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Corsivo - Tappe annullate, gare sparite: l'Uci che dice?

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A inizio febbraio ci eravamo fatti un'etnocentrica risata di fronte alla notizia, giunta dalla Malesia, dell'annullamento della prima tappa del Tour de Langkawi, perché il traffico cittadino aveva fatto irruzione sul circuito di gara, a causa di un disguido tra gli organizzatori e le forze dell'ordine che dovevano garantire lo svolgimento della corsa. Scarso coordinamento tra le due parti, ed ecco il patatrac (e per fortuna che, a livello di sicurezza, non c'erano stati guai). "Giusto agli antipodi potrebbero succedere cose del genere", pensammo.
Poi ecco che più o meno la stessa cosa succede in Liguria, dove la prima tappa del giro rivierasco viene annullata per mancanza dei permessi di circolazione, non rilasciati dalla Prefettura di Imperia (e il parere negativo al rilascio era stato espresso anche da Provincia e comuni dell'imperiese, per motivi di sicurezza stradale), la seconda viene trasformata in un criterium e l'intero Giro diventa una semplice corsa in linea. Quindi, o siamo agli antipodi di noi stessi, il che sarebbe un paradosso difficilmente spiegabile geograficamente; oppure qualcosa che non va c'è anche tra gli organizzatori italiani.
I problemi organizzativi, non lo mettiamo in dubbio, possono sorgere ovunque. Ma alcuni sono troppo grossolani per non meritare una grave censura. Il Langkawi invaso dalle auto può sembrare una divertente storiella da ciclismo amatoriale di altre latitudini, e invece stiamo parlando di una corsa che proprio quest'anno è stata promossa dal rango di 2.3 a quello di 2.2, e che vede la partecipazione di importanti squadre occidentali. Dopo l'incidente della prima tappa la corsa malese sarà di nuovo retrocessa? Speriamo di sì.
Non lo diciamo per accanimento, ci mancherebbe (tra l'altro lo stesso giudizio di inammissibilità lo diamo per quanto successo al Liguria), ma per il semplice motivo che il ciclismo moderno non ha bisogno di dilettantismo. Per motivi di sicurezza, e perché il professionismo delle squadre e degli sponsor mal si sposa con certe organizzazioni arruffone. Il discorso si allarga a macchia d'olio.
Nell'epoca di internet, molte corse non hanno un loro sito ufficiale, e il reperimento delle informazioni è quanto mai arduo; conoscere i risultati di alcune gare è praticamente impossibile, e la stessa Uci non soccorre gli amanti delle statistiche (per non dire di alcuni corridori di cui non si saprà mai la vera identità visto che l'Unione Ciclistica Internazionale li registra un anno con un nome e l'anno successivo con un nome diverso: ma questa è un'altra storia...); in più, una quantità notevole di corse già presenti in calendario vengono cancellate, per un motivo o per l'altro, all'ultimo momento.
E' il caso, per stare alla stretta attualità, dell'International Turkish Riviera Tour, annullato a una settimana dall'inizio per mancanza di sponsor; dei quattro GP Istria, di cui non si hanno più notizie; della Vuelta a la Argentina, cancellata ufficialmente in questi giorni per i facilmente presumibili guai finanziari che attanagliano la nazione sudamericana (ma erano guai arcinoti: com'è possibile che la corsa sia entrata ugualmente in calendario, per poi andare incontro a questa sorte?).
Il prossimo anno il calendario dei big consterà di una serie di gare apparentemente al di sopra di ogni sospetto (anche se nel 2003 venne annullato, per dirne uno, il Midi Libre); sperando che le corse principali non vadano incontro a problemi organizzativi, ci prendiamo la libertà di sognare che anche il calendario dei "poveri", quello con le gare di seconda fascia, venga liberato da una miriade di corse che hanno poca ragion d'essere, o che i parametri per essere ammessi siano più selettivi. E' vero che il ciclismo deve conquistare sempre nuove strade. Ma è altrettanto vero che la qualità non deve essere soffocata dalla quantità

Marco Grassi

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