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Parigi-Roubaix 2016: Giorno magico, epilogo incredibile: Hayman! - Gara entusiasmante, Boonen fa sognare ma viene beffato dall'australiano. Cancellara e Sagan fuori causa

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Mathew Hayman vince la Parigi-Roubaix davanti a Tom Boonen, Ian Stannard e Sep Vanmarcke © Bettiniphoto

Come trovare le parole? Non è che se ne esce facendo una fredda cronaca, dopo una corsa così carica di emozioni, di tensioni, di situazioni. Ma la Parigi-Roubaix è più o meno sempre così. Ogni anno ci ritroviamo a esaltarla, e ogni anno (o quasi) ci dà ragione, ci dà nuovi motivi per amarla, adorarla, venerarla. Quale altra corsa può essere vinta da un corridore rimasto all'attacco per 188 chilometri? Signori, 188 chilometri, centottantotto. Da lacrime al sol pensarci.

Quale altra corsa vede protagonista fino all'ultimo centimetro un colosso che è lì a un passo dal vincerla per la quinta volta, e sarebbe il primo e l'unico, e invece viene incredibilmente beffato dal più anonimo dei gregari, onestissimo corridore con una carriera "a supporto" alle spalle, che trova il guizzo vincente forse all'ultima occasione valida, il guizzo che vale tutto, che vale 20 anni di sacrifici, che vale la pensione, perché stasera Mathew Hayman può anche decidere di appendere la bici al chiodo e finirla così, più su di così non gli sarà proprio umanamente possibile andare. Applausi, applausi, applausi.

Applausi a Tom Boonen, secondo, gigante, incredulo per il fatto di essere lì a flirtare con la leggenda («Per i dottori non avrei potuto toccare la bici per sei mesi, e invece eccomi qui sul podio»), ma più ancora incredulo per essersi fatto sfuggire in quel modo una vittoria che sentiva e meritava. Inseguita col coraggio di sempre, perché anche lui all'attacco c'è stato una vita, 115 km, senza mai risparmiare una pedalata, un cambio, un forcing, un inseguimento. Non all'altezza dei suoi giorni migliori, né di altri avversari sul pavé, ma era lì, contro ogni pronostico, a inseguire l'ennesimo sogno.

Ecco, il sogno: quello a occhi aperti di Hayman, torniamo a lui, fissiamolo nello sguardo di chi non sta capendo niente, non si rende conto di quel che ha fatto, appena superato il traguardo, perché quanto accaduto nel velodromo di Roubaix va oltre a tutte le ipotesi che lui stesso poteva aver fatto. Ti sei rotto il radio neanche un mese e mezzo fa, diosacome sei riuscito a tornare in gara, abile e arruolato per dare una mano, e questo fai, parti con l'intento di dare una mano, ti muovi quando alla fine mancano 4 ore, minuto più minuto meno, e poi certo che senti buone sensazioni, ma potresti mai pensare a...? No, assurdo, la necessità di razionalizzare (le idee, oltre che le energie da spendere) ha la meglio, per forza, per una questione di sopravvivenza. E però passano i chilometri, e poi i tratti di pavé, e tu la senti ancora piena, quella gamba, ti dici che in quasi 38 anni non l'hai mai sentita così piena, e allora andiamo avanti, vediamo che succede.

Succede che da dietro riemergono i big, alcuni di essi perlomeno, e tu riesci a tenerli, a stare con loro, a resistere. Ti staccano pure, ma tu rientri, a quel punto - parliamo del Carrefour de l'Arbre! - non sai neanche se è più orgoglio o inerzia, o nervi o speranza. Il tentativo di sorprendere tutti, niente, va male. Il secondo tentativo, a 2 km dalla fine, forse ce la faccio, forse ce la faccio. No, rientra Tom, ancora una volta. Vincerà lui, è veloce, è dannatamente più veloce di me.

