Corsivo - Casco, obbighi e bambini capricciosi
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Ci risiamo. Scatta l'obbligo del casco per i professionisti, e dopo nemmeno tre giorni iniziano le levate di scudi contro questa regola, che avrebbe l'assurda pretesa di preservare i corridori da danni permanenti e dalla morte. Loro non ne hanno bisogno, perché sono coscienziosi, e vogliono essere liberi di scegliere. Viva la libertà, ma qui la questione non è questa. La questione è che il casco salva la vita, e l'avrebbe probabilmente salvata, in marzo, al povero Kivilev ("Kivilev chi?").
Al Giro d'Italia Pantani e Cipollini si fanno portavoce di una controcrociata, chiedono che l'obbligo sia revocato, rivendicano il diritto a scegliere. Allora mettiamoci a correre a 340 km/h sulle strade di città, perché abbiamo il diritto di rischiare la morte. "Ma portare il casco o meno concerne solo la nostra persona", direbbero, sbagliando. Perché l'esempio vale sempre molto, e siamo certi che se un cicloamatore vedesse Pantani e Cipollini col casco, lo userebbe sempre anche lui.
Invece gli uomini guida del movimento in Italia protestano a gran voce, adombrano perfino un possibile accordo tra Uci e aziende produttrici (ma via!) si lamentano perché quei due etti in testa sarebbero terribili da indossare quando si corre e fa caldo. E provare ad abituarcisi? Non è uno sforzo che val la pena di essere fatto, una volta tanto?
Nel '91 il gruppo scioperò contro un analogo obbligo, ma dodici anni sembrano essere passati invano, e purtroppo i ciclisti italiani danno prova di essere bambini capricciosi, incapaci di comprendere l'importanza di questo cambiamento. L'Uci ha esagerato, prevedendo penalità nel ranking a chi contravviene? Non sembra proprio, visto che pare l'unico modo per indurre tutti a non fare a meno dell'accessorio.
Sarà banale dirlo, ma se anche una sola vita verrà salvata da questa norma, si tratterà di una norma giusta. Coraggio ragazzi, un piccolo sforzo: l'età della ragione l'avete raggiunta da un pezzo.