Immaginiamo una SuperLega di calcio che affianchi al Real Madrid, al Manchester United, alla Juventus, il Pizzighettone Beach e magari una squadra denominata MilTer (un misto di Milan e Inter)? Che cos'è il Giro del Benelux se non un triste tentativo di dare un pezzo di torta a nazioni che non hanno un giro nazionale troppo affermato?
Insomma, siamo alle corse geneticamente modificate. Create dal nulla, affastellate con pezzi di altre esperienze, dei veri mostri di Frankenstein del ciclismo. Chi è il dottore pazzo? Verbruggen?
Alla geniale trovata di cancellare poi la Coppa del Mondo, che tutti ormai consideravano il vero metro di giudizio per valutare il rendimento nelle classiche d'eccellenza, e che dava prestigio a corse importanti ma non monumentali (Amburgo, San Sebastian, Zurigo, la stessa Amstel), si aggiunge una nuova scansione dei punteggi che se fosse stata pensata da Sbirulino non avrebbe ugualmente avuto alibi, ma visto che a partorirla sono stati i Frankenstein di cui sopra fa capire in quanto poco conto tengano il ciclismo questi deleteri personaggi.
Esempi chiarificatori. Il Tour verrebbe promosso a tutti gli effetti come corsa unica e centrale dell'universo: 100 punti a chi lo vince, 15 o 20 in più rispetto a chi conquisterà Giro e Vuelta. Ma questo peccato di lesa maestà nei confronti di due terzi delle gare a tappe più importanti dell'anno è niente al confronto della vera mostruosità rappresentata dagli altri punteggi. Chi vincerà la Milano-Sanremo conquisterà 50 punti. Chi vincerà il Giro di Polonia, o l'OGM del Benelux, o la cronosquadre olandese conquisterà invece... 50 punti! Un Giro di Polonia varrà quanto una Sanremo, o una Roubaix, o una Liegi, o un Lombardia.
Attimo di pausa per raccogliere dal pavimento le braccia che ci sono cadute nel frattempo.
Ci rendiamo conto dello scempio? Lo riscriviamo più grosso per provare a capacitarcene: IL GIRO DI POLONIA VALE QUANTO UNA SANREMO. No, non ci riusciamo, non ce ne facciamo proprio una ragione. Ci ripenseranno? Brividi di paura.
Andiamo avanti. La Francia, che da quindici anni non esprime un vincitore di corse a tappe (a esclusione di una Vuelta di Jalabert), e che ha un movimento che brilla per abulia, schiererà nel Pro Tour 4 squadre, esattamente come l'Italia, che invece domina in lungo e in largo nelle corse in linea, e che si difende bene in quelle a tappe, oltre ad avere nell'ultimo ranking Uci i primi due al mondo (Cunego e Bettini) e altri 3 uomini nei primi 11 (Rebellin sesto, Petacchi nono e Basso undicesimo). Per inciso, il primo francese è Pineau, 35esimo.
Ma non ce l'abbiamo certo con la Francia, anzi auguriamo ai cugini di risollevarsi prima o poi. Quel che pesa è il fatto che non si capisce che metro di valutazione usino all'Unione Internazionale per fare le loro riformine.
Le cose che non andavano bene quindi erano già macroscopiche. Arrivati a questo punto, si innesta sul resto la clamorosa rivolta di Amaury, Rcs Sport e Unipublic, ovvero gli organizzatori di Tour, Giro e Vuelta. I quali, ben bene, hanno deciso di non prendere parte al Pro Tour. Verbruggen, l'impunito, avrebbe la pretesa di gestire tutto attraverso l'Uci, a partire dai diritti tv dei grandi giri e delle altre corse. Figurarsi se i gestori delle gare più importanti della stagione pensino solo per un attimo a sottostare: "Noi il Tour/Giro/Vuelta lo organizziamo lo stesso, come abbiamo sempre fatto, chi c'è c'è".
Possiamo dar loro torto? Non è che l'Uci vuol decidere dei diritti per spuntare contratti migliori alle televisioni del mondo: semplicemente vuole intascare una parte di quei proventi. In due battute: "Io ti do un titolo nobiliare e in cambio mi prendo il 20% dei guadagni del tuo lavoro"; "Ma io lavoro lo stesso senza titolo nobiliare, come ho fatto finora!".
Come dicevamo prima, lo spazio per le trattative c'è ancora, ma la patata è bollente da mesi, ormai, e la temperatura non è punto diminuita. Tantopiù che i tre rivoltosi organizzano anche altre gare oltre ai tre giri (si va dalla Sanremo alla Roubaix al Lombardia alla Liegi, per citare solo le più celebri): si immagina un circuito d'elite senza queste corse? All'Uci si stanno rendendo conto che fanno ridere i polli?
I toni sono, come si legge, accesi. Ma si tratta di difendere l'essenza di un ciclismo attraversato negli ultimi anni da mille problemi che lo hanno quasi snaturato; il ciclismo dei forti per un mese, dei dominatori di una corsa all'anno, che rifuggono il confronto con gli altri su ogni altro terreno, e che solo a fine carriera hanno voglia di "passare ad altre sfide": "Trovo molto eccitante la Roubaix" dice Armstrong - parlavamo di lui, si era capito? - senza sapere che la Roubaix è eccitante da un secolo, ben prima che lo capisse lui, e che continuerà ad esserlo anche se King Lance non volesse onorarla della sua presenza e magari dorare il suo albo d'oro con le sue magiche generalità. Quello di cui parliamo è il ciclismo degli specialisti per una sola gara, quelli che rarefacendo i grandi scontri hanno reso attuale la necessità di questa riforma-papocchio.
Il ciclismo vuole davvero vendere l'anima (quel che ne resta) al diavolo per sperare di vedere Armstrong al Giro (tanto poi magari ci manda Azevedo e lui non ci viene lo stesso)? E non lo scriviamo per attaccare Lance in sé, ma solo per esprimere dubbio e dissenso su quel che il texano e il suo modo di fare rappresentano, su un sistema che non va bene, su un rimedio che rischia di essere peggiore del male. Resta da dire, ma va da sé, che speriamo di sbagliare in pieno. Che la buona stella sia con noi.

Marco Grassi

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