E poi rientra Sep, e poi pure quegli altri due, e il velodromo urla, chiama la quinta di Boonen, il mondo vuole la quinta di Boonen, non accetterebbe un risultato diverso. E tu neanche, razionalmente, ti prenderesti a schiaffi per tornare alla realtà, su, non scherziamo, un podio alla Roubaix sarebbe il massimo possibile, la prendo lunga, la volata la prendo lunghissima, qualcuno lo manderò fuori fase, mi basta il terzo gradino, accanto a questi campioni, vi prego, un terzo misero agognato gradino, non toglietemi il coronamento di una carriera segnata da quasi nessuna vittoria. Ma lo sprint esplode nelle gambe, c'è ancora forza, dietro non capiscono, non del tutto, reagiscono tardi, Tom reagisce tardi oltre ogni misura, un po' di traffico, Sep e Ian non gli permettono la traiettoria più agevole, lo sento, il suo fiato sul collo, mi sta per azzannare, lo fa, lo fa, lo fa...

...

...

...era la linea del traguardo, quella? Era la linea del traguardo? Era la linea del traguardo quella che ho varcato, per primo? Davvero per primo? Fatemi piangere, fatemi urlare, ma perché non mi esce la voce, perché non mi viene niente da dire, perché sono pietrificato come il percorso di questa corsa impossibile, incredibile, inestricabile?

Ammutoliti tutti, intorno a Mathew Hayman. Ammutoliti.

 

Una fuga destinata alla storia
Riavvolgere il nastro, forza. Da Compiègne non parte Jacopo Guarnieri (Katusha), febbre. Non parte la sella di Alexandre Pichot (Direct Énergie), rotta nel tratto di trasferimento: caro amico trova una soluzione rapida, perché 257 km alla bersagliera, sai com'è... Parte invece la corsa dei tentativi di fuga, subito, uno dietro l'altro, ritmo altissimo, in 24 si ritrovano al comando e 4 sono compagni di Fabian Cancellara (Boy Van Poppel, Stijn Devolder, Marco Coledan, Jasper Stuyven), e ci sono anche Mark Cavendish (Dimension Data) e Matteo Trentin e Guillaume Van Keirsbulck (Etixx), e Jelle Wallays (Lotto Soudal) e gli Sky Elia Viviani e Christian Knees. Troppa gente e troppo promettente, azione annullata, intanto ventagli a spezzare il gruppo in tre parti, quindi insiste Viviani insieme a Van Poppel e Alexander Porsev (Katusha), mezzo minuto di margine, il gruppo (in fase di ricompattamento) si rifà sotto, li riprende, e siamo a 190 km dalla conclusione. Tutto deve ancora succedere, e tanto è già successo.

Al km 69, a 188 dalla fine, di nuovo Wallays parte, e gli si accodano via via in 15, e questi vanno citati tutti perché la fuga stavolta è buona ed è destinata a prendere un po' di margine (3'34" il vantaggio massimo ai -120): ci sono Marco Kump (Lampre), Borut Bozic (Cofidis), Magnus Cort Nielsen e Mathew Hayman (Orica), Johan Le Bon (FDJ), Yannick Martinez (Delko), Tim Declercq (Topsport), Reinardt Janse Van Rensburg (Dimension Data), Salvatore Puccio (Sky), Frederik Backaert (Wanty), Imanol Erviti (Movistar, già protagonista al Fiandre), Michael Morkov (Katusha), Sylvain Chavanel (Direct Énergie), Maxime Daniel (AG2R) e un corridore all'ultima corsa della vita, Yaroslav Popovych, un altro Trek, un altro della schiera di Cancellara, pure lui (Fabian) all'ultima Roubaix. Non è una giornata come le altre, per tanti in gruppo.

Forature (tra gli altri Sep Vanmarcke), qualche caduta, i primi settori di pavé mettono in fila il gruppo, poi sul numero 23, quello di Vertain (-138) va giù Federico Zurlo (Lampre) e dietro a lui restano attardati tra gli altri Niki Terpstra (Etixx) e Lars Boom (Astana), due dei favoriti, chiamati agli straordinari per ricucire il prima possibile sul gruppo. Rientreranno in una decina di chilometri, ma quanto accaduto a Vertain è un presagio che trova realizzazione sul tratto di Maing, il numero 20, ai -116. E lì la corsa cambia volto e in parte si decide.

 

Una caduta indirizza la corsa, Boonen ne approfitta
Cade Porsev, insieme, ad altri, e il gruppo stavolta si fraziona seriamente, davanti restano in 25 circa, e c'è gran parte della Etixx, e gran parte della LottoNL, e della Sky. Pochi capitani: Tom Boonen, Sep Vanmarcke, Ian Stannard e/o Luke Rowe; pure Edvald Boasson Hagen (Dimension Data). Molti gregari, in compenso: addirittura 5 LottoNL per SVM, 3 Sky per Stannard (Christian Knees, Danny Van Poppel e il promettente Gianni Moscon), 3 pure per Boonen, e uno dei tre si chiama Tony Martin, e quando hai Tony Martin a disposizione lo metti a trenare, anche se mancano 115 km alla fine, lo metti a trenare come se non ci fosse un domani, perché dietro son rimasti gli spauracchi, quelli veri, Fabian e Peter, e se hai una speranza di vincere davvero quella quinta Roubaix, ben sapendo di partire da una posizione di svantaggio, se ti capita di poter tagliare fuori quei due, ci devi provare a tutti i costi, senza fare calcoli.

Il gruppetto prende margine, dietro tardano a organizzarsi, siamo a poco più di metà corsa ma la Tinkoff di Sagan si è già dissolta (Oscar Gatto si ritirerà per caduta più avanti), e la Trek di Cancellara non può contare su troppi effettivi, tira (e tirerà molto) Jasper Stuyven, ma quell'altro si chiama Tony Martin. Dovrebbe dar fondo in prima persona proprio Fabian, ma svenarsi per chiudere a oltre 100 km dalla fine è saggio? Il margine cresce, diventa di mezzo minuto e poi di quasi un minuto, non sembra vero ma Fabian e Peter sono proprio lì lì per essere messi fuori gioco. Addirittura ad Haveluy, settore numero 19 (ai -103) lo scatenato Panzerwagen porta via un quintetto (con Tom, EBH, Stannard, Robert Wagner in quota LottoNL anziché un distratto Vanmarcke, e poi rientra pure il bravo Luke Durbridge della Orica), resteranno lì avvantaggiati sugli avvantaggiati per qualche chilometro.

Si transita da Arenberg che il gap di Cancellara e Sagan è superiore al minuto, e qui nella Foresta, nella sua ultima Foresta da professionista, Fabian sgasa per la prima volta, fa sul serio, fa selezione, lima qualcosa al rivale di una vita Tom, ma non basta. Si rischia di gettare al vento tante energie per ottenere cosa? Calma, gesso, sangue freddo, manca ancora tanto alla fine, in qualche modo si dovrà ragionare per recuperare.

 

L'estremo tentativo di Cancellara e Sagan
A 83 km dalla fine Vanmarcke e gli altri raggiungono nuovamente il sestetto di Boonen, si può ricominciare a collaborare tra Etixx e LottoNL per tenere a distanza Fabian e Peter. Intanto al comando della corsa ci sono sempre quelli partiti ai -188, e tra questi Hayman prova un allungo sul settore di Hornaing, ai -82, guadagna qualcosa ma ha senso stare al vento da solo senza un costrutto? Razionalità, razionalità, rialziamoci; rientrano molti ma non tutti, su di lui, per l'Italia c'è sempre Salvatore Puccio, che attende indicazioni da casa Sky su come muoversi, eventualmente, visto che i suoi capitani sono in avvicinamento. Anche Popovych attende istruzioni, è la sua ultima corsa e vorrebbe essere libero, ma non può. Fabian ha bisogno di lui, e allora lo fermano infine, a 67 km dalla fine rallenta, si sfila, si fa passare dal gruppo Boonen, aspetta il gruppo Cancellara, dà quel che può (non tantissimo, ormai), e chiusa lì. Ciao Yaro.

Ai -64 ecco che l'inseguimento del drappello Boonen ai fuggitivi del mattino si completa, intanto Vanmarcke trova il modo di forare un'altra volta (se non gli capita almeno un paio di volte a Monumento non si sente in pace con la propria coscienza), ma ha ancora troppi compagni intorno per non essere prontamente aiutato a rientrare.

Si arriva a Orchies, settore numero 12, 60 km al traguardo, e il gap di Fabian è sempre troppo ampio, 50" abbondanti, bisogna stringere i tempi e allora la Locomotiva fischia e parte, e Sagan a ruota, e un bravo Bert De Backer (Giant) coi due. Malgrado Boonen tiri da par suo quelli davanti (e ne faccia staccare molti), la mazzata di Cancellara si sente, all'uscita dal settore sono quasi 20 i secondi che gli inseguitori hanno recuperato, ne mancano 35", i più difficili da limare; Sagan dà dei cambi, poi rientrano pure Terpstra (a far da stopper) con Ramon Sinkeldam (altro Giant: il vincitore del 2015 John Degenkolb, se avesse potuto correre, oggi non sarebbe stato solo), forse si riesce a organizzare un inseguimento coi due Giant. La lotta è comunque un testa a testa tra i big, a decine di chilometri dalla conclusione, quanto può risultare esaltante tutto ciò? No words.

 

Altre cadute, Fabian e Peter fuori dai giochi
Il momento sembra favorevole a chi insegue, e lo sembra ancor di più quando a Auchy, settore numero 11 ai -54, su una curva a sinistra Gianni Moscon perde aderenza, maledetto fango, e assaggia il suo primo pezzo di pavé sul corpo, sulle gambe, nell'anima, e poi assaggia pure il compagno Rowe che gli frana addosso, mentre Stannard li evita per un niente. Sparpaglìo tra i battistrada, inevitabile, ma ancora non basta: un paio di chilometri, e scivola pure Puccio, stellone nero per la Sky, altro prezioso supporto lasciato lì per stradine di campagna, tutto diventa all'apparenza più difficile. Rowe però è un cagnaccio, non molla, è ripartito subito e riesce a forzare le tappe e a riaccodarsi ai migliori, mancano 49 km alla fine, c'è comunque ancora la LottoNL a tirare, il vantaggio su Fabian e Peter resta ancora superiore al mezzo minuto.

E a Mons-en-Pévèle, settore 10 ai -48, l'azione del secondo gruppo pare entrare in una nebulosa di affanno, la spinta non è più quella di Orchies (come poteva esserlo, del resto?), quelli dietro tornano a perdere secondi, ma è ancora nulla rispetto a quanto accade ai -46, un evento che indirizza definitivamente la corsa, e un'altra eventualità a cui viene difficile credere, perché Moscon può cadere, è alla prima Roubaix, è normale che cada, anzi è obbligatorio, ma Fabian no, Fabian non può farsi ingannare dai rimasugli di fango tra una pietra e l'altra, e invece lo fa, incappa, scivola, vola orizzontale e spazza via il drappello, spazza via Terpstra che cade dietro a lui, quasi spazza via Sagan ma quello è un folletto sovrannaturale, non lo butti giù così come se niente fosse, Peter s'inventa un numero da farci strabuzzare gli occhi, lui salta, "egli danza" avrebbe detto Welles/Pasolini, è il Fellini della bicicletta, raffigura magie surreali e le immortala davanti agli occhi di tutti, balza a gambe aperte sopra la bici di Fabian, e va sul prato, e riaggancia gli scarpini, per piacere replay, non abbiamo capito, dobbiamo rivedere. YouTube e milioni di visualizzazioni pronte per l'uso.

Si salva e non cade, il Campione del Mondo, ma qui la sensazione è che i buoi siano davvero scappati e non li riprendiamo più. Già era difficile prima, ma ora organizzare un rientro diventa praticamente impossibile. Comunque che fai, risali in macchina? No, ti rimetti pancia a terra provando a salvare il salvabile. Lo fa Sagan, a un minuto buono da Boonen e soci; lo fa ovviamente pure Cancellara, due minuti più tardi. La bici va portata a Roubaix, questa è la consegna.

 

Boonen saggia le forze in campo
A Mons-en-Pévèle, mentre si consuma il dramma degli inseguitori, tra i battistrada comincia un friggi-friggi di tarantole, Vanmarcke non sta nella pelle, ha una voglia matta di carotare, esaminare lo stato dell'unione, e allora forza, parte e si rende conto che solo Stannard è in grado di tenerne l'allungo. Buon saggio, ora rientriamo nei ranghi Ian. Rientrano - a fine settore - Boonen e Boasson Hagen, Hayman e Aleksejs Saramotins (IAM, presente dall'inizio nel gruppetto di Tom), ed Erviti, che in una settimana in fuga tra Fiandre e Roubaix ha conquistato più tifosi di quanti ne abbia mai avuti in 10 anni di carriera. Magia del Nord, anche questa.

Dopo il pavé di Pont-Thibaut, settore 8 ai -39, rientrano altri tre uomini su Tom e soci, e si tratta di Rowe, amabilissimo durissimo, e di altri due già nel drappello Boonen, ovvero Marcel Sieberg (Lotto Soudal) e Heinrich Haussler (IAM). Siamo in 10, che si fa? Due Sky, due IAM, gli altri tutti in conto personale. I team si sono dissolti, non sarà facile neanche imbastire giochi di squadra perché le energie, dopo 220 km di una corsa del genere, non le ricarichi con la prossima borraccia. Sieberg si toglie lo sfizio di fare in testa, con qualche metro di vantaggio, il Moulin de Vertain (settore 7 ai -33), poi Tom - folle Tom! - dà una punturina sull'asfalto, ai -30, ma Vanmarcke e Stannard son lì che gli sono addosso, non si va da nessuna parte, ma è chiaro che la lotta è tra noi, cari Sep e Ian, gli altri sullo sfondo. Sullo sfondo?
Sagan trova alleati d'occasione strada facendo, i Giant di prima ma pure Dylan Van Baarle (Cannondale) e Adrien Petit (Direct Énergie), si fa quel che si può ma quel che si può è ormai poco, si può ad esempio ridurre il gap da 1'10" a 55", e poi quello risale a 58", e allora gli dai un'altra botta e lo abbatti a 50", ma di nuovo rieccolo a 53", e ancora uno sforzo supremo e scendi a 47", e poi, e poi... e poi niente, più giù di così non lo si manda. Il cronometro non si lascia impietosire, il distacco crudele non si lascia più scalfire, la corsa è andata, è loro, la chiuderemo con dignità, noialtri, ma accidenti, accidenti, tre volte accidenti.

 

Vanmarcke gioca la sua carta al Carrefour de l'Arbre
Rowe è prossimo a finirsi ma prima sente la necessità di un ultimo forcing pro Stannard, prima di Camphin-en-Pévèle, settore 5 ai -19; Saramotins si stacca. Sul pavé Stannard si sente in dovere di dar seguito al lavoro del compagno, attacca e fa fuori lo stesso Rowe ed Erviti, Sieberg e Haussler. Si resta in 5, i più forti. Hayman è ancora lì, miseria del veterano, 15esima Roubaix per lui, vuol partecipare alla festa fino alla fine.

Carrefour de l'Arbre, allora, il più duro, il più difficile, il più letale dei pavé (insieme ad Arenberg, ovvio). Settore 4, 17 chilometri alla fine, è il momento supremo e Sep Vanmarcke ci crede, ci crede fino in fondo, parte deciso, taglia le curve, resiste alle buche infide, prende margine, se ne va, se ne va! Stannard prova a organizzarsi, Tom e EBH si lasciano guidare, Hayman perde contatto, si arrende? Macché, la vedrete se mi arrendo! Passa a inseguire Boasson Hagen, ma Vanmarcke sembra imprendibile, si allontana sempre più là davanti, poi però fisiologicamente cala il ritmo, sia per il battistrada che per gli avversari, il margine si stabilizza sui 10", non è ancora detto nulla. Non è ancora detto che Hayman non riesca a rientrare, per esempio: e infatti riecco l'australiano, all'entrata di Gruson (settore 3, ai -14), rieccolo su Boonen e Stannard ed EBH.

Vanmarcke prova a tener viva la sua azione, ma il vuoto, quello vero, non l'ha fatto. Ahia Sep. Fuori dal settore 3 di nuovo quel diavolo di Stannard si mette con tutto l'impegno per andare a chiudere sul belga, e stavolta ci riesce, riporta tutti sotto, e a 12 km dalla conclusione il quintetto è riformato, tutto da rifare. Sep ci riprova ancora a Hem, settore 2 (-8), ma non è lo stesso pavé del Carrefour, è molto più scorrevole, qui la differenza non si fa più. Sarà arma bianca fino alla fine, quindi. Uno contro l'altro, una sfida stellare, appassionante, fagocitante.

 

Adrenalina a mille, e in volata Hayman beffa tutti
Appena fuori dal pavé Stannard piazza la stoccata, potrebbe essere decisiva, a 6 km dalla linea d'arrivo, ma Boonen non ci sta, dà tutto, rimette l'inglese nel mirino, Vanmarcke collabora con lui, lo prendono ai -5.3. Crescendo di eccitazione, non si capisce più niente.

Ai 4.4 Hayman tenta un allungo commovente, pensiamo noi, commovente perché pare l'ultima carta che il wallaby può giocare, dopo 180 km e passa di fuga, e infatti lo riprendono subito. Ci prova Edvald, ma non va da nessuna parte, il cane da guardia è sempre Tom. Ripreso. Riparte allora Stannard, ai -3.6, e stavolta è EBH a chiudere, con l'aiuto di Sep e Tom, ancora una volta, ai -2.9. Subito in contropiede parte Boonen, vertigine, boato al vicino velodromo, ma è un'illusione, EBH non lo lascia scappare, ma è Hayman a chiudere, e - incredibile amici - a ripartire secco, quando mancano 2.2 km. Non aveva finito le risorse, allora. Tom capisce che quello sta per metterli tutti nel sacco, e raschia il fondo del barile, non sa neanche lui dove va a pescare la spinta per rifarsi sotto, non lo sanno nemmeno gli altri tre che infatti non tengono il ritmo, si staccano: Hayman e Boonen in testa da soli a 1.6 km dalla fine, il velodromo lo vedono davanti a loro, ci siamo, varcano la soglia, la folla è un putiferio, ma mentre entrano in pista Vanmarcke li va a riprendere, se la giocheranno in tre.

No, macché tre, Stannard e Boasson Hagen non possono accettare di essere messi all'angolo, prima della fine ci sono due giri di pista da coprire, e loro fanno il primo in apnea, e riescono a riaccodarsi al suono della campanella, giusto in tempo per partecipare a questo incredibile, sospirato sprint a cinque.

Il racconto è quello già scritto sopra. Hayman parte lungo, sul rettilineo opposto a quasi 300 metri dalla fine, prende margine, Vanmarcke sembra il più pronto a reagire ma ci mette un po' a carburare, e allora Stannard esce all'esterno mentre Boasson Hagen ha esaurito tutto e si sfila. Boonen è preso lì in mezzo, è dietro a Hayman ma non riesce a uscire dalla sua ruota perché accanto si ritrova Ian e Sep che gli occludono il passaggio; e intanto il vecchiaccio d'Australia non molla un metro, come potrebbe fisicamente mollare un metro, a questo punto?

Quando Tom trova finalmente il varco, uscendo dall'ultima curva, Stannard non è più in spinta, la strada per passare Mathew ci sarebbe, ma quel che manca è la resa dell'avversario, quel che manca sono le gambe di 10 anni fa, quel che manca è lo spunto in volata della gioventù, quel che manca è una fottuta questione di centimetri, pochi centimetri, pochissimi maledetti centimetri.

Quel che manca è lo spazio incolmabile tra il più amaro dei secondi posti e una vittoria che manderebbe in orgasmo tutto il Belgio, forse tutta l'Europa, tutto il mondo del ciclismo. Vince Hayman. L'abbiamo già scritto. Tom è secondo. Stannard si prende un terzo posto che ricorderà per sempre, Vanmarcke e poi Boasson Hagen ai margini del podio.

A un minuto tondo Haussler, Sieberg e Saramotins; Erviti poco più dietro. Petit vince la volata del decimo posto a 2'20", precedendo uno sconfortato Sagan. Oltre il trentesimo posto transitano i primi italiani, Marco Marcato (Wanty), Puccio e Matteo Trentin (Etixx), a oltre 7'; Moscon 38esimo, comunque può essere soddisfatto per la sua gara.

E poi, nel boato di riconoscenza, di ammirazione, di gratitudine totale, ecco Fabian, arriva con il fido Stuyven, taglia il traguardo per 40esimo, a 7'35", lontanissimo da quel che sperava e si aspettava, ma vicinissimo al cuore di tutti gli appassionati. Prende una bandiera, scivola (di nuovo!) nel velodromo, ma non è nulla, non fa nulla, non gli possiamo anche chiedere di essere lucido, dopo una giornata così.

Non possiamo essere lucidi, noi con lui, dopo la Roubaix in cui abbiamo salutato i giganti del pavé del terzo millennio, Fabian e (probabilmente) Tom, così diversi, così uguali, così mitici. Grazie, idoli. Grazie, grazie, grazie.

Marco Grassi

